Rivista Anarchica Online


lingue/culture

Per la disidentità e il meticciamento
di Marc Tibaldi

 

Proposta di una strategia a partire dal caso Südtirol/Alto Adige.

 

“Zeit revolution metix babel felix”, scritta spray su un muro di Merano. Tempo, rivoluzione, meticciamento, babele felice, questi i concetti espressi, in una lingua creoloeuropea inventata. Al suo posto ora c’è un disegno di Blu e Ericailcane, duo graffittaro bolognese, fatto in occasione di una mostra al Kunsthaus. Il tutto sembra la metafora del disinteresse italiano ed europeo riguardo alla “questione sudtirolese”, anche da chi si pensa come alternativo. Il duo graffittaro alternativo avrebbe dovuto accorgersi di uno dei pochi segni vitali della cittadina tirolese, e non cancellarlo, magari integrandolo nella propria opera, così come tutti, anche gli alternativi, dovrebbero, ma non lo fanno, prestare attenzione alla questione sudtirolese non solo come a uno dei tanti problemi del pianeta ma soprattutto alla sua significativa e paradigmatica condizione, interessante per aver spunti di riflessione sulle dinamiche transculturali. Quelle dinamiche, definite da alcuni studiosi come postcoloniali, diffuse ormai in tutto il pianeta, non solo nelle ex-colonie, dovute ai flussi dei migranti e alla planetarizzazione di economie e culture.
Questo breve viaggio nel Südtirol/Alto Adige diventa quindi, non solo cronaca e curiosità, ma stimolo di riflessione politico-culturale che va oltre le valli della provincia autonoma di Bolzano.
Che cos’è il Sudtirolo per la maggior parte degli abitanti della Penisola? Speck, mele, vini, turismo, campioni di sport invernali (che vengono ridicolizzati da giornalisti fascisti della tv perché non sanno l’Inno di Mameli), Reinhold Messner, Lilli Gruber e montagne, molte montagne. Ma c’è dell’altro, molto interessante. Vediamo.

Brigitte Niedermair, Oukhet-sister (particolare), dal catalogo della
mostra “Un erhört / Previsioni”, a cura di Angelica
Burtscher e Thomas Kager, Raetia Edition

Il fuoco sotto le ceneri

Perfino il Dalai Lama, un anno fa in visita a queste terre, accompagnato dall’immancabile Messner (lo stesso che negli anni Settanta si rifiutava – giustamente – di piantare bandiere nazionali sulle cime delle vette raggiunte e ora nelle pubblicità fa scivolare bottiglie di plastica di acqua minerale), ha sostenuto essere il Sudtirolo esempio di convivenza da imitare e da proporre in Tibet e in ogni luogo del mondo. Però, nonostante la tanto sbandierata convivenza plurietnica, plurilinguistica, pluriculturale, se si gratta la superficie della tranquilla vita sudtirolese sotto si trova l’odio nazionalistico della destra italiana e forse anche i candelotti con cui negli anni Sessanta gli indipendentisti fecero saltare i tralicci. La stessa dinamite ma condita e aggiornata con tutti gli slogan che ormai siamo soliti ascoltare dai territorialismi aggressivi (siano essi “nazionali” o “locali”) e dal nuovo razzismo differenzialista (cioè quel razzismo che in nome della difesa delle diversità non si definisce come tale).
Certo non si può chiudere gli occhi davanti a esempi di separatezza/apartheid: dai quartieri italiani a Bolzano e Merano, ai quotidiani: “Alto Adige” e “Corriere dell’Alto Adige” (allegato al Corsera) solo in italiano, “Dolomiten” e “Tageszeitung” solo in tedesco.

Magdi e Gad (e Alex)

Paranoia tour 2006 di Magdi Allam. Comicità della situazione: in Sudtirolo un islamico laico presenta il suo libro Io amo l’Italia. Ma gli italiani la amano? (Mondadori). La serata è organizzata dal “gruppo culturale Giorgio La Pira”, con patrocinio di Comune di Merano, Provincia e una banca. La sala è al completo, zeppa anche di poliziotti in borghese e guardie del corpo. Magdi Allam, più italiano di un italiano, più papista del papa, inframmezza le sue prediche con il ritornello “viene meno il senso dello Stato” sostenendo che per entrare in Italia un immigrato dovrebbe conoscere l’italiano, rispettarne la cultura e gli usi, giurare fedeltà alla democrazia; propone la costituzione di un ministero dell’Identità nazionale e dell’integrazione... Interventi dal pubblico: circa 15, solo italiani. Infatti, su 300 persone circa che assistono all’incontro, a “naso” il 95% è del gruppo italiano, e il 5% divisi tra mistilingui e tedeschi (quando a Merano circa il 55% della popolazione si dichiara parte del gruppo tedesco). Dagli entusiasmi e dagli applausi ad Allam quando critica il governo Prodi, si capisce che la sala è nettamente sbilanciata a destra. Nessuno degli intervenuti tenta un aggancio con la situazione territoriale.
Il giorno successivo, a Bolzano, Gad Lerner presenta il suo Tu sei un bastardo. Contro l’abuso delle identità (Feltrinelli). Durante l’incontro, Lerner è l’unico a dire qualcosa in tedesco (e a ricordare la figura di Alex Langer), moderatori, presentatori, politici e pubblico intervengono in italiano. La locandina che presenta l’incontro è solo in italiano. Le percentuali dei gruppi linguistici in provincia sono 70% tedeschi, 25% italiani, 5% ladini. In realtà gli immigrati dichiarati, dell’est (in Sudtirolo la maggior parte degli immigrati sono di “pelle bianca”, quindi meno immediatamente riconoscibili) e di altri luoghi del mondo, sono oltre 5.000 solo a Bolzano e oltre 30.000 nella provincia. Il libro è un discreto viatico per iniziare a masticare qualche concetto in merito all’ossessione identitaria.
Lerner attinge da pensatori innovativi del pensiero critico e ne piega le idee in furbo giornalismo, spiega concetti e idee su tradimento, diaspora, spaesamento, sostiene che le ossessioni identitarie nascondono le questioni sociali e che razzisti, leghisti e fascisti sono gli imprenditori politici della gestione delle paure. Tesi interessanti, anche se già conosciute. Critica anche il gruppo delle filosofe di Diotima, che “mettono al centro l’identità di genere per poi fare fatica a trovare un comune denominatore con le altre lotte”. Ma in fondo Lerner non è altro che la banalizzazione delle ricerche sulla dissoluzione delle identità. Dieci anni fa usciva Passing. Dissolvere le identità, superare le differenze (recentemente ripubblicato da Meltemi), saggio di Anna Camaiti Hostert che su questi problemi ha scritto cose chiare e definitive.
Lerner, col suo cane bastardo in copertina, combatte solo l’abuso delle identità, non l’ossessione identitaria. Si ferma esattamente dove si era arenato, seppur con nobili intenzioni, Alex Langer, dieci anni fa. Langer era giustificato in parte dal caotico momento storico, che viveva in presa diretta, occupandosi della situazione della ex Jugoslavia. “Si valorizzino le persone e le forze capaci di autocritica verso la propria comunità; veri e propri ‘traditori della compattezza etnica’, che però non si devono mai trasformare in transfughi, se vogliono mantenere le radici e restare credibili”, è una delle considerazioni di Langer che Lerner riporta nel suo libro.
È proprio quel “non si devono mai trasformare in transfughi” che non funziona. Langer sbagliava, e non meraviglia che successivamente, sconfessando in parte le proprie idee e pratiche (sua era stata la geniale proposta di rifiutarsi di dichiarare l’appartenenza etnica al censimento del 1981), avesse potuto scrivere: “...mi sembra di poter dire che i conflitti e le solidarietà etniche abbiano il più forte potere coinvolgente che sin qui io abbia conosciuto...” (da Aufsätze zu Südtirol – Scritti sul Sudtirolo, edizioni Alpha&Beta, testo importante per comprendere queste terre e per conoscere le battaglie dell’ex direttore di “Lotta Continua” e leader dei Verdi). Langer non seppe leggere la crisi e i mutamenti della situazione politica, economica e sociale iniziati alla fine degli anni Settanta. Il passaggio dal moderno al postmoderno, dal fordismo al postfordismo, il crollo del potere delle nazioni e l’imporsi di gruppi multinazionali; solo all’interno di queste dinamiche era ed è possibile leggere la produzione identitaria e l’imporsi delle politiche etnicistiche.
Quello che occorre discutere sono proprio le macchine sociali che creano e ricreano le identità e le differenze che vengono definite come locali, nazionali, etniche, linguistiche. Queste “identità” non sono né preesistenti né naturali: sono effetti di un regime di produzione. In questo contesto i processi di globalizzazione neoliberista e i territorialismi aggressivi non sono in contrapposizione ma due facce della stessa medaglia: le multinazionali controllano soldi e merci, i nazionalismi e i localismi i corpi.
Così come la nazione, anche le identità etniche e/o linguistiche, sono delle scorciatoie ideologiche con cui si tenta di liberare i concetti di sovranità e di modernità dall’antagonismo. Valorizzare queste identità significa sospendere i conflitti che stanno alla base della modernità (quando non si arriva a sospenderli definitivamente). Così come per la nazione, occorre denaturalizzare questi concetti e chiedersi che cos’è un’identità, come si costituisce. In questa maniera sarà evidente la loro non-originarietà: non sono sempre esistite, la loro invenzione deve essere smascherata.

Vermaechtnis, “eredità”

È un verminaio di carne putrefatta il contenuto di Vermaechtnis, libro patinato e cd musicale (rock punkizzato e testi predicatori) a cura dell’associazione omonima, appena usciti in libreria (si veda il sito vermaechtnis.at). Vermaechtnis (si traduce con “lascito”, “eredità”), gruppo secessionista, è più a destra dell’estrema destra, in linea con certo pensiero reazionario che fa dell’Europa nazione e del comunitarismo locale la propria bandiera. Critica i giovani sudtirolesi di lingua tedesca che sono attratti dalle idee naziste (tempo addietro nazi sudtirolesi di lingua tedesca e altoatesini di lingua italiana si sono scontrati con coltelli e feriti in una rissa notturna). Ricorda loro che nel 1939 i nazisti cedettero la Heimat (la patria territoriale) ai fascisti. Ma tutto il libro riecheggia la lugubre e razzista filosofia del “sangue e suolo”. È proprio vero, chi cerca radici semina odio. I contenuti non sono lontani da quelli propagandati da Eva Klotz e dal suo gruppo politico, quell’Union für Südtirol che accusa la Südtiroler Volkspartei di essere comunista perché alleata del centrosinistra in molte tornate elettorali.

Un erhört immaginazione

“Visionen des jungen Südtirol/Pre visioni del giovane Sudtirolo” è una vivace mostra d’arte visiva (a Bolzano, presso la Lungomare Gallery) che raccoglie le opere di 43 artisti locali che riflettono sulla condizione dell’Alto Adige/Südtirol con proposte fantastiche, utopiche, futuristiche “accomunate da un desiderio di cambiamento”. Alla mostra sono affiancati cinque dibattiti su cultura, ambiente, convivenza, economia, politica, spazi giovanili, ai quali sono stati invitati i soliti esperti e politici. Se si ignorano le migliori riflessioni e proposte in fatto di libertà e liberazione elaborate precedentemente, non si potranno avere idee, critiche e progettualità innovative e ci si limiterà ad organizzare dibattiti democratici che lasciano inalterato l’esistente. Molto meglio allora le provocazioni visive della mostra, concrete e visionarie, producono più mutazioni positive di mille discussioni.



Tragedistan, ovvero dell’ironia

Che il Sudtirolo sia più Sudtirolo che Alto Adige è evidente a tutti, tranne forse a quei due o tre storici dilettanti e fascisti che ancora si appassionano a etimologie latine e toponomastiche più o meno inventate (come sanno tutti coloro che hanno vissuto in realtà di confine, esistono zone di compenetrazione di culture e lingue che, a pensarci bene, sono del tutto normali). Eppure si può fare di meglio! Per esempio rinominare con creatività i luoghi, ad iniziare proprio dal nome della provincia. “Tragedistan” l’ha chiamata nel suo ultimo romanzo Alessandro Banda, arguto e ironico scrittore meranese. È proprio l’ironia ad essere una delle terapie contro l’irrigidimento dell’ossessione identitaria. “Ma se noi sappiamo che, contrariamente all’opinione diffusa nel Tragedistan, il mondo non è poi così diverso dal Tragedistan, perché mai dobbiamo insistere nel descrivere l’ambiente tragedistano e le sue condizioni di vita?”, si chiede la voce narrante di Scusi, Prof, ho sbagliato romanzo (Guanda).
Leggiamo ancora: “Nel Tragedistan ci sono dunque più lingue: lingue giuste e lingue sbagliate. Una cosa giusta detta o scritta in una lingua sbagliata diventa automaticamente sbagliata. Una cosa sbagliata detta o scritta in una lingua giusta, diventa giusta, automaticamente anch’essa”. “Il Tragedistan (Tragedistan meriodionale per la precisione) è un posto dove ci sono più lingue. La cosa in sé è abbastanza comune, essendo, al mondo, le lingue presenti a migliaia, gli stati a centinaia. Quindi in ogni stato esistono più lingue. Ma nel Tragedistan pensano che questo fatto normale sia invece eccezionale. Che la situazione sia così solo da loro, e in nessun altro posto al mondo”. Condividere le opinioni della voce narrante del romanzo significherebbe però non comprendere che la specificità sudtirolese può diventare punto privilegiato per una ragionamento innovativo sul possibile divenire delle culture e il loro vivificante meticciamento.

Ivo Corrà, Vittoria x tutti (si tratta di un ironico detournement del
contestato monumento fascista di Bolzano, ndr) dal catalogo della
mostra “Un erhört / Previsioni”, a cura di Angelica Burtscher e
Thomas Kager, Raetia Edition

Nessuna speranza? Inventiamola

“Le tradizioni culturali vanno difese” è un ritornello che si sente da più parti. No! Le culture e lingue vanno messe nelle condizioni di cambiare più rapidamente e felicemente possibile. Dobbiamo avere un senso dialettico della profondità storica, le culture e le lingue non sono sempre esistite così come le conosciamo e quindi anche in futuro non esisteranno uguali ad ora. Difenderle significa bloccare il divenire storico, è illusione conservare una cosa mentre il tempo passa, farlo significa produrre risentimento e odio. Meticciamento, invenzione, creatività, immaginazione, gioco, ironia, poliglossia (l’accertata possibilità dei bambini ad apprendere tranquillamente più lingue), questi sono i disinneschi che sminano la territorializzazione aggressiva. Questa è forse la linea di deterritorializzazione costitutiva per uscire dalle trappole dell’ossessione identitaria e dalla politica ottocentesca legata agli arrugginiti concetti di popolo-lingua-nazione-stato. Proprio come ci dice con chiarezza preveggente Giorgio Agamben “...solo spezzando in un punto qualsiasi la catena esistenza del linguaggio-grammatica-(lingua)-popolo-Stato, il pensiero e la prassi saranno all’altezza dei tempi (Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati Boringhieri). In Sudtirolo e in qualsiasi luogo.

Marc Tibaldi

Opzioni, accordi, petizioni

Opzione, 1939

Alla fine della prima guerra mondiale il Sudtirolo passa all’Italia. Il fascismo chiude le scuole tedesche e favorisce l’immigrazione italiana. L’alleanza tra Mussolini e Hitler precipita il Sudtirolo nella tragedia delle “opzioni”, decise nel 1939: i sudtirolesi potevano scegliere tra la cittadinanza del Reich, che obbligava all’espatrio, e quella italiana, che significava la rinuncia a ogni diritto di far riconoscere la propria lingua e cultura. Circa 230 mila sudtirolesi scelgono di andarsene, ne partiranno solo 80 mila, i rimanenti sono soprattutto contadini, aiutati da una parte del clero (a conoscenza di cos’è realmente il nazismo). Poi arriva la guerra a rimescolare le carte. Il Sudtirolo si trova sulla strada per la Germania e dopo il settembre ’43 passa sotto il diretto controllo nazista fino alla Liberazione. Nel dopoguerra quasi tutti gli optanti partiti tornano in Sudtirolo, anche quelli che non rinnegano il nazionalsocialismo.
Sono proprio questi che tesseranno quel filo nero che lega nazismo vecchio e nuovo, e non solo sudtirolese utilizzando la questione specifica territoriale per non far morire l’ideologia del “sangue e suolo” (Gianni Flamini nel suo Brennero connection. Alle radici del terrorismo italiano, Editori riuniti, sostiene che negli anni ’60, servizi segreti, neofascisti tedeschi e italiani, si addestrarono in queste terre sia in funzione antisovietica sia per preparare la “strategia della tensione” degli anni successivi).

Accordo Gruber-De Gasperi
Alla fine della seconda guerra mondiale i trattati di pace assegnano il Sudtirolo all’Italia, rifiutando l’istanza di autodecisione. Nel 1946, il trattato Gruber-De Gasperi sancisce l’autonomia della provincia di Bolzano. Nel 1960 l’Austria denuncia all’ONU la mancata attuazione dell’accordo. II 1956 e il 1961 sono gli anni degli attentati terroristici. Nel 1961 una commissione elabora un “pacchetto” di misure per l’attuazione dell’autonomia.

Vassalli-Zoderer
Ventidue anni fa, nell’estate del 1985, uscirono due libri molto diversi fra loro che parlavano dell’Alto Adige. L’italiana (Mondadori), romanzo di Joseph Zoderer, scrittore sudtirolese, pubblicato l’anno precedente in Germania in lingua tedesca, e Sangue e suolo, un reportage sul Sudtirolo, scritto da Sebastiano Vassalli (ex partecipante al Gruppo 63, poi rivelatosi esteticamente e politicamente attento a posizioni reazionarie) pubblicato incredibilmente da Einaudi.
Su “Reporter”, Alex Langer scrisse una recensione molto acuta ai due testi dove valorizzava la sensibilità transculturale di Zoderer e denunciava la miopia di Vassalli. Quella di Vassalli è una lettura della specificità sudtirolese, e della condizione sociale che la caratterizza, in parte vera ma senza respiro utopico, che non sa trovare altre vie se non quella della rivendicazione nazionalistica e della contrapposizione. Non si sforza minimamente di immaginare soluzioni alternative, di valorizzare quelle esperienze che cercano di andare controcorrente, anzi ridicolizza quest’ultime come ingenue e impraticabili (tratto, questo, divenuto caratteristica di quasi tutti i politici e gli intellettuali sudtirolesi, sia di lingua italiana che di lingua tedesca).

La petizione dei 113 sindaci
A febbraio 2006, 113 su 116 tra sindaci e vice della provincia di Bolzano firmano una petizione con cui gli Schützen chiedono al parlamento austriaco di inserire nella propria costituzione un “riferimento alla funzione dell’Austria quale potenza tutrice dell’autonomia del Sudtirolo”. Ad agosto gli Schützen (corpo folcloristico, para-militare, di opinione e pressione sulla Südtiroler Volkspartei) organizzano un convegno sull’autodeterminazione, invitando solo i rappresentanti politici austriaci e sudtirolesi di lingua tedesca, e una manifestazione per contestare le celebrazioni dell’anniversario dell’accordo Gruber-De Gasperi: 200 falò accesi sulle creste che fanno da confine tra Sudtirolo e Trentino.
Il 21 settembre il Parlamento austriaco approva la proposta del presidente Andreas Khol: nella Costituzione ci sarà il ruolo di “potenza tutrice”. Solo i Grünen sono contrari. D’Alema, ministro degli esteri, interviene seccamente, ma non va oltre la posizione del suo predecessore Fini, e riafferma “che l’autonomia dell’Alto Adige è cosa interna allo stato italiano”. Tra agosto e settembre partono le indagini su due organizzazioni il cui scopo è arrivare all’autodeterminazione e a un “conseguente ricongiungimento con la madrepatria Austria”. Si tratta della riorganizzazione dei Befreiung Ausschuss Südtirol (Comitato per la liberazione del Sudtirolo) gruppo fondato nel 1957, iniziatore della stagione degli attentati, e della Vermaechtnis. Tutte coincidenze?

M.T.