Raccontavano gli antichi che a Eschilo, poveruomo, fu predetto che sarebbe morto perché colpito da un corpo caduto dall’alto, per cui il noto tragediografo, che alla pelle ci teneva, prese l’abitudine di soggiornare esclusivamente in regioni pianeggianti, prive di alberi di una certa dimensione e di edifici elevati dal cui culmine potesse cadere alcunché. Finché un’aquila che aveva catturato una tartaruga e cercava a volo una bella pietra piatta su cui fare cadere la preda per romperne il guscio, adocchiò il cranio calvo dell’autore delle Coefore, pensò, equivocando, che fosse proprio ciò che faceva per lei e – bang! – addio Eschilo. L’aneddoto rientra nel novero dei molti utilizzati per significare l’impossibilità di eludere le profezie degli oracoli, ma coglie anche un indiscutibile dato di fatto: dai pericoli che si presentano al nostro stesso livello possiamo guardarci, con un po’ di prudenza, ma rispetto a quelli che vengono da una dimensione più alta siamo troppo spesso indifesi e a nulla purtroppo vale, si tratti di tartarughe in caduta libera o di bombardamenti a tappeto, aprire l’ombrello.
L’apologo si potrebbe applicare, volendo, alla triste vicenda di Prodi e del suo governo, ma non è necessario. La situazione, in realtà, si ripropone anche a livelli più alti, planetari addirittura. Così, apprendo dai giornali (per esempio da “Repubblica” del 19 febbraio u.s.) che nel prossimo 2036 le possibilità che un corpo celeste di una certa dimensione, l’asteroide Apophis, raggiunga in picchiata la nostra Terra, suscitando ogni genere di disastri, sono, almeno in termini cosmici, piuttosto elevate. Tanto che numerose organizzazioni, guidate dalla B612 Foundation dell’astronauta Russel Schweickart, chiunque egli sia, hanno già allertato le Nazioni Unite affinché avviino un adeguato programma di difesa. Basterebbe predisporre una colossale astronave in grado di avvicinarsi al pericoloso oggetto spaziale e di stabilire con esso un legame gravitazionale, per poi accendere i motori e trascinarselo via nello spazio. La missione potrebbe essere realizzata in pochissimi mesi a un costo di circa 300 milioni di dollari: neanche tanto, se si pensa a cosa c’è in ballo.
Flash
Gordon
In passato, si sa, quando le risorse tecniche ed economiche del pianeta non permettevano contromisure del genere, più di un oggetto ostile ha raggiunto la superficie terrestre. Il più noto, ancorché semplicemente supposto, è quello che, un certo numero di ere geologiche fa, ha segnato la fine dei nostri fratelli dinosauri (esclusi, beninteso, quelli che siedono a vita nel Senato della Repubblica italiana). E siccome non è detto che la realtà debba necessariamente precedere la fantasia, l’idea di un pericolo cosmico in inesorabile avvicinamento è stata posta alla base di una popolarissima opera narrativa, la cui diffusione precede di gran lunga, non che la scoperta di Apophis, qualsiasi ipotesi sull’estinzione dei dinosauri per via siderale.
Mi riferisco, naturalmente, all’epopea a fumetti di Flash Gordon, scritta e disegnata dal grande Alex Raymond, la cui prima puntata apparve sulle pagine domenicali di non so quanti quotidiani statunitensi il 7 gennaio 1934, sottoponendo ai lettori appunto una situazione del genere. Un pianeta sconosciuto sta per scontrarsi con la terra e solo un miracolo, a dire degli scienziati, può salvare il pianeta. Per fortuna, mentre in Africa gli indigeni suonano il tam tam e aspettano urlando il loro destino, mentre nel deserto l’arabo rassegnato all’inevitabile si prosterna verso la Mecca e a Times Square una folla eccitata osserva il giornale luminoso che descrive l’avanzare della cometa, Flash Gordon, giocatore di polo (almeno nell’originale: nelle versioni italiane, chissà perché, è “ufficiale di polizia”), e la bella Dale Arden sono spinti dal destino al laboratorio del dottor Zarkov, che li costringerà a salire secolui su un razzo di sua personale fabbricazione e a dirigersi a folle velocità verso l’astro sconosciuto. Basterà questo per evitare l’impatto tanto temuto e ad aprire ai tre gli orizzonti di tutto un mondo nuovo, il favoloso pianeta Mongo, dove vivranno, negli anni successivi, le più mirabolanti avventure.
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Flash Gordon e Dale Arden, i due personaggi
dei fumetti creati da Alex Raymond |
Tiranni detestabili
e bellissime eroine
Non so se per il prossimo 2036 sia lecito prevedere qualcosa del genere ed è comunque difficile, per motivi strettamente biologici, che l’evento mi riguardi di persona. E vi confesso che la cosa mi dispiace molto. Non tanto perché sia ansioso di assistere a una catastrofe planetaria che potrebbe cancellare dalla superficie del pianeta quella sorta di insulsi scimmioni che hanno preso il posto dei dinosauri come specie dominante. Il fatto è che mi ha sempre affascinato, nella storia di Flash Gordon, che ho conosciuto negli anni ’70, quando mi capitò di tradurne le tavole per una riproposizione in volume, la possibilità che una vicinanza casuale permettesse, per così dire, uno scambio di mondi, che offrisse la possibilità di ricominciare da capo in un ambiente del tutto nuovo. Gordon e i suoi compagni troveranno su Mongo tiranni detestabili e mostri spaventosi, ma anche bellissime eroine in pericolo ed esseri fantastici di ogni genere e forma, in mezzo ai quali rivivere ex novo, senza alcun timore di plagio o ripetitività, i miti, le leggende e le speranze di un’umanità che per conto suo si è ormai rivelata inetta e prosaica, capace soltanto di aspettare la propria fine, con l’unica, solitaria eccezione del dottor Zarkov, che ricorda un po’ troppo da vicino il prototipo dello scienziato pazzo per essere completamente affidabile. Ma morto un pianeta se ne fa un altro e l’idea che un corpo celeste portasse con sé la possibilità di un nuovo inizio mi è sempre sembrata straordinaria, come straordinaria è la saga che ne è derivata.
Ahimè. Comunque vadano a finire le cose, possiamo essere sicuri che l’asteroide Apophis non è il pianeta Mongo e che nessuno scienziato pazzo ci costringerà a salire su un’astronave a esso diretta. Possiamo solo sperare che quel pianetucolo ci schivi all’ultimo minuto o che funzioni, per quanto sembri improbabile, l’ingegnoso progetto dell’astronauta Schweickart. La Terra è una sola e dobbiamo tenercela, sempre che riusciamo ad arrivare al 2036.