No pasaran!
(slogan echeggiato durante l’assemblea di Valle del
2 novembre scorso a Bussoleno)
Una marea di fiaccole,
un lungo serpente luminoso, è partito da Susa per toccare
il bivio con la frazione Urbiano del comune di Mompantero.
È il 5 novembre del 2005. Sono ormai 15 anni che la
lunga resistenza della gente della Val Susa va avanti, passo
passo, lenta ma inarrestabile come il cammino dei pastori.
La loro è una storia di gente di montagna che non vuole
che la propria valle si trasformi in un corridoio di collegamento,
in un rettilineo nella lunga corsa folle che è l’emblema
di questa società dello spreco e del profitto ad ogni
costo. Il corridoio di cui stiamo parlando è il numero
5. È già costato morti e feriti in guerre ormai
dimenticate dalla fretta con cui si metabolizza anche l’orrore,
ridotto a mera immagine indistinguibile per “realtà”
da quelle di una qualunque, ben più realistica, perché
meglio ornata di effetti speciali, fiction bellica.
Blocco
della ferrovia a Condove
Lì, lungo le strade di Susa e poi su per la strada
che conduce a Mompantero camminano intere famiglie, con passeggini
per i più piccoli e i ragazzi che giocano con le fiaccole
e le bandiere del No Tav. Sembra una scampagnata o una processione
più che una manifestazione politica. Poi, di lontano,
si sentono le note di “Bella Ciao”, il canto partigiano
che in questa zona, dove la lotta contro il nazifascismo è
stata durissima, è ricordo e patrimonio di tanti. Man
mano che ci si avvicina al bivio con Urbiano tutti si uniscono
al canto: lì la strada è bloccata dalla polizia
e dai carabinieri in assetto antisommossa.
Questa marcia notturna è stata promossa dall’Anpi
contro “l’occupazione militare del territorio”.
Da ormai una settimana Mompantero, e la frazione Urbiano sono,
di fatto, sotto occupazione. I residenti devono esibire la
carta di identità per avere accesso al paese, il sindaco,
residente in un’altra frazione, è stato mandato
indietro e come lui, l’infermiera incaricata dell’assistenza
ad una malata che ha bisogno di cure costanti. Un compagno
cui lo racconto mi dice che gli ricordano i check point di
Gaza. Mi auguro che esageri. Certo il clima non è dei
migliori e la gente, con quanto le sta capitando, reagisce
ancora con compostezza molto piemontese.
Vastissima adesione
Facciamo un passo indietro.
Torniamo al 4 giugno di quest’anno, quando, in una valle
di poco meno di 50.000 abitanti, 30.000 presero parte alla
marcia da Susa a Venaus. Venaus è un piccolo paesino
piazzato poco sopra Susa, in Val Cenischia, la Valle che si
snoda sino al Moncenisio, uno dei valichi che porta in Francia.
Questo paesino, deturpato dai piloni dell’autostrada
e da dieci anni di lavori per la centrale idroelettrica di
Pont Ventoux, è il luogo prescelto per l’imbocco
delle due gallerie parallele di 54 chilometri che costituiscono
l’asse centrale della linea ad Alta Velocità
Torino-Lione. Qui, sin dalla primavera, sarebbero dovuti partire
i lavori per una prima galleria di servizio di quasi 10 chilometri.
Qui si è concentrata la resistenza degli abitanti della
valle, decisi ad impedire un’opera distruttiva della
salute e dell’ambiente. Ricordiamo che la montagna che
verrebbe traforata per oltre 15 anni, con continuo trasporto
di materiale, è ricca di uranio. Non c’è
bisogno di leggere il rapporto firmato da tutti i 200 medici
della Valle di Susa per capire quali terribili conseguenze
per la salute ne deriverebbero.
Una lunga estate questa del 2005. Un’estate che ha visto
la gente presidiare tutti i luoghi in cui veniva annunciato
un intervento legato ai lavori per il TAV: oltre a Venaus,
a Borgone e Bruzolo il tentativo dei tecnici del general contractor
incaricato dell’opera, Lyon Turin Ferroviaire –
LTF, di prendere possesso dei terreni destinati ai sondaggi
preliminari, è miseramente fallito. In ogni luogo i
tecnici, sempre accompagnati da nutriti plotoni di poliziotti,
hanno trovato ad attenderli centinaia e centinaia di persone
che, con la loro presenza fisica hanno impedito l’accesso
ai siti.
Ovunque i presidi sono diventati permanenti e la gente dei
paesi si è data il cambio per garantire una presenza
costante.
La vastissima adesione alle iniziative di lotta promosse
congiuntamente dai Comitati No Tav e dagli amministratori
locali ha indotto questi ultimi a tentare di aprire un tavolo
di trattativa con il governo nazionale e con quello di Provincia
e Regione.
Era infatti chiaro sin da luglio che i valsusini non erano
disposti a mediare e che solo un’opera diplomatica astuta
avrebbe potuto ammorbidirne la resistenza, evitando uno scontro
diretto con la polizia. Per settimane sindaci e presidenti
delle due Comunità Montane della Valle hanno tentato
di raggiungere un accordo che consentisse di stemperare la
tensione. Alla fine dell’estate pareva che fosse fatta:
un tavolo tecnico cui partecipassero anche esponenti designati
dai valligiani avrebbe effettuato verifiche sulle nocività
della linea ad alta velocità.
Tutti cantavano vittoria. I sindaci e il presidente della
Comunità montana, nonché leader della protesta,
il Ds Ferrentino, dichiaravano che in questo modo si era fermato
il cammino delle ruspe; dall’altra parte la governatore
Bresso e il presidente della Provincia Saitta, entrambi sostenitori
sfegatati del Tav, sostenevano che questo era il primo passo
verso la sua realizzazione. Questo traballante tavolo dove
tutti giocavano con carte truccate e al quale i comitati anti
Tav non erano riusciti ad opporsi in maniera decisa, dimostrando
una certa difficoltà a contrastare le iniziative dei
sindaci, è stato rovesciato da Lunardi, che ha deciso
che i lavori dovessero partire subito.
Sciopero spontaneo
Dopo un mese di incertezza alla fine di ottobre c’è
stata la brusca accelerazione che tutti temevano. Il 31 ottobre
i tecnici di LTF avrebbero dovuto prendere possesso di tre
terreni situati in località impervie del comune di
Mompantero per effettuarvi dei sondaggi.
La strada per arrivarvi è stretta e difficile e i siti
si trovano a diversi livelli della montagna. Il più
alto è a 1.300 metri. Sin dai giorni precedenti la
polizia si attesta lungo la strada, bloccandola. Ma non ha
fatto i conti con la gente di montagna, che aggira i blocchi,
inerpicandosi per i sentieri sui quali 60 anni prima si era
combattuto contro i nazifascisti.
Per l’intera giornata del 31 ottobre i presidi No TAV
resistono alla polizia, che in un paio di occasioni usa la
forza ed effettua arresti.
Contemporaneamente la gente in valle blocca la circolazione
dei treni della linea internazionale Torino-Lione occupando
a più riprese diverse stazioni. Parte uno sciopero
spontaneo: i lavoratori lasciano uffici e fabbriche e scendono
in strada a protestare.
Lo slogan che echeggia ovunque è “No pasaran!”.
A fine giornata gli uomini in divisa lasciano il campo, dichiarando
che la giornata è finita. La popolazione li saluta
con sputi e grida di scherno. Nella notte il blitz dei carabinieri
che, a sorpresa, tradendo l’impegno preso con la Comunità
montana a lasciare il territorio, si attestano su uno dei
siti appendendo un filo rosso e bianco ai rami degli alberi:
un inganno che non resta senza risposta.
Il giorno successivo la valle è nuovamente paralizzata:
per tutto il giorno si succedono i blocchi stradali e ferroviari,
culminati nel tardo pomeriggio nel blocco contemporaneo delle
statali 24 e 25 e della ferrovia.
Due giorni dopo un’assemblea a Bussoleno raccoglie quasi
mille persone. L’indignazione è alle stelle per
quella che tutti gli interventi chiamano senza mezzi termini
occupazione militare del territorio. Viene deciso lo sciopero
generale, la continuazione dei blocchi e dei presidi: è
il segnale che la repressione poliziesca lungi dal fiaccare
la volontà di resistenza l’ha resa più
salda.
La Val Susa diventa un caso nazionale.
Un caso anomalo che va stroncato perché non sia di
cattivo esempio per i tanti che in questo paese vivono le
conseguenze di un modello di sviluppo folle e distruttivo.
Uno sporco gioco
Parte una manovra di criminalizzazione che vede scendere
in campo stampa, magistratura e politici. E, vista la consolidata
esperienza acquisita in tanti anni di onorata professione,
anche qualche apparato esperto nella costruzione di provocazioni.
Il gioco è sporco e si vede. Gli articoli di Stampa
e Repubblica che paventano il rischio di “infiltrazione”
di frange violente, anarchici, squatter e no-global preludono
alle dichiarazioni preoccupate di politici che definiscono
“guerriglia” la resistenza non violenta del 31
ottobre, e, dulcis in fundo, arriva la designazione dei famigerati
PM Laudi e Tatangelo all’indagine per individuare e
perseguire i responsabili dei blocchi di Mompantero.
Poi, con la regolarità di un orologio, compare un volantino
demente firmato “Valsusa rossa” che inneggia alle
BR e, sulla statale del Moncenisio viene ritrovato, dopo una
telefonata anonima, un pacchetto contenente esplosivo e una
miccia ma senza innesco e, quindi, inoffensivo.
La stampa si scatena rispolverando la vicenda dei tre anarchici
arrestati nel ’98 con l’accusa di aver compiuto
attentati. Una vicenda tragica, che si concluse con il suicidio
di due di loro, Sole e Baleno, e con la reclusione del sopravvissuto
per 4 anni. Tutti omettono di dire che quell’operazione,
voluta dagli stessi Laudi e Tatangelo, si è rivelata
una montatura ormai smontata da anni anche sul piano giudiziario.
Ma in questo paese i processi e le condanne effettuate a mezzo
stampa non necessitano neppure dell’onere del ricorso
in appello.
Quel che conta è criminalizzare la resistenza dei valsusini,
tentando di dividere i buoni dai cattivi, i valligiani dagli
estremisti di Torino che vogliono cavalcare le lotte per mestare
nel torbido, creare disordini, dare il via alla violenza.
Resta da vedere se le manovre criminalizzanti ce la faranno
a dividere un movimento che sinora né le minacce dei
politici, né la violenza della polizia, né le
provocazioni sono riuscite ad intimidire.
A Susa, il 5 novembre, alcuni manifestanti davanti al cordone
di polizia gridavano “andate via”, e poi si allontanavano
borbottando “e pensare che li paghiamo noi”. Alcuni
irridevano alla stampa ed alle sue manovre chiedendosi l’un
l’altro: “io sono anarcoinsurrezionalista, e tu
cosa sei, uno squatter?”.