Staliniano
nel pensiero?
“‘Libertario’ nella scrittura, staliniano
nell’azione e nel pensiero.”
Con un simile livore, espresso da Mario Rui Pinto a proposito
del mio breve saggio su José Saramago, appare davvero
difficile proporre qualsiasi tavolo di discussione, sebbene
il direttore della rivista anarchica “Utopia” precisi
di intervenire “non con l’intenzione di aprire una
polemica (l’argomento e un personaggio come Saramago non
lo meritano), ma soprattutto per fare chiarezza”. E tanto
per far chiarezza, comunque, vorrei provarci.
Innanzitutto non intendo prender le difese del poeta lusitano
da accuse (ossia, di esser stato iscritto al partito comunista
portoghese, e di aver svolto – come giornalista –
un ruolo all’interno della “rivoluzione dei garofani”
che portò alla caduta della dittatura salazariana nel
1975) che lui stesso non ha mai negato, dichiarando di sentirsi
comunista: uno “stato fisico” dovuto al fatto che
Saramago – come ho riportato nel testo – oltre all’ipofisi,
possiede nel cervello una ghiandola che secerne ragioni affinché
sia stato e continui a essere comunista.
Un sentirsi comunista che indubbiamente l’ha
indotto ad assumere prese di posizioni anche ortodosse (basti
pensare la generosa difesa nei confronti della dittatura castrista),
dovute – a mio avviso – alla necessità di
credere ancora possibile immaginare un mondo ed un’umanità
(compreso egli stesso) diversi, migliori e soprattutto trasformati.
Certo: avrebbe potuto credere ad altri paradisi, ma che cambia?
Il solo fatto di credere ad un altro mondo possibile –
m’insegna il direttore di “Utopia” –
rappresenta il limite e la miseria di noi poveri umani così
bisognosi di un progresso storico escatologico, che –
su questo piano – un’utopia vale un’altra.
A meno di non esser concordi con il cardinale Ratzinger, il
nuovo papa, e condannare ogni sorta di relativismo.
E allora mi chiedo? Questo sentirsi comunista da parte
di Saramago lo conduce tout-court ad essere uno stalinista?
Perché, allo stesso modo, mi verrebbe da pensare che
il mio sentirmi anarchico mi trascinerebbe ad essere un bombarolo,
un dinamitardo… un terrorista.
Non so esprimermi se Saramago sia “staliniano nell’azione”,
anche se la sua decisione di abbandonare qualsiasi responsabilità
politica dopo la presa del potere da parte dei socialisti in
Portogallo, e la sua aperta opposizione al corso intrapreso
dalla democrazia lusitana mi fa fortemente dubitare rispetto
ad un simile insulto. Che poi sia stato il responsabile del
licenziamento di varie decine di lavoratori del Diário
de Notícias, perché non in linea con le direttive
del partito, mi sembra un’accusa posticcia dal momento
che Saramago svolgeva unicamente la funzione di curare una rubrica
di cronaca quotidiana all’interno del giornale, rubrica
che a sua volta fu cassata.
Ciò che invece categoricamente rimando al mittente è
l’accusa che vorrebbe Saramago “staliniano nel pensiero”.
Anzitutto: cosa vuol dire? Se è nelle parole e con le
parole che il pensiero si fa realtà e la scrittura lo
trasforma in fatto, dove – leggendo il poeta lusitano
– si può riscontrare un pensiero staliniano? Mi
verrebbe da citare poesie, racconti, romanzi di José
Saramago in cui il carattere rispettoso con cui osserva e analizza
le vicende umane è sempre apparso compartecipe dell’alterità
nei confronti dell’autorità del potere da raffigurare
un grande ed immenso affresco sulla lotta degli oppressi contro
gli oppressori. Ma tutto ciò – sosterrebbe il direttore
di “Utopia” – sarebbe proprio l’elemento
“libertario” della scrittura saramaghiana.
Non conosco personalmente il “genere”, anche se
più di vent’anni fa, su “A”, inaugurai
una rubrica di letteratura che s’intitolava “Profili
libertari” in cui si raccontava l’impegno di scrittori
nei confronti dell’agire collettivo e libertario anche
attraverso le loro opere. La rubrica, da tempo, non esiste più
sostituita più che egregiamente da un’altra –
“Ritratti in piedi” – curata da Massimo Ortalli.
Ma se fosse proseguita certo non avrei ascritto José
Saramago, così come Fernando Pessoa, Luis Borges, Luis
Férdinand Celine, Drieu de la Rochelle, Boris Pasternak,
Carlo Emilio Gadda, Elsa Morante… e tanti, tanti altri.
Pure, ho amato e amo quel loro sentirsi… che
in molte occasioni mi ha fatto comprendere il perché
del mio sentirmi anarchico.
Gianfranco Marelli
(Ischia)
P.S.: A proposito di “Utopia”. Non
ho mai creduto che l’Anarchia possa essere il migliore
dei mondi possibili, in quanto ho sempre cercato di affermare
che il mondo migliore è quello che viviamo perché
ci permette di lottare per l’anarchia, come metodo e pratica
di libertà. Utopia?
I
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