Estamos
en todas partes
Siamo dappertutto, dice oggi Franti, 2006. Come si sbagliavano
tutti quelli che lo credevano morto. Come si sbagliavano tutti
i detrattori degli esperimenti sonori e poetici che dopo Franti
si sono susseguiti: di incroci e intrecci di pensieri e di
persone si trattava, mica di musica cattiva da cantina offerta
ai nostalgici dell’hardcore folk, ai punx diventati
vecchi e incapaci a tenersi a galla tra le onde alte degli
anni Novanta e del millennio nuovo.
Franti c’era e c’è ancora, non se ne sarebbe
mai andato via. Franti è stato ripreso a Genova dalle
telecamere della polizia accanto a Carlo Giuliani, stava giusto
ieri a bere birra in un centro sociale, era il mese scorso
alle manifestazioni anti-TAV, l’ho visto io non più
d’una settimana fa che suonava la sua chitarra ammazzafascisti
a una festicciola in un CEOD, vicino a una bambina down amica
di mia figlia. Franti è dappertutto, viene voglia di
dire ridendo in faccia a questo cd povero ma col titolo così
ingombrante. È Franti stesso a spiegare cosa questo
cd non è: non raccoglie vecchi pruriti da vendere spacciandoli
per roba storica, non contiene cioè delle rimasterizzazioni
digitali dei vecchi dischi e cassette (le bobine multitraccia
a fine registrazioni, una volta scelto il mix definitivo,
non sono mai state salvate). E ancora, questo cd non é
una sega celebrativa degli anni ruggenti dell’indie
rock nostrano: “non si vogliono resuscitare ore, odori,
tempeste e tiramenti di allora” – si legge nelle
note di copertina – “Qui non si consuma nulla,
non ci si diverte a pagamento. Questa musica brucia come allora;
questo, positivamente, il senso del nostro proporvela”.
Illustrazioni
di Paper Resistance
Oltre ad una manciata di registrazioni dal vivo, spesso
fatte con mezzi di fortuna, risalenti al periodo 1984-86 (tra
cui versioni al fulmicotone di “No future”, “Only
a new film”, “Big black mothers”, “Questa
è l’ora” ed altre, tutte di grande impatto
emozionale nonostante il torpore del tempo che si è
abbattuto sul nastro magnetico), il cd raccoglie alcuni stralci
radiofonici e quattro registrazioni in studio del 1981-82,
fatte quindi prima del debutto discografico: sono due delle
tre canzoni del primissimo demo del gruppo (si chiamavano
ancora Luna Nera) e quelle cronologicamente immediatamente
successive finite nella cassetta di Franti “a/b”
(pubblicata in un periodo un cui Lalli aveva temporaneamente
lasciato il posto davanti al microfono a Luca Colarelli, cantante
dei Deafear)
È stupefacente la mescolanza di influenze che si agita
in questi primi passi creativi, dalle sperimentazioni jazz
ai Banshees, dalle memorie lisergiche dei Jefferson Airplane
alla new wave tricolore di Gianna Nannini: Franti fu terra
di passaggio su cui si accanì più d’un
terremoto stilistico, una finestra aperta attraverso cui entrarono
in casa dozzine di odori sonici, per fondersi in un profumo
nuovo, terribile e irripetibile. Oltre ai suoni, questo cd
offre anche della immagini di Franti: alcuni frammenti delle
riprese di un concerto del 1985 al teatro Massaua di Torino,
fatte da Pierfranco Milanese, sono state montate in un breve
documentario da Max Viale, conosciuto e apprezzato chitarrista
di Gatto Ciliegia. “Bootleg 1985”, questo il titolo
del filmato, è un improvviso schiaffo allo scorrere
del tempo: tra i denti il sapore caldo del punk originario,
fatto di sudore sangue e lacrime ma anche di tanta rabbia
e disperazione. No future, no fucking future.
Chiudo rubando ancora a Franti qualche parola: “Nonostante
una fama alcune volte opposta, noi si è fatto festa,
assai spesso. Festa della nostra vita, con le unghie e con
i denti. Non c’era alcun luogo in cui arrivare, se non
al centro della propria rivolta e della propria poesia in
musica. Celebriamo questo”.
Ecco: questo cd è una festa. E le registrazioni ritrovate
dopo vent’anni, quella borsa di plastica piena di cassette
e bobine strappate alla polvere, è solo una scusa.
Passata l’ultima eco del rumore del suo nome, Franti
scomparirà ancora. Ritornerà in strada, nelle
banlieues o dovunque ci sarà bisogno di una chitarra
che scaldi il cuore, l’anima e la testa. Ce lo ritroveremo
accanto un giorno, inaspettatamente, occhi del colore della
tempesta e braccia lunghe lunghe per abbracciare tutto il
cielo. Sarà facile riconoscerlo.
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Marco
Pandin
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