Renaud
3: Pacifista (non pacificato)
Il Renaud degli anni 80 inoltrati è ormai una star
della canzone. L’avvenenza fisica e la mitologia del ribelle,
che si è assunto, lo portano sulle copertine dei rotocalchi
e sui poster nelle camerette degli (e soprattutto delle) adolescenti
francesi.
Intorno a lui sta crescendo una forma di rock francese originale
che caratterizzerà alcuni grandi artisti degli anni ’80,
quali Bernard Lavilliers, Charlelie Coture e, soprattutto, Jacques
Higelin e il geniale Alain Bashung. Il nostro, cresciuto a pane
e Brassens, non ha il background etno, jazz, sperimentale o
prog-rock di questi, ma sente comunque l’esigenza di conferire
un’appetibilità pop ai suoi temi rivoltosi. Di
qui verrà l’accusa, non del tutto falsa, di non
essere né carne né pesce, di fare un rock di retroguardia
ben poco inquietante sul piano formale, in contrapposizione
alla rivoluzione così spesso invocata nei testi.
Morgane de toi (1983) non fatica a conquistare
la top ten e a rimanerci saldamente.
Si tratta del disco che marca un passaggio nello stile dell’autore;
sin dall’immagine di copertina lo vediamo, nel ruolo di
padre (felicissimo di esserlo), inaugurare un nuovo filone tematico
nelle sue canzoni: l’interlocutore privilegiato diventa
d’ora in poi la figlia Lolita (l’ha chiamata proprio
così!) e questo per Renaud, così intimamente adolescenziale
di suo, è un vero colpo di genio. Nella mia testa
continuo ad avere quattordici anni, non ha mai smesso di
dire e, aggiungiamo noi, pur essendo un artista che sente forte
i temi sociali, è di natura timidissimo e introverso;
l’alter ego ideale per sviluppare un dialogo che negli
anni affronterà parecchie questioni da un angolo visuale
insolito diventa proprio la sua bambina.
Questo rapporto è improntato a una serie di dolci contraddizioni:
la necessità di proteggere assieme a quella di non soffocare,
il voler trasmettere una morale, ma una morale intrisa di passione
libertaria, il mettere in guardia dalla bruttura del mondo senza
rinunciare a sporcarsi le mani tentando di migliorarlo; tutto
questo darà lo spunto a canzoni che rappresentano alcuni
momenti incantati: Morgane de toi, Il pleut,
Le marchand des cailloux, C’est pas du pipeau,
Lolito Lolita, Mon amoureux.
Per tornare all’album, va rimarcata la maggiore levigatezza
ed equilibrio nei suoni: è infatti registrato in America,
in uno degli studi più famosi del mondo.
Si apre con una canzone in perfetto stile Chansons des marines
(una delle forme di canto tradizionale più peculiari
in Francia e Gran Bretagna): canzone in stile, certo, ma non
con intenti parodistici, vi si respira una bella aria eroica
“finché il vento soffierà / io ripartirò...”.
Il secondo brano, Deuxieme generation, è la
descrizione della squallida vita di un immigrato di seconda
generazione, la storia di qualcuno che, come dice Renaud presentando
la canzone in concerto, a furia di fare una vita da cani
è costretto a diventare lupo. Slimane (questo il
suo nome) è ancora una volta un adolescente, cui viene
negata dai fatti e dall’ambiente ogni possibilità
di realizzazione, e che vive allo sbando in una cupa, ripetitiva
rovina
non ho niente da vincere, niente da perdere / nemmeno la
vita
non amo che la morte in questa vita di merda / amo ciò
che è marcio, ciò che è rotto
amo ciò che vi fa paura / il dolore e la notte
Ancora una composizione asciutta, con una bella dose d’ironia
nera e di rispetto per la vita, che anche in mezzo al fango
trova i suoi codici di poesia; una grandiosa riflessione sullo
straniero, nato in terra straniera – appunto, la seconda
generazione del titolo - che non può nemmeno conservare
un rapporto con una radice a cui non è mai stato congiunto,
e per questo sente la struggente nostalgia del non provato,
come l’uccellino nato in gabbia che sogna un cielo mai
conosciuto
pare che a tremila miglia / da questa città ci sia
un paese
in cui non andrò senz’altro mai / dove sarei comunque
straniero.
Allora per sentirmi appartenere / a un popolo, a una patria
porto attorno al collo sul giubbotto / la kefia nera, bianca
e grigia
mi sono inventato dei fratelli / dei compagni che crepano
come me.
C’è poi la canzone Deserteur, mezzo omaggio mezza
parodia del capolavoro di Boris Vian; strutturata, come quella,
in forma epistolare, in risposta alla fatidica cartolina di
chiamata. Il testo è a più livelli demistificante,
anzitutto per il protagonista che, decisamente meno eroico del
suo nobile predecessore, si è imboscato per evitare il
servizio militare in una fattoria in Ardeche, e vive fabbricando
collanine e coltivando erba con un gruppo di alternativi, e
quando
i russi o gli americani / faranno saltare il pianeta
io avrò la mia aria furba / sulla bicicletta
Ma non per questo vien meno l’avversione, diremmo quasi
fisica, ai militari:
sono stupidi sono brutti /e soprattutto sono cattivi
perciò non vorrò mai / essere uno di loro
Demistificante anche la conclusione: un invito a cena al presidente
per fumarsi una canna e parlare con tranquillità della
questione; quest’offerta distensiva non è solo
una trovata comica, il presidente della repubblica francese
è in quel momento Mitterand, uomo nel quale, come vedremo,
Renaud, pur restando su posizioni ben più estreme, ripone
una grande stima. Il resto dell’album ripiega sull’intimismo
trattando con sensibilità il tema della compagna incinta
(En cloque), o con un irresistibile mix di tenerezza
e buffoneria il rapporto con la figlia (Morgane de toi);
il tono generale è comunque meno aggressivo, e lo sfondo
non è più ristretto alla sola periferia popolata
di delinquenti: fino alla nascita Lolita il mio interesse era
puntato esclusivamente su chi viveva male, dopo si è
allargato a chiunque viva.
Mistral gagnant (1985) è a tutt’oggi
il più grande successo commerciale di Renaud, per quanto
il suo ultimo disco in studio, “Boucan d’enfer”,
del 2002, ne abbia quasi (del tutto a sorpresa) bissato l’esito.
Buona sintesi delle sue anime, con una veste sonora curata e
nell’aria del tempo, è considerato dallo
stesso autore, me lo ha confidato nel 2001, il proprio capolavoro.
Effettivamente l’alternanza e la sovrapposizione di violenza
e tenerezza, politico e personale, ridanciano ed emotivo, giungono
qui a uno dei suoi migliori momenti di equilibrio.
Già l’apertura è travolgente: Miss Maggie
è una poetica dichiarazione d’infinito amore per
l’altro sesso
Donne di mondo / o puttane, che spesso siete le stesse
donne normali stars o qualunque / donnine, comunque io vi amo
anche all’ultima fichetta / dedico questi quattro versi
usciti dal mio disgusto degli uomini / e della loro morale guerriera
perché nessuna donna sulla terra / sarà mai peggiore
del fratello
né più tronfia né più disonesta
/ a parte...
E qui si giunge al dunque:
a parte ovviamente “Madame Thatcher”.
E così continua la canzone: cento sono le ragioni per
preferire le donne agli uomini, tutte le donne, tranne l’ignominiosa
primo ministro inglese. La donna la si ama
per la sua debolezza / e i suoi occhi
mentre la forza dell’uomo non sta / che nella pistola
e nel cazzo.
Perché non morirà sul fronte / perché la
vista di un’arma da fuoco
non le fa fremere le ovaie. / Perché con un motore sotto
il culo
non diventa stronza / come il povero tarato che si scazzotta
per un faro un po’ ammaccato / o per un dito teso
e c’è chi arriva a sparare / per difendere l’autoradio.
Perché palestinesi e armene / testimoniano dal fondo
delle fosse comuni
che il genocidio è di genere maschile / come un SS o
come un torero
E quando arriverà l’ultima ora / l’inferno
sarà popolato di cretini
che giocano a pallone o alla guerra / Io vorrò diventare
cane /
se posso restare sulla terra / e come lampione quotidiano /
mi offrirò Madame Thatcher.
La musica ha uno squisito sapore pop e danzante, e, a un primo
disattento ascolto, fa passare questo testo di canagliesca rivolta
per una ballata di innocua gradevolezza.
Renaud
Molti altri, quasi tutti per la verità, gli episodi
degni di nota: da Trois matelot (tre marinai) a P’tite
conne, altra significativa riflessione sulla tossicodipendenza,
questa volta, al contrario de la blanche, in un ambiente
alto
frequentavi un mondo / d’imbecilli mondani
in cui questa polvere immonda / si consuma al mattino
in cui i soldi autorizzano / a credersi al riparo
del tribunale / e del nostro disprezzo
ma, pure stavolta, la tenerezza prenderà il sopravvento
sul disprezzo
piccola cogliona / sù vai a riposare
vicino a Jim Morrison / e non lontano da me
Il disco si conclude sulla potente Fatigué,
testimonianza dei momenti di stanchezza di chi cerca qualche
traccia d’amore in quest’oceano di fango, in cui
tutto, dall’ambiente, al lavoro, alla cultura, sembra
scivolare irresistibilmente verso il peggio. Il pezzo che mi
dà sempre più brividi è Morts les enfants,
dove a uno straziante catalogo di bambini assassinati occultamente
o all’aperto (dai bambini che succhiano lo straccio intriso
di benzina per farsi passare la fame a Bogotà, alle vittime
dell’industria di Bopale o di Seveso, ecc...) dal nostro
sistema sociale, fa contrappunto un ballo in un qualche ministero
del mondo in cui imbecilli e militari / si spartiscono la
terra, e, nel momento in cui il cantante, della cui sensibilità
nei confronti dell’infanzia abbiamo già parlato,
arriverà a riconoscere assassinato anche il bambino che
portava dentro il cuore, la canzone esplode in una minacciosa
e liberatoria scena di un ballo sul ministero distrutto da un
attentato giustiziere. Il ritmo di valzer campestre, in leggero
crescendo, crea, man mano che la dolorosa evocazione del massacro
planetario dei bambini si accumula, un effetto di straniamento
che moltiplica il potenziale commovente ed eversivo del pezzo.
L’album successivo Putain de camion
(1988) non approfondisce discorsi sociali, anzi le canzoni su
questi temi tendono ad essere un po’ ripetitive (Triviale
poursuite); la più interessante Socialiste
è una divertita parodia di una fervente riformista incontrata
a una manifestazione che discuteva seria, seria con la polizia
mentre lui si era fatto male scagliando una pietra;
il confronto non è facile e si concluderà con
nessun punto in comune, ma qui Renaud si professa per la prima
volta nientista / anarco-mitterandista / non so se esista
/ ma mi eccita. La stima per il presidente è, ripetiamo,
strettamente personale, il resto della classe dirigente è
trattata da approfittatrice, ladra ed ambigua
come vuoi cambiar la vita / se ti affanni per il tuo profitto.
Gli altri episodi interessanti sono quelli intimisti (il
pleut, me jette pas) e una bella rievocazione
e difesa della vecchia Parigi popolare, Rouge gorge,
sempre più minacciata dalla speculazione edilizia che
fa del centro il luogo del commercio e del turismo, per confinare
i lavoratori in Banlieu.
L’enorme successo delle vendite porta Renaud a riempire
per alcune sere di seguito l’immensa sala dello Zenith,
totalizzando 180.000 spettatori. Anche di questo concerto vi
è testimonianza registrata (e anche filmata), che però
risulta molto meno interessante delle precedenti: gli arrangiamenti
si avvicinano a quelli dell’ultimo disco, ma il suono
cristallino non riesce in quello spazio a conservare il mordente;
inoltre, le esigenze spettacolari di un luogo con tanti spettatori
tolgono centralità alle canzoni a favore di noiosissimi
dialoghi con un gruppetto di spalle comiche, che puzza talmente
di provato e riprovato da risultare perfettamente stantio
anche al primo ascolto. Si salvano i pezzi più ritmati,
ma anche un’ispirata versione di Mistral gagnant,
pianoforte e voce, breve dialogo col se stesso bambino, rievocazione
del piccolo universo di consuetudini e affetti che forse è
inevitabile perdere, ma che è importante non tradire.
Alessio
Lega
alessio.lega@fastwebnet.it
La prima parte
di questo articolo è apparsa nel numero 308 della rivista
(maggio 2005), la seconda parte
nel numero scorso, il 309 (giugno 2005).
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