Non è certo
il caso di scandalizzarsi se gli uomini di chiesa s’intromettono
nelle cose civili. È il loro mestiere e lo hanno sempre
fatto, da che mondo è mondo, in forme assai più
moleste di quelle cui ci è toccato di assistere negli
ultimi tempi. In quanto portatori di un quadro valori tanto
rigido da poter essere spacciato, nonostante certe palesi
assurdità, per “naturale” (come a dire
l’unico possibile), non si sono mai rassegnati a lasciarne
l’applicazione alla libera scelta dei membri della comunità.
Sono convinti, sulla base di oscure speculazioni teologiche,
che l’umanità, massa damnationis per
definizione, abbia una deplorevole tendenza a sviarsi dal
retto cammino (intendendo per tale quello che indicano loro)
e considerano proprio dovere, anzi, proprio “compito
pastorale”, riportarcela e tenercela. Lo fanno, a loro
dire, per il bene stesso degli interessati e si capisce che
in questa prospettiva il ricorso a un qualche metodo coercitivo
è, non che lecito, doveroso.
La libertà di scelta, tanto in campo teoretico quanto
sul terreno pratico, è strumento troppo pericoloso
per lasciarlo a disposizione di tutti: capace sarebbe, la
gente, di adottare comportamenti e costumi, sul piano morale
e politico, tali da ostacolare l’esplicarsi nel mondo
del piano provvidenziale. E non dite che certe questioni,
come quelle sessuali e familiari, sono affatto private e che
non si capisce proprio – per esempio – perché
il clero dovrebbe dolersi se qualcuno che religioso non è
decide di convivere senza sposarsi o di praticare l’omosessualità.
A parte il fatto che già il fatto stesso che qualcuno
si dichiari non religioso – dal loro punto di vista
– grida vendetta , non c’è materia, per
quanto personale e privata, non c’è opzione possibile
in cui la chiesa, forte della sua secolare saggezza e dell’assistenza
diretta dell’Onnipotente, non pretenda di dire la sua.
Impedirglielo sarebbe (è) abuso gravissimo.
Nervi saldi e tanta pazienza
Visto che noi, poveri laici, di quella assistenza non disponiamo
e i nostri maestri hanno deciso, un paio di secoli fa, che
non si può impedire a nessuno di credere in quello
in cui crede (e di dichiararlo, se ne sente il bisogno) non
possiamo far altro che lasciarli dire.
In fondo, i vari Ratzinger, Ruini e compagnia bella sono cittadini
come gli altri e, come gli altri, possono dire tutto quello
che pensano. Se ritengono che la procreazione assistita sia
una iattura e le famiglie di fatto una catastrofe e le convivenze
omosessuali un abominio, be’, devono poter dar voce
a questo convincimento e li si può solo pregare di
stare attenti a non offendere nessuno. Eventuali dubbi sulla
loro buona fede, possibili sospetti sulla natura più
terricola che oltremondana delle loro motivazioni, non autorizzano
nessuno a togliergli la parola.
Il fatto che diano degli altrui convincimenti una raffigurazione
distorta e caricaturale, vedendovi il riflesso di “comportamenti
disordinati” e associandole all’ambigua categoria
del relativismo, senza rendersi conto che nel pensiero moderno
il valore della libertà di pensiero non discende affatto
dalla incapacità di scegliere tra ipotesi diverse,
bensì dalla consapevolezza che ciascuna scelta individuale,
per chi la compie, non è affatto come relativa, ma
è, al contrario, tale da impegnarci tutti a difenderla
da qualsiasi tentazione altrui di sindacarla con la forza,
dimostra che ci muoviamo, noi e loro, su piani troppo diversi
per interagire proficuamente, ma non esclude la possibilità,
anzi il dovere, del dialogo. Per cui, nervi saldi e portiamo
pazienza.
Certo, tutto ciò rappresenta, se non proprio un’ingiustizia,
sicuramente una asimmetria fastidiosa, ma non se ne scappa.
La chiesa è ben consapevole della contraddizione (che
è stata teorizzata da Joseph De Maistre agli inizi
del XIX secolo) e ci lavora da un pezzo. Ci chiede la libertà
per sé, in base ai principi del mondo laico, per potercela
poi negare in base ai propri. E come se non bastasse aggrava
la pretesa con un atteggiamento di perpetua e petulante recriminazione,
come se i poteri e i privilegi di cui gode e dispone nella
società d’oggi non fossero abbastanza e se l’essere
stata privata dalle vicissitudini storiche della possibilità
di un ricorso automatico al braccio secolare (il rogo, per
intenderci) configurasse un intollerabile abuso.
Ma sono cose, naturalmente, cui dovremmo essere abituati.
Sappiamo che ogni volta che il papa dichiara solennemente
che Dio non può essere escluso dalla società
o qualcosa del genere intende affermare soprattutto il proprio
diritto a imporci (a farci imporre) per legge certe opzioni
e certi comportamenti e, pur nel pieno rispetto di questa
sua aspirazione, ci sentiamo tenuti a operare perché
non la realizzi. Chi vivrà, come si dice, vedrà.
Quello di cui dovremmo tutti più proficuamente scandalizzarci,
forse, è la corrività di tanti esponenti laici
di fronte a queste singolari pretese. E non alludiamo, ovviamente,
agli esponenti del centrodestra, sul cui laicismo, quando
sia per avventura affermato, è sempre stato lecito
dubitare, trattandosi notoriamente dei moderni eredi di quell’alleanza
tra trono e altare che tanta acqua ha portato, nei secoli,
al mulino della reazione.
Che certi noti ex miscredenti siano stati recentemente fulminati
sulla via di Damasco del pensiero ruiniano e ratzingheriano
non può stupire chi riflette su come, per il pensiero
di destra, il valore sommo resti sempre quello del mercato,
il che significa che tutto si può e si deve mercificare,
per cui anche delle proprie idee è lecito disporre
liberamente in cambio dell’appoggio che una struttura
potente e articolata come quella della chiesa può assicurare
nel momento del bisogno.
E poi loro non credono all’uguaglianza, né dei
diritti né dei doveri. Personalmente si considerano
affrancati da certi divieti che considerano inadatti agli
strati più eletti della popolazione (basta guardare,
per restare su uno degli argomenti del contendere più
recenti, alla loro vita familiare), ma non per questo disdegnano
l’opportunità di servirsi delle normative religiose
per tenere al suo posto il popolo bue. Dovrebbero vergognarsi,
naturalmente, ma è proprio grazie all’assoluta
mancanza di vergogna che sono arrivati lì dove sono.
Un
aspetto della contestazione a Ruini in occasione del convegno
di “Liberal” a Siena
I diritti sacrificati
Ma gli altri, degli altri, santiddio, cosa dobbiamo dire?
Come rispondere ai silenzi di Prodi, ai distinguo di Rutelli,
agli outing interessati di Fassino e di Bertinotti? Anche
loro, naturalmente, hanno il diritto di dire o non dire quello
che pensano, oltre a quello di rivendicare, se lo giudicano
opportuno, la propria familiarità con i vescovi, gli
studi compiuti dai gesuiti, l’assidua ricerca del trascendente
e quant’altro ritengono possa servire ad allontanare
da loro la pericolosa nomea di mangiapreti, che evidentemente
considerano pericolosa in vista dello scontro finale con la
controparte.
Ma se a questa esigenza si sacrifica il dovere di garantire
i diritti individuali, di difendere l’uguaglianza di
tutti a prescindere dall’atteggiamento che ciascuno
può assumere di fronte alla chiesa, allora si cade
in una contraddizione ben più grave di quella dei tanti
“atei devoti” che affollano le file della destra.
Ma chi milita da una certa parte, perbacco, al problema dei
diritti individuali non può essere indifferente; sulla
loro intangibilità non può transigere; sull’impossibilità
di farne oggetto di scambio non può dubitare. Altrimenti
lo scontro con la destra, già truccato sotto tanti
aspetti, diventerebbe affatto indistinto dal punto di vista
ideologico, riducendosi, per ben che vada, a un problema d’immagine
e di capacità di pubblica affabulazione. E in questa
notte oscura in cui tutti i gatti sono bigi la coscienza dei
cittadini finirebbe irrimediabilmente per perdersi.
Già. A pensarci bene, è appunto quello che sta
succedendo. Ma allora?