Mentre andavo alla scoperta della storia della mia città, mi è capitato di finire in qualche territorio inesplorato.
Per esempio, ho scoperto che a El Paso erano presenti il movimento “teresista” e quello anarchico dei “magonistas” e che erano in collegamento tra loro, e questo fatto, per quanto ne so, non era mai stato analizzato dagli storici. Devo ammettere che le prove che ho scoperto dell’esistenza di questo legame sono ancora un po’ vaghe, ma restano pur sempre tracce di quella rete clandestina, soprattutto nelle persone di Lauro Aguirre e di Prisciliano Silva, militanti risoluti di entrambi i movimenti.
Altre volte, invece, ho toccato quello che definirei un “territorio discusso”. Uno di questi riguarda il dibattito tra gli storici di professione sull’importanza del movimento magonista nelle prime fasi della Rivoluzione messicana. James Cockroft, autore di Intellectual Precursors of the Mexican Revolution, è convinto che si sia trattato di un ruolo cruciale. Secondo lui i giornalisti legati al movimento non solo avrebbero fornito un grande contributo ideologico a sostegno della rivoluzione, ma nel corso delle lotte del 1910-1911 i guerrilleros magonistas avrebbero mantenuto viva la spinta rivoluzionaria mentre l’ala legata a Madero vacillava. Poi, invece, uno storico di Oxford, Alan Knight, in The Mexican Revolution: Porfirians, Liberals and Peasants, considera le vicende dei magonistas in modo diametralmente opposto e ritiene che esse abbiano inciso pochissimo sulle sorti della rivoluzione. L’unico loro successo significativo sarebbe stato quello nella Baja California, in una regione troppo periferica per sovrapporsi al movimento maderista. Nelle ricerche che ho condotto su El Paso e Juárez, ho trovato più prove a sostegno della posizione di Cockroft e alla tesi secondo la quale Madero avrebbe un debito molto più grande verso i magonistas di quanto non ritenga Knight.
Lungo questo confine, come illustro nelle pagine che seguono, i fili che legavano i due movimenti erano vasti ed estesi.
Il 24 giugno 1908, la polizia di El Paso fece irruzione nella casa di Prisciliano Silva, veterano della rivolta Teresista. Silva era già stato in carcere per la sua partecipazione all’attacco teresista contro Palomas, nel 1896. Nella sua abitazione la polizia trovò diversi giornali rivoluzionari, carabine Winchester, rivoltelle a sei colpi, 3000 cartucciere, 150 bombe di fattura artigianale, una grossa scorta di dinamite (fornita dai minatori dell’IWW dell’Arizona) e un baule pieno di lettere scritte in un codice segreto. Quando il codice fu finalmente decifrato, la polizia osservò come tutte le missive si chiudessero invariabilmente con strane parole d’ordine, con poscritti che sembravano redatti non per mano di anziani teresisti, ma da chi sognava utopie di tutt’altro genere:
• La terra è di chi la lavora.
• Aboliamo tutti i sistemi sociali che non favoriscono un vero sviluppo dell’essere umano.
• Due ore di dignitoso lavoro e il resto per la ricreazione.
Rivoluzione
anarchica
La casa di Prisciliano Silva, all’angolo tra la First e la Tays Street, a quanto risultava, era il centro delle attività del movimento anarchico messicano. Questi fatti avvenivano dieci anni prima della Rivoluzione russa, ma quel piccolo gruppo di cospiratori scoperto nella zona meridionale di El Paso stava preparandosi a scatenare una delle rivoluzioni più estreme della storia mondiale. Il gruppo considerava le proprie idee talmente “avanzate” da temere di rivelarle perfino a molti dei suoi simpatizzanti. Al volgere del secolo, i fondatori del movimento si erano dati il nome di Partido Liberal Mexicano. Ma quando il PLM aveva stabilito la propria linea avanzata a El Paso – da cui tentarono di dare il via a quattro sollevazioni armate tra il 1906 e il 1912 – la loro visione ideologica andava ben oltre il liberalismo. Non si accontentavano più di semplici riforme o di rivendicare i principi della Costituzione liberale del 1857, come avevano fatto i teresisti un decennio prima. Non volevano sostituire un dittatore con un presidente liberale, aspiravano niente di meno che a una rivoluzione anarchica in piena regola. Ciò nondimeno, Ricardo Flores Magón, il leader del Partido Liberal Mexicano, non riteneva saggio cambiare il nome dell’organizzazione. Nel 1908 aveva fatto uscire dalla sua cella, nella prigione dell’Arizona dov’era detenuto, una lettera in codice che spiegava le sue ragioni ai compagni in clandestinità a El Paso: “Se ci fossimo chiamati anarchici fin dall’inizio, nessuno ci avrebbe dato retta. Senza quell’etichetta siamo arrivati a inculcare nella testa della gente idee di odio contro la classe possidente e la casta di governo. Nessun partito liberale al mondo ha una linea anticapitalista come la nostra, che è sul punto di provocare una rivoluzione nel Messico, e a tanto siamo arrivati senza dire di essere anarchici. Dunque, è tutta una questione di tattica. Dobbiamo dare la terra al popolo, nel corso della rivoluzione, in modo che i poveri non siano ingannati. Non esiste un solo governo capace di fare il bene del paese andando contro gli interessi della borghesia. Voi, in quanto anarchici, lo sapete bene, e perciò non devo dimostrarvelo con ragionamenti o esempi. Dobbiamo dare al popolo anche il possesso delle fabbriche, delle miniere, eccetera. Per fare sì che l’intero paese non si rivolti contro di noi, dobbiamo continuare a utilizzare le stesse tattiche che abbiamo praticato con tanto successo: continueremo a chiamarci liberali nel corso della rivoluzione, mentre in realtà propagheremo l’anarchia e compiremo azioni anarchiche. Dobbiamo strappare le proprietà alla borghesia e restituirle al popolo.”.
Non si sa con precisione quando Ricardo Flores Magón fosse diventato anarchico. In gioventù era entrato in contatto una prima volta con il movimento anarchico, insieme a suo fratello Enrique. Negli ultimi anni del secolo XIX, i due, studenti di legge impegnati politicamente, avevano studiato gli scritti di Mikhail Bakunin e Pëtr Kropotkin, che sostenevano il controllo diretto delle terre e delle fabbriche da parte dei lavoratori e non degli Stati centrali o delle imprese private. In seguito, esuli negli Stati Uniti, i fratelli Magón e altri leader del PLM avevano preso contatto con vari esponenti e organizzazioni anarchiche. Avevano anche incontrato membri dell’IWW, l’anarchico spagnolo Florencio Bazora e Emma Goldman che, in occasione del suo arrivo in città, nel 1910, sul quotidiano “El Paso Times” fu irrisa come “the Queen of Anarchists”.
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I fratelli Ricardo ed Enrique Flores Magón |
Un continuo entrare
e uscire dalle galere
Ma anche in Messico Ricardo aveva trovato motivi di ispirazione per la sua visione anarchica. Il concetto di proprietà comune dei beni immobili, che escludeva la necessità di un’autorità centrale, era messo in pratica in modo naturale dalle comunità indigene del Messico da migliaia di anni. In larga misura, comunque, quella visione anarchica si sviluppò grazie alle sue esperienze dirette e alle sue riflessioni politiche.
L’esperienza gli insegnò che i governi, quale che fosse il nome che si davano, erano tutti ugualmente capaci di reprimere. Nel Messico i magonistas erano perseguitati e incarcerati per i loro scritti, da un governo che aveva a capo un dittatore. Negli Stati Uniti subivano persecuzioni non dissimili per mano di un governo che si autodefiniva democratico e liberale. Nel 1904, dopo che i fratelli Magón erano andati in esilio, gli agenti del governo americano e alcuni investigatori privati al soldo del governo messicano, diedero la caccia a loro e ai loro collaboratori in ogni angolo del paese. Dovunque cercavano di nascondersi – Laredo, San Antonio, Los Angeles, San Francisco, Sacramento, Toronto, Montreal, El Paso – erano sempre individuati dagli agenti. Le poste degli Stati Uniti, per anni, aprivano la loro corrispondenza e la inoltravano al governo messicano. Per gli esuli messicani era un continuo entrare e uscire nelle galere americane, con accuse di diffamazione, attività sediziose, violazione delle leggi sulla neutralità.
Dopo anni di lavoro organizzativo, dopo tanti scritti e riflessioni storiche, Ricardo Flores Magón era arrivato a concludere che era necessario abolire tutte le forme di governo centrale. Predisse che in Messico qualsiasi rivoluzione che puntasse a sostituire un governo centrale con un altro – sia che fosse retto da un presidente sia da una junta rivoluzionaria – sarebbe stato destinato a concludersi con un fallimento. “È successa dappertutto la stessa cosa”, scrisse nel 1908, “si innalza una bandiera che reclama riforme più o meno importanti; i poveri seguono i propri capi; lottano; scorre il sangue, più o meno abbondante e, se la rivoluzione trionfa, si forma un parlamento che trasforma in leggi gli ideali che hanno spinto le masse a imbracciare le armi e a combattere. Il parlamento è composto da individui con idee di ogni sorta, alcune avanzate, altre reazionarie, in maggioranza moderate, e mentre tutte queste idee si scontrano tra loro, gli obiettivi della rivoluzione svaniscono, perdono forza e, dopo mesi e anni, si approvano leggi che non assomigliano nemmeno vagamente agli ideali per i quali tanti hanno dato la vita. Anche se ‘per miracolo’ certi ideali che hanno ispirato la rivoluzione si trasformano in leggi, spiegava Magón, i ricchi inevitabilmente vi si oppongono e il popolo, senza pane, dà retta alla borghesia che le racconta che è necessario un compromesso”. Il risultato è che il nuovo governo che nasce è poco diverso dal precedente. Solo la rivoluzione anarchica, sosteneva sempre Magón, governata dal basso in alto da una federazione assortita di comunità operaie e contadine autonome, poteva impedire che le cose andassero in quel modo una volta di più. E qual era un buon posto per dare il via a una rivoluzione del genere? Ma El Paso, ovviamente!
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Il libro di David Dorado Romo da cui è tratto
lo stralcio pubblicato in questa pagina |
1906: Il primo
complotto magonista
I magonistas erano convinti che El Paso avesse tutti gli ingredienti giusti per un’insurrezione anarchica. Tanto per cominciare, lì c’era in abbondanza la materia prima indispensabile per un esercito ribelle. Nel 1906, più di 22.000 messicani in cerca di un lavoro erano entrati negli Stati Uniti attraverso il confine tra El Paso e Juarez. “Qui a El Paso, in un paio di giorni, è possibile reclutare almeno cinquemila uomini”, scriveva uno dei ribelli del PLM; Rómulo Carmona. “Gli uffici di collocamento traboccano di gente e vedrete che le strade sono piene di disoccupati in cerca di lavoro. La maggior parte di loro ha fame, e molti non hanno dove dormire.”
Carmona sottolineava che molti di quegli uomini avrebbero aderito alla rivoluzione “con grande entusiasmo”. “Uno di loro ha preso le armi con Victor L. Ochoa, ed è pronto ad aiutarci nella presa di Juárez.” La stampa in lingua spagnola aveva già spianato ideologicamente la strada ai magonistas. Nel 1906, a El Paso c’erano quattro quotidiani spagnoli, tutti ferventi oppositori di Diaz: “La Democracia”, “El Clarín del Norte”, “La Bandera Roja” e “La Reforma Social” di Lauro Aguirre. Il terreno era stato così ben preparato che un paio di centinaia di uomini della città furono subito pronti a seguire i magonistas nella rivolta non appena essi lanciarono il primo appello alla sollevazione armata, nel settembre 1906. Alcuni di loro erano veterani della rivolta teresista e di quella di Ochoa. I magonistas pensavano anche che Ciudad Juárez fosse un buon posto per stabilire una enclave – una testa di ponte verso il deserto. In città c’era un ufficio doganale zeppo di soldi, una linea ferroviaria che portava direttamente al capoluogo dello Stato di Chihuahua e per giunta Juárez era situata proprio nel centro della frontiera tra Messico e Stati Uniti, il che la rendeva il punto più strategicamente adatto per il quartier generale da cui dirigere le sollevazioni negli Stati confinanti.
Il PLM decise di fissare la propria base a El Paso nell’autunno del 1906. Ricardo Flores Magón e il suo compagno giornalista e agitatore Juan Sarabia arrivarono nella città di confine in settembre dopo un viaggio di sessanta ore in treno da Montreal. Nella città canadese erano riusciti a far perdere le proprie tracce ai detective della Furlong, assoldati dal governo messicano per scovarli.
A El Paso, Magón e Sarabia s’incontrarono con altri membri della direzione del PLM, arrivati in precedenza in città per preparare il terreno all’insurrezione. Molti dei cospiratori erano giornalisti, proprio come loro due. In realtà gran parte dei leader del PLM che avevano utilizzato in un periodo o in un altro El Paso come base (possiamo citare Antonio Villareal, Práxedis Guerrero, Enrique Flores, lo stesso Magón, Juan Sarábia e Lazaro Gutiérrez de Lara) scrivevano o collaboravano per l’organo del partito, “Regeneración”.
“Non siamo stranieri in nessun paese non lo siamo per nessun popolo della terra. Il mondo intero è il nostro paese e tutti gli uomini sono nostri compatrioti. Se è vero che per nascita siamo messicani, i nostri animi non sono così meschini la nostra visone non è tanto ristretta, da considerare straniero o nemico chi è nato sotto altri cieli.” (Enrique Flores Magón)
Quella del giornalista era la professione perfetta per gli anarchici messicani. Pubblicare i propri giornali dall’esilio ben si adattava alla loro ideologia antiautoritaria. Era un’attività collettiva e democratica con una minima struttura gerarchica. I giornalisti del movimento magonista condividevano quasi tutto: il cibo, l’alloggio, talora perfino i vestiti (quando Antonio Villareal abbandonò il PLM; accusò Ricardo Flores Magón di avere condiviso anche la propria compañera con i compagni anarchici).
Nel momento di maggiore successo, “Regeneración” diffondeva circa ventimila copie a numero. La maggioranza dei suoi lettori era costituita da operai e da fronterizos della classe media. Ma era anche letto in tutto il paese, da persone che avevano funzioni centrali nella Rivoluzione messicana, come Francisco Madero, Pascual Orozco, ed Emiliano Zapata. (Zapata avrebbe poi offerto ai magonistas di trasferire la redazione e la stampa di “Regeneración” nello Stato di Morelos, dove c’era una forte presenza del movimento contadino zapatista. Magón declinò l’offerta, paradossalmente convinto che la zona di frontiera con gli Stati Uniti fosse più opportuna per propagandare la forma di anarchia senza confini da lui sostenuta).
Il giornale era uno strumento organizzativo molto efficace. Esso contribuiva a costruire una rete di lettori e di simpatizzanti, e serviva come mezzo di reclutamento per i circoli del PLM. La stessa lettura di “Regeneración” era un evento collettivo. “L’atto fisico della comunicazione era importante per mantenere la tensione all’interno della organizzazione”, scrive lo storico chicano Juan Gómez Quiñones. “L’arrivo di “Regeneración” e di altri periodici era un momento di gioia e una prova certa della vita del movimento. Quel giorno si formava un gruppo e chi sapeva leggere lo leggeva ai compagni analfabeti. Seguivano ore e ore di discussioni, con apprezzamenti misti a critiche; la cosa si ripeteva per giorni.”.
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Prima pagina di un numero del giornale
“Regeneración”. Al centro, nella foto
principale, si può riconoscere
Ricardo Flores Magón |
Impadronirsi
di Ciudad Juárez
Il giornalista rivoluzionario del posto, che si trovava nel cuore degli eventi, era Lauro Aguirre. Costui aveva il compito di diffondere “Regeneración” a El Paso e a Juárez. Quando il “New York Herald” pubblicò un servizio sul PLM a El Paso nel 1906, fu Lauro Aguirre a parlare in nome dei magonistas. Ma egli aveva anche compiti da svolgere dietro le quinte. La redazione del giornale in Campbell Street fungeva da centro in cui i magonistas tenevano le proprie riunioni segrete. Fu qui che prepararono il piano per impadronirsi della città di Juárez:
- Duecento magonistas avrebbero occupato Juárez nella terza settimana di ottobre (per quella data il raccolto sarebbe finito e i lavoratori agricoli avrebbero avuto i soldi per comprare armi e munizioni).
- Gli insorti avrebbero attaccato le caserme, il palazzo del comune, la dogana, le banche e le aziende nelle quali avrebbero potuto trovare armi e vettovaglie.
- Gli insorti avrebbero sequestrato l’uomo più ricco di Juárez, Ygnacio Ochoa, un politico porfirista con interessi economici sui due lati della frontiera, e avrebbero dato alle fiamme la sua abitazione se non avesse versato mezzo milione di dollari ai ribelli.
- Una volta impadronitisi di Juárez, i rivoluzionari avrebbero preso possesso della linea ferroviaria per Ciudad Chihuahua.
- El Paso sarebbe rimasta la sede della giunta rivoluzionaria e la base principale per il contrabbando di armi.
L’attacco doveva essere coordinato con piccoli gruppi di guerriglia che si sarebbero sollevati in armi lungo tutto il confine. Il segnale per muoversi sarebbe stato un telegramma inviato a ogni cellula magonista clandestina che diceva: Manda soldi per la macchina.
Queste erano le istruzioni di Ricardo Flores Magón: “Una volta in territorio messicano bastano cinque uomini devoti alla causa e risoluti per radunare molti bravi guerriglieri dalle campagne. La cosa da tenere a mente è che non si devono avere esitazioni al momento giusto e che gli obiettivi importanti vanno attaccati quando ci sono le forze sufficienti.”.
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Un libro sulla figura di Praxedis G. Guerrero,
edito da La Fiaccola, Ragusa, 1976 |
Il piano
fallisce
Il console messicano, Francisco Mallén, era stato informato del piano fin dall’inizio. Dopo la rivolta teresista aveva messo qualcuno alle costole di Lauro Aguirre ed era così venuto a sapere delle riunioni di preparazione dell’attacco a Juárez tenute nelle redazioni del giornale. Comunicò dunque ai suoi superiori che i fogli rivoluzionari stampati nella tipografia di Aguirre erano diffusi in città dai simpatizzanti di Magón. “È un fatto assodato che a El Paso esiste una centrale rivoluzionaria”, scriveva il governatore di Chihuahua Enrique Creel, “e io sono convinto che sia necessario organizzarci per eliminarlo.” Creel sollecitò il presidente Díaz a non badare a spese per sbarazzarsi della minaccia rappresentata dai magonistas.
Due ufficiali dell’esercito messicano s’infiltrarono nelle file del movimento, fingendosi simpatizzanti. Una volta conquistatisi la fiducia del rivoluzionari, li denunciarono alle autorità prima che potessero dare il via al piano di attacco. Il 19 ottobre 1906, più di venti sospetti furono arrestati tra El Paso e Juárez. Lauro Aguirre fu preso nella redazione del suo giornale e incriminato per violazione della legge sulla neutralità in vigore negli Stati Uniti. La preda più grossa sui cui misero le mani le autorità di El Paso fu Antonio Villareal, che si era nascosto in una pensione sopra il Legal Tender Saloon di Overland, a soli due isolati dalla prima abitazione di Teresita Urrea in città.
Villareal era uno dei principali esponenti del Partido Liberal Mexicano (successivamente si sarebbe staccato dai magonistas e sarebbe diventato governatore di uno Stato, ambasciatore in Spagna e presidente provvisorio della Convenzione di Aguascalientes nel 1915). Mentre lo arrestavano si mise a strepitare per avvertire Ricardo Flores Magón dell’incursione della polizia, dandogli così la possibilità di scappare saltando da una finestra, di raggiungere la stazione e saltare su un treno diretto a Los Angeles.
Quella stessa giornata le autorità di Juárez arrestarono Juan Sarabia e altri quindici sospetti, che furono catturati mentre attraversavano il Rio Grande con armi e rifornimenti per il previsto attacco. La polizia di Juárez sequestrò duecento bombe, varie carabine, un lungo rotolo di miccia e una cintura di cartucce nascoste in una baracca in Ugarte Street.
Sarabia fu incriminato per tentato omicidio, rapina, tentativo di distruggere edifici pubblici, incitamento alla ribellione e offese al presidente, e gli furono inflitti sette anni di prigione da scontare nella fortezza-carcere di San Juan Ulúa, a Veracruz.
Le autorità messicane erano estasiate. Il 23 ottobre l’“El Paso Herald” scriveva: “ Il sindaco Montemayor ha ricevuto lettere di congratulazioni da Chihuahua e da Città del Messico per gli arresti effettuati a Juárez. La polizia messicana è convinta di avere finalmente spezzato la spina dorsale della Junta, che per anni aveva portato avanti la propria propaganda, creando disordini, fomentando lo spirito di ribellione tra le classi più povere e incoraggiando i sobillatori più disperati.”
Ma il regime di Diaz peccava di esagerato ottimismo. Non era così facile liberarsi dei magonistas. Tre mesi dopo il suo arresto, la polizia consegnò Antonio Villareal alle autorità americane dell’immigrazione, perché lo rimandassero in Messico. Il 25 febbraio 1907, però, Villareal riuscì a sottrarsi alla sorveglianza delle guardie. L’ispettore dell’Immigrazione, Tony Sierra, lo stava portando al Santa Fe Street Bridge quando il prigioniero si eclissò: aveva chiesto il permesso di andare all’ufficio postale per mandare un telegramma ai suoi parenti. Sierra acconsentì e scortò il suo uomo fino all’ufficio della Western Union, in South Oregon Street. Villareal entrò, mentre l’ispettore restava all’ingresso. Un minuto dopo comparve, sul suo calessino, l’ispettore capo Schmucker e Sierra si allontanò di un paio di metri per scambiare qualche breve parola. Quando ritornò all’ingresso dell’ufficio, il suo uomo s’era già eclissato.
Villareal si incontrò in California con Magón e con altri membri del Partido Liberal Mexicano. Dal luogo in cui si nascondevano a Sacramento, i magonistas fecero circolare un comunicato che prendeva in esame tutte le difficoltà incontrate a El Paso. “Tali persecuzioni non hanno spento il nostro entusiasmo e non hanno incrinato la nostra intenzione di vedere il programma del PLM mettere le radici nella nostra terra.”. Le contrarietà non avevano fatto altro che renderli ancora più determinati.
«A ogni e a ciascun messicano
di coraggio noi diciamo: messicano,
il tuo migliore amico è il fucile. Compratelo.
Fa che sia un Winchester 30-30.
Assicurati di avere il maggior numero possibile di munizioni.
Abbi cura del tuo fucile, impara bene a maneggiarlo con abilità.
È il tuo biglietto per la libertà.»
Antonio Villareal, dirigente del PLM arrestato a El Paso |
1908: i magonistas
ci riprovano
Nel 1908, i capi del PLM si radunarono nuovamente a El Paso per tentare un’altra volta di impadronirsi di Juárez. L’attacco fu fissato per il 25 giugno e doveva essere coordinato con sollevazioni di più di una quarantina di gruppi legati a Magón, in gran parte lungo il confine tra il Messico e gli Stati Uniti. L’azione a Juárez sarebbe servita da segnale di mobilitazione per altri gruppi. Ricardo Flores Magón era rinchiuso un una prigione dell’Arizona per violazione della legge sulla neutralità, e vi sarebbe rimasto fino al 1910. Per il momento toccava ad altri entrare in azione secondo il piano.
Le spie del governo messicano erano nuovamente riuscite a infiltrarsi nel movimento clandestino fin dall’inizio. Ancora una volta si erano messe alle costole di Lauro Aguirre. Costui era stato processato per violazione della legge sulla neutralità nel 1895 e nel 1906 e in entrambi i casi era stato assolto, ma era evidentemente nella lista dei principali sospetti. Una spia al servizio del governo Díaz riferì che Lauro teneva riunioni settimanali, ogni mercoledì sera, nel bar messicano di Oklahoma Street (oggi Myrtle Street), non lontano dal Washington Park. L’informatore l’accusò di reclutare volontari per assassinare il capo della polizia di Juárez e due ufficiali federali ritenuti responsabili di avere tradito i magonistas nella fallita rivolta dell’ottobre 1906. La spia messicana infiltrata, partecipando alla riunione, si convinse che Lauro Aguirre fosse il principale leader degli anarchici di El Paso.
Ma si sbagliava. Aguirre non era un anarchico, ma uno spiritualista che aspirava a una società in cui “capitale e lavoro hanno rapporti armoniosi tra loro”.
Ricardo Flores Magón considerava Lauro Aguirre un uomo sincero e incorruttibile, ma anche un po’ picchiato.
Dalla prigione dov’era rinchiuso, Ricardo scrisse una lettera al fratello Enrique, con lodi e critiche al vecchio militante teresista: “Lauro Aguirre è l’uomo dall’anima più immacolata che io abbia mai incontrato. Buono come Gesù. La sua povertà ci dice molto in difesa di questo originale pioniere della lotta, di quanto non possa dire io. È un povero Cristo vecchio e incorruttibile, un po’ toccato, ma incorruttibile. È uno che potrebbe nuotare nel fango senza macchiarsi. Non è un cuor di leone, e certe volte ricorre a tattiche discutibili, ma è uno spirito puro, giusto e sincero. Lo ripeto, non ho mai visto uno come lui in tutta la mia vita. D’altro canto il povero Don Lauro è del tutto inutile nelle imprese audaci e rivoluzionarie. Si spaventa troppo facilmente, è un po’ duro di comprendonio e non potremmo proprio affidargli un segreto. Per giunta è amico di un ubriacone, un tale Cano, al quale racconta tutto quello che sa: Don Lauro è un uomo che dà via tutto quello che possiede, che si toglierebbe la camicia per regalarla a chiunque abbia freddo. È un’anima benedetta.”
I veri capi della seconda sollevazione del 1908 erano Enrique Flores Magón, Práxedis Guerrero e Prisciliano Silva, che condividevano completamente le idee anarchiche di Ricardo.
Enrique arrivò a El Paso pochi mesi prima della prevista rivolta. Poiché non gli bastavano i soldi per raggiungere il confine messicano in treno, si finse un violinista italiano e riuscì a pagarsi il viaggio suonando ai passeggeri da un vagone all’altro.
Práxedis Guerrero – che i compagni chiamavano semplicemente Práx – arrivò in città all’inizio del 1908, anch’egli per preparare la rivolta. Era uno dei membri più carismatici e più attivi dell’organizzazione anarchica. Era figlio di un ricco hacendado di Guanajuato, ma aveva rinunciato all’eredità ed era emigrato negli Stati Uniti. Nel 1904 varcò il confine a El Paso, mantenendosi lavorando come bracciante nelle campagne e come minatore, ma accettando i lavori più duri in tutto il Sudovest. Nel 1909 cominciò a pubblicare, a El Paso, il “Punto Rojo”, un foglio anarchico con una diffusione di più di diecimila copie.
Prisciliano Silva, che abitava a El Paso, avendo guidato le spedizioni rivoluzionarie in armi in territorio messicano aveva più esperienza sul campo sia di Guerrero sia di Magón, ma era storia di dieci anni prima. Dopo la ribellione teresista del 1896 un giudice federale di El Paso aveva condannato Silva a due anni di carcere e a una multa di 1 dollaro per violazione della legge sulla neutralità: il fronterizo in miseria, in tutta risposta aveva borbottato: “Mi sta bene la prigione, ma dove vado a prenderlo un dollaro?” Scontata la condanna, era pronto a violare nuovamente la legge e a finire in cella tutte le volte che fosse necessario per abbattere il governo di Porfirio Díaz.
«Dobbiamo esercitare una forte vigilanza
per scoprire e per capire chi sono i sovversivi a [ElPaso]
e impedire loro di agire; perché se lasciamo allignare
quei semi maligni, prima o poi germineranno.
Sono certo che una certa classe di cattivi messicani
è già stata raggiunta dalla loro propaganda anarchica.
Dobbiamo scovarli con tenacia e annientarli completamente…
Non tratterò gli anarchici con i guanti bianchi.»
Francisco Mateus, Sindaco di Juárez, luglio 1908 |
L’irruzione
poliziesca
Nel 1908, gli anarchici usarono la sua abitazione nella zona meridionale della città, per accumulare le armi e il materiale di propaganda. Secondo i quotidiani locali, un vicino che aveva notato un andirivieni di gente in tutte le ore della notte, aveva segnalato alla polizia gli strani movimenti intorno alla casa di Prisciliano. La polizia non tardò a fare un’irruzione, il 23 giugno, scoprendo una notevole quantità di armi. Per pura fortuna, dichiararono i poliziotti, l’irruzione era avvenuta appena ventiquattr’ore prima del previsto attacco a Ciudad Juárez. In realtà, per la stretta collaborazione tra le autorità messicane e americane, la polizia di El Paso era al corrente del nascondiglio anarchico da varie settimane. Ancora una volta la collaborazione tra i due governi aveva soffocato la rivolta prima che esplodesse.
Prisciliano Silva e suo figlio Benjamin furono arrestati nel corso dell’incursione. Finirono in cella anche altri anarchici nascosti in diverse zone della città. Lauro Aguirre e Benjamin Silva, portati davanti a un giudice federale, furono assolti per insufficienza di prove. Per Aguirre era la terza volta. Il vecchio redattore doveva aver cancellato bene le tracce della sua attività. Ma la sentenza di assoluzione doveva essere anche dovuta al sostegno di Ike Alderete, capo delle guardie confinarie a El Paso e impiegato del tribunale distrettuale, che aveva versato in varie occasioni una cauzione per Aguirre e forse aveva utilizzato la propria influenza politica per scagionarlo.
Prisciliano Silva, invece, che non godeva di simili protezioni fu condannato nuovamente a due anni da scontare nel penitenziario di Leavenworth.
Enrique Flores Magón e Práxedis Guerrero riuscirono a sfuggire alla polizia e a scappare dalla città. Nonostante lo scacco, erano decisi a portare avanti l’attacco alla città di confine messicana, con tutti gli uomini che potevano mettere insieme. Purtroppo erano più capaci come giornalisti che come tattici militari. Práx propose un Piano B. Decise di aggredire la guarnigione militare di Palomas – proprio quella cittadina dello Stato di Chihuahua, a settanta miglia a ovest di El Paso che Prisciliano Silva aveva tentato senza successo di occupare una dozzina di anni prima. Il 30 giugno, poche ore prima del previsto attacco, Enrique Flores Magón si ferì accidentalmente a un piede e non poté partecipare all’azione. Le forze rivoluzionarie di Práx si ridussero così da dieci a nove uomini, che comunque si lanciarono contro la guarnigione. Nella breve sparatoria che seguì, ci fu un morto da entrambe le parti. Ma i magonistas finirono presto le munizioni e furono costretti a ritirarsi. Poche altre cellule clandestine del movimento inscenarono analoghi sfortunati attacchi lungo il confine.
Eppure, proprio come Victor Ochoa con il suo Ornithopter, questi minimi contrattempi non scoraggiarono gli anarchici.
Prisciliano Silva, Práxedis Guerrero e il loro compagno giornalista Lázaro Gutiérrez de Lara sarebbero riapparsi a El Paso due anni dopo, pronti a un’altra incursione in territorio messicano. E stavolta avrebbero avuto il vento della rivoluzione in loro favore. A quel punto, la caduta di Díaz pareva tanto certa che Lázaro Gutiérrez de Lara, temendo che il vecchio dittatore abdicasse prima di subire la giusta punizione, gli scrisse una lettera aperta: “E tu, Díaz, assassino dei tuoi simili, stai già annegando nel sangue delle tue vittime. Gli uomini ti disprezzano, le donne ti odiano, i bambini ti maledicono. Vivi quanto basta per soffrire, perché il popolo possa castigarti mentre sei ancora in vita. Vivi… vivi un po’ di più.”
Nel febbraio 1911 circa centocinquanta guerriglieri magonistas comandati da Silva occuparono la città di Guadalupe, trentasei miglia a sud di El Paso. Nel distretto di Galeana ci furono numerose sommosse filo-PLM. Gli anarchici presero anche Mexicali e altre cittadine lungo il confine della Baja California
Sembrava che gli anarchici stessero per farcela. Ma proprio quando erano sul punto di scatenare la rivoluzione, al posto di guida saltò un altro pilota: un ricco proprietario terriero, chiamato Francisco Ignacio Madero, Jr.