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Luigi Veronelli, un’eredità distribuita

Da quando è scomparso il più grande enologo italiano ogni occasione è buona per indicare, strumentalmente, il suo ipotetico erede. Perché Veronelli non può che avere solo tanti eredi? Qual era il suo pensiero diffuso e chi lo ha raccolto veramente?
29 novembre 2004, la famiglia Veronelli comunica l’avvenuta scomparsa dell’enogastronomo Luigi, per gli amici Gino, e chiede rispetto per il profondo dolore. Immediatamente la notizia si diffonde tra i collaboratori della rivista e gli amici più intimi. Sono passati da allora più di due anni e ricordarne il profilo biografico, oggi, è per me inutile. Lo hanno già fatto illustri studiosi, amici e collaboratori di vecchia data; qualcuno per dovere, altri perché incapaci di elaborare il lutto, tantissimi per ricordare i bei tempi trascorsi insieme a “camminare le vigne”. Capita sempre quando muore un maestro della cultura! I tributi spontanei, le condoglianze, i messaggi d’amore sono stati raccolti nel n. 81 della rivista “Veronelli EV”. Negli ultimi mesi, qualche giornalista aveva dichiarato che Gino, avendo lasciato da tempo i giorni del suo autunno, era ormai l’epigono di se stesso. Non sono d’accordo! A 78 anni, quasi cieco, aveva in mente tanti programmi e tante azioni da far invidia ad un ragazzo di 18 anni. Pochi giorni prima di morire mi inviò una mail con la proposta di organizzare, insieme ai centri sociali, alle associazioni, a Don Ciotti, a Slow Food, ai “ragazzi” dei circoli anarchici, un Critical Wine al Sud, in Calabria, contro le mafie. Appoggiato e poi “tradito” dall’ANCI, innervosito dalle circolari ministeriali che bloccavano le possibilità di liberazione insite nelle De.C.O. (denominazioni comunali di origine), osteggiato da chi lo aveva ormai sostituito con brillanti imitatori, aveva di recente aderito alla “Proposta di legge Battisti per la depenalizzazione dell’eutanasia” e, come Montanelli, aveva dichiarato di considerarsi morto, nel momento stesso in cui non avrebbe più potuto stare solo in un gabinetto. “Come lui”, diceva “chiederò, esigerò l’eutanasia. È un’esemplificazione cruda, ma che rende bene il cammino parallelo tra l’ideazione e la fisicità. Vivere senza dignità è la pretesa – assurda e “satanica” – di estendere la morte”. Quel era il suo pensiero diffuso, la sua eredità distribuita? Chi li ha raccolti veramente? Per coloro che lo hanno frequentato e hanno intrattenuto con lui rapporti di collaborazione giornalistica e soprattutto politica non è difficile rispondere. Possiamo escludere senz’altro Vissani che ringraziò Cristoforo Colombo per aver portato con sé, dall’America, la pianta d’Ulivo; non sono certo i parlamentari promotori dell’Associazione Veronelli che unisce trasversalmente deputati e senatori di tutti i gruppi rappresentati in Parlamento, non sono certo i rappresentanti di una chiesa che vieta i funerali a Welby e li celebra ai mafiosi. In epoche di passioni tristi, di Truciolvitivinicolture e di caffè arabica G.M. conoscono il suo pensiero ed hanno raccolto la sua scomoda eredità distribuita, plurale, policentrica e diffusa i “ragazzi” dei centri sociali che insieme al collettivo Terra e Libertà/Critical Wine continuano a condividere la sensibilità planetaria. Le federazioni municipaliste di base, i comitati, le comunità resistenti di Urupia e di Spezzano Albanese che esprimono idee e azioni per fermare la spropositata crescita e l’insensato sviluppo; il seminario permanente Luigi Veronelli che continua nella sua opera di formazione e consulenza. E cosa dire di quelle migliaia di vignaioli e contadini “gettati sui marciapiedi della tipicità” ogni domenica mattina, tra bande musicali e dotti presentatori. Di quei produttori che negano le De.CO. e trasformano in soppressata calabrese, frattaglie di carne di porco olandese. Tra questi illustri presenzialisti televisivi nessuno che citi Massimo Angelini, per me il Fabrizio De André dell’agricoltura, che in poche righe ci ha spiegato qual è il significato vero di “tipico”, “locale” e “tradizionale”? Nessuno che ricordi le opere di Marc Tibaldi, Sergio Cusani, Pino Tripodi, Pablo Echaurren e Giorgio Ferraresi. Tutti ma proprio tutti nominano Veronelli ma senza mai dire la verità sulle sue idee di libertà. Senza mai citare le proposte sul prezzo sorgente, l’autocertificazione, le cucine popolari, i mercati locali. Persino coloro che si autodichiarano suoi allievi e che giocano gare inconsulte per strapparsi a vicenda la primogenitura, senza neanche cedere il piatto di lenticchie, dimenticano che le idee ed i programmi di Veronelli non hanno Copyright, sono a disposizione di chiunque voglia lottare per un mondo ordinato senza autorità. Il vero problema, che tutti evitano di affrontare, per il quale è impossibile (sarebbe un nonsense) che vi sia un unico erede è che Luigi Veronelli era un anarchico. Non era difficile capirlo visto che nelle occasioni pubbliche, affiancato dalla sua compagna di vita Christiane e dal collaboratore factotum Andrea Bonini, rivolgeva sempre un pensiero affettuoso e solidale ai “ragazzi” dei circoli anarchici e libertari presenti nei luoghi dei suoi viaggi. Il pensiero diffuso, il pensiero eccentrico di Luigi era proprio questo. Senza dogmi, senza ipocrisie, contro le armate schiaviste delle multinazionali. Senza compromessi o aggiustamenti per agire “a vantaggio molto molto molto più dell’altro che del nostro”.

Angelo Pagliaro
(Paola - Cosenza)

Dove inizia il diritto?

Ho letto, con un po’ di ritardo, l’articolo di Francesco Codello su La piccola Maria (“A” 321, novembre 2006), la cui sintesi è perfettamente espressa nel sommario: “Ognuno, con le proprie sensibilità e specificità, ha diritto di decidere della propria vita. A partire dalle bambine e dai bambini”.
È un ragionamento estremo e come tutti i ragionamenti estremi si spenzola tanto dal precipizio della logica da finire giù. Così come il ragionamento degli animalisti al 100% (così dicono) che manifestano contro la derattizzazione: in fondo anche i ratti hanno un’anima o almeno una vita. Anche se lo stesso Dalai Lama, pur pervaso da integralismo vitalista, confessava che con le cimici si trova un po’ in difficoltà.
Tornando a Maria, o meglio ai bambini, il ragionamento di Codello porta non si sa bene dove. Se i bambini hanno “diritto di decidere della propria vita” avranno diritto di decidere su tutto: dai rapporti sessuali con adulti (i quali magari li avranno convinti, non costretti) alla partecipazione armata alle guerre, al lavoro (minorile, ma sono sicuro che per Codello è un termine che va abbandonato) e via dicendo. Per arrivare ad argomenti meno catastrofici, ma ugualmente importanti nel nostro mondo: le scelte sulle diete, le vacanze, la pulizia. I bambini avranno ben diritto di decidere da soli quanti gelati mangiare e a che ora fare il bagno in mare, e se mettersi o no i braccioli gonfiabili quando entrano in acqua, se rispettare la bandiera rossa quando il mare è mosso, e se allontanarsi con il canotto... E magari se salire su un albero, se sporgersi dal balcone e perché no guidare la macchina in autostrada, oppure la moto, oppure, già che siamo a spararle grosse, se mettere a mani nude una forcina in una presa della corrente.
Una volta che si è imboccata questa strada si fa esattamente come un bambino alla guida: si va, ma non si sa dove si va a finire. Sono i 18 anni l’età in cui si può decidere dove stare di casa e se prendersi una patente per guidare l’auto, se fare all’amore con chi voglio, se mangiare gelati e caramelle al posto di pasta e insalata eccetera eccetera? Oppure i 14? O gli otto? O i quattro? O i tre, i due, gli uno, i mesi...? Quando comincia il “diritto” del bambino di decidere su se stesso? Ricordate il Signore delle mosche, celebre romanzo di William Golding, che sarà anche stato scritto cinquant’anni fa ma non ha perso di attualità?
Insomma, pensandola come Codello finiamo in un paradosso tipo Achille e la tartaruga. Più bassa è l’età in cui un bambino può “decidere” più ci possiamo chiedere: e perché non un giorno prima?
Il problema è che ci sono delle cose che i bambini non sanno. E dovrebbero dirgliele gli adulti: lo dico per inciso, basterebbe discutere su come gli adulti decidono, non sul potere decisionale dei bambini. E mi permetto di affermare che comunque senza “no”, senza limiti, senza confronto fra quanto il bambino “decide” e quanto ha “deciso” il mondo degli adulti che si apprende il principio di realtà. Quello sano, s’intende, non autoritario, quello che ci dice che se tocchiamo il fuoco ci bruciamo.
Certo, il caso di Maria coinvolge, colpisce. Ma, caro Codello, su questo pianeta siamo qualche miliardo e di casi ce ne sono altrettanti. Mentre Maria “si salva” altri milioni di bambini non si salvano per niente. E l’eccitazione mediatica su di lei ci rende ciechi. Però, se proprio vogliamo scendere nello specifico la mia sensazione è che qui i desideri non siano della bambina, o almeno non solo – chi non desidererebbe una vita migliore di quella che ha, chi non si affeziona a chi ti tratta bene – ma di quel gruppo di adulti: i “genitori” decisi a violare le regole prestabilite (ma non, più semplicemente, a denunciare le violenze che la bambina avrebbe subìto: ah no, scusa, rivolgersi ai carabinieri o alla procura non è politicamente corretto), quelle “nonne” così vischiosamente coinvolte affettivamente. Gente che a me, Codello mi scusi, non piace per niente, e dietro la cui generosità mi sembra nascondersi un vuoto, o almeno un loro bisogno soggettivo, che la piccola Maria avrebbe dovuto colmare. E in conclusione, nel caso di Madonna Codello che dice? Il “suo” di bambino, quello mezzo adottato e mezzo rapito in Africa, poteva decidere o no? E se vado in Africa, o in India, con i miei euro che non saranno tanti ma più di quelli che hanno lì, e trovo un bambino o una bambina che mi si affeziona me lo posso portare via, vero? Ah già, dimenticavo, certo che posso: se i bambini possono decidere, figuriamoci io che di anni ne ho 51, quasi 52.

Cristiano Draghi
(Rovigo)

 

 

I nostri fondi neri

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Abbonamenti sostenitori.
(quando non altrimenti specificato, trattasi di 100,00 euro). Tiziano Viganò (Casatenovo – Mi) ricordando l’amico e compagno Pier Luigi Magni; Giuseppe Pegna (Reggio Calabria); Arturo Schwarz (Milano); Renzo Sabatini (Sidney – Australia); Danilo Sidari (Sidney – Australia); Luigi Pogni (Segrate – Mi); Danilo Ciorra (Roma); Eros Bonfiglioli (Bologna) 150,00; Fernando Ainsa (Zaragoza – Spagna); Davide Nasato (Bellinzona – Svizzera); Pietro Steffenoni (Lodi); L.D. (Ancona) 200,00; Luca Giudici (Cameri – No).
Totale euro 1.350,00.