Vi ricordate quel bel film di Luigi Comencini del 1960 dal titolo
eloquente e al contempo, per taluni versi, liberatorio, “Tutti a casa!”? Era l’otto settembre del 1943 a cui si riferiva il titolo del film, data spartiacque nella storia del nostro paese.
La stessa frase l’aveva pronunciata il ministro degli esteri Massimo D’Alema prima del voto sulla politica estera al Senato intendendo che una sfiducia avrebbe fatto scattare una sorta di otto settembre politico mandando appunto tutti a casa i deputati e i senatori. Come sia finita lo sappiamo. Ma ciò che mi preme far notare è come l’intera vicenda del governo Prodi si presti a una lettura emblematica di alcune questioni interessanti anche per noi che di governi non ce ne occupiamo se non per smascherarne l’inutilità e la dannosità.
Le elezioni avevano consegnato sostanzialmente una parità di consensi tra i due schieramenti e questo non poteva non avere riflessi continui nelle scelte che i due rami del parlamento andavano assumendo. Infatti a più riprese, a causa delle diverse interpretazioni dell’enciclopedico programma con cui il centrosinistra si era candidato a governare il paese e agli specifici interessi di cui ogni partito è portatore, la maggioranza è mancata (anche se i compromessi e i ricatti del voto di fiducia l’avevano in qualche modo salvaguardata) alla prova dei fatti. Poi come non ricordare la pratica continua della cultura della doppiezza morale, degli eredi vari del togliattismo, che ha trovato nella vicenda della base di Vicenza la sua espressione più grottesca e allucinante. La presunta superiore moralità, che i vari comunisti e i loro eredi più o meno stemperati hanno sempre rivendicato, è nuovamente e miseramente naufragata quando abbiamo assistito alle proteste di piazza contro le decisioni che gli stessi furbastri (cambiata la maglietta) avevano assunto. Poi un’infinità di altre misere amenità che non mi interessa qui ricordare avendo il mio stomaco già sufficientemente ingoiato e quindi in crisi di abbondanza. Infine quel tutti a casa con immediata retromarcia (il dodecalogo programmatico) come volevasi dimostrare quando di mezzo ci sono i privilegi che l’esercizio del potere conferisce. Niente di nuovo, si dirà. Infatti è una storiella vecchia che però incanta ancora milioni di persone e soprattutto che ripropone ancora una volta l’adesione della stragrande maggioranza dei cittadini alle ritualità ingannevoli ma suadenti del ricorso al voto.
Specchietti
per le allodole
Fin qui le vicende della politica, vediamo adesso invece qualche lettura della realtà sociale un po’ più disincantata, se possibile.
Ciò che mi pare di poter affermare con una certa sicurezza è che le schermaglie politiche dei vari partiti e partitini sembrano sempre più degli specchietti per le allodole, confezionati per nascondere la reale e sostanziale visione maggioritaria della realtà di cui sono interpreti ambedue gli schieramenti. Ma ciò che mi pare più interessante è sottolineare come, in realtà, la stragrande maggioranza degli italiani si riconoscano in alcune scelte di fondo che sono comuni ad uno schieramento che va da Alleanza Nazionale ai Democratici di Sinistra. Queste scelte sono sia di politica estera che di politica interna, come l’interventismo militare (comunque mascherato) nelle aree di crisi, le politiche economiche delle varie finanziarie, le privatizzazioni, una certa quota di diritti civili, ecc. Insomma il cosiddetto paese reale esprime scelte sostanzialmente moderate con spiccate tendenze conservatrici e solo una esigua minoranza manifesta tendenze più innovative e molto spesso quando le ricerca lo fa da punti di vista particolari e settoriali. Mi pare del tutto fuori luogo quindi, per gratificare le proprie identità orgogliose, di vedere quello che non c’è, vale a dire un popolo di un certo tipo contrapposto a dei politicanti di un altro. La società italiana nel suo insieme, seppur con sfumature diverse, appare sostanzialmente come una società conservatrice che si vede minacciata ora dagli stranieri ora da altre possibili interferenze nella sua vita quotidiana che è organizzata e programmata secondo una sostanziale logica consumistica. La possibile perdita, o solo la prospettiva di dover attenuare il proprio standard di vita, ubriacati come siamo dalle sirene dell’opulenza (naturalmente con gradazioni diverse e a seconda anche della propria collocazione geografica), basta a ingessare ogni istanza di cambiamento. In realtà spesso non siamo così diversi da chi ci governa, spesso abdichiamo alla nostra autonomia, alla nostra libertà.
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Vicenza 17-2-2007 - Manifestazione contro l’allargamento
della base USA (foto Paolo Poce) |
Significative esperienze
di mutuo appoggio
Eppure a ben guardare accanto a questi aspetti così evidenti e consolidati di conservatorismo molte persone esprimono poi una infinità di pratiche e di riflessioni che vanno nella direzione da noi auspicata. Infatti si vanno diffondendo ormai da anni esperienze significative di mutuo appoggio, di solidarietà attiva, di sostegno spontaneo ai bisogni espressi dagli altri, di piccole ma significative isole di benessere vero e profondo che contraddicono nei fatti i valori dominanti della competizione, dell’arrivismo, della corsa assennata al possesso e al potere. I nostri concittadini sono capaci di gesti silenziosi e sommersi di vero e disinteressato aiuto concreto nei confronti dei loro simili. Nascono e si aggregano pressoché ogni giorno gruppi di persone che in modo informale e spontaneo si votano a una causa nobile, solidale, nei confronti di chi soffre o di chi è escluso. A ben guardare ognuno di noi può vedere esempi di questo tipo nel proprio ambiente e può constatare come il rapporto diretto, non istituzionale, che si forma tra individui attorno ad un comune bisogno o in nome di una comune speranza, sia in grado di produrre risultati straordinari che nessuna organizzazione formale è in grado di perseguire.
Senza perderci in sterili dissertazioni sulla natura umana, senza rincorrere miti che si rivelano spesso arbitrarie sovrapposizioni ideologiche o sterili trasposizioni di desideri fantastici affibbiati mentalmente agli altri, senza l’arroganza della supponenza di possedere la verità o la risposta giusta a ogni problema che ci attanaglia, semplicemente e modestamente, vale la pena di stare dentro queste situazioni, segnarne con tutta la forza di cui si dispone una vera ed esplicita autonomia da ogni ingerenza di potere e valorizzare questa informalità dimostrando invece nei fatti la fallacia dell’organizzazione gerarchica.
Se da un lato è vero che la società consumistica tende ad inglobare ogni frammento di vitalità individuale e di trasferirne la sua potenziale carica innovativa in un insieme di prodotti di consumo regolati da logiche di mercato selvaggio, dall’altro è anche vero che tantissime forme di rifiuto, semplice e immediato, resistono tra le maglie pur soffocanti di questa società. Per questo non possiamo credere, in modo acritico, a quelle rappresentazioni che la politica, attraverso un potente apparato mediatico, fa sistematicamente di ciascuno di noi, delle nostre presunte caratteristiche, dei nostri bisogni e delle nostre aspettative. Ma, al contempo, non possiamo neanche sottovalutare il potere che queste rappresentazioni hanno nel determinare la nostra percezione della realtà stessa. Semplicemente, ma non facilmente, dobbiamo considerare che gli esseri umani, questi esseri umani di cui parliamo e con i quali conviviamo, sono portatori di esigenze, sogni, aspettative, richieste, diverse tra loro, spesso persino contrastanti, ma che possono, se opportunamente stimolati, recuperare quasi sempre una capacità critica e autocritica.
Il principio su cui si regge l’intera sfera della Politica è tendenzialmente sempre più forte di quello che sottintende alla sfera sociale, ma il conflitto tra questi due aspetti è una caratteristica costante, sempre presente nella storia umana. Come diceva il vecchio Kropotkin le due tendenze sono in conflitto tra loro, ognuna cerca inesorabilmente di limitare l’altra essendo inversamente proporzionali. Se desideriamo rafforzare la società dobbiamo indebolire lo Stato. I fautori del totalitarismo di qualunque tipo se ne sono resi perfettamente conto, ecco come si spiega perché cerchino sempre di distruggere le istituzioni sociali che non riescono a dominare e perché ogni aggregazione informale, una volta istituzionalizzata, perda ogni potenzialità innovativa e soprattutto fallisca sistematicamente nel perseguire gli scopi per i quali era stata creata. Ma questa consapevolezza non basta, è altrettanto indispensabile lavorare su se stessi perché, come aveva ben capito Gustav Landauer, lo Stato è anche una condizione, un certo tipo di rapporti tra gli esseri umani, un comportamento, sottintendendo in questo senso che lo Stato siamo noi e non è un’entità esterna e astratta.