Giornali, tv, radio, chiacchiere al bar, in strada, nei luoghi di
lavoro, l’argomento sempre più presente, i commenti più gettonati, riguardano sempre più la cronaca nera. Omicidi, rapine, stupri, pedofilia, maltrattamenti, ecc., imperversano tra i media e i discorsi dei cittadini e delle “autorità”. A ben guardare è in atto una vera e propria offensiva mediatica che è penetrata massicciamente nelle nostre vite di relazione e che riguarda il tema della sicurezza nostra e dei nostri amici e parenti.
La società ci appare sempre più intrisa di violenza e popolata da bande criminali sempre più efferate, temiamo con crescente angoscia per noi e i nostri cari, ci blindiamo in case sempre più protette e sicure, ma, nonostante tutto questo, la nostra ansia cresce, le nostre paure si alimentano, quel senso di malessere e di diffidenza che proviamo si impadronisce delle nostre quotidiane attività. Ormai al primo posto nei programmi dei vari politici e degli schieramenti partitici c’è il tema della sicurezza, lo spauracchio della micro-criminalità viene agitato come il problema principale da cui difendersi. E allora via alle ricette più fantasiose con il comune denominatore della tolleranza zero, degli esempi più eclatanti di controllo del territorio, di individuazione dei nuovi mostri da contrastare con metodi e azioni radicali e dure. Destra e sinistra indistintamente agitano lo spauracchio della criminalità, dell’insicurezza, della paura, per costruire attorno alle proprie ambizioni di potere, il consenso politico.
|
Foto di Paolo Poce |
Episodi
scelti
La situazione è paradossale e frutto di una sorta di circolo vizioso: i media creano l’allarme amplificando la cronaca nera, i politici rilanciano l’allarme stesso facendolo diventare il motivo conduttore delle proprie tesi riformatrici, i giornali e le tv chiedono a gran titoli rimedi congruenti, i politicanti propongono drastici provvedimenti. Ma il legame tra informazione e realtà è stato interrotto e la situazione che viene descritta, spesso in modo molto subdolo e pervasivo, è assolutamente squilibrata e decisamente poco attendibile.
Vengono scelti infatti alcuni episodi frequenti di cronaca nera e amplificati a dismisura con spesso una manipolazione ideologica dei dati che sono invece ben diversi da quelli sparati nelle prime pagine dei giornali. In particolare sono i dati relativi alla dimensione più facilmente ideologizzante della criminalità che vengono sopravalutati e mediaticamente più spesi nel mercato drogato della presunta informazione. I delitti ordinari sono circa uno al giorno, tre sono gli omicidi sul lavoro (le morti bianche), una quindicina gli stupri in famiglia (Liberazione, 18 maggio 2007).
Questi dati (anche se non fossero completamente esatti) cozzano contro la nostra percezione generale che invece ci fa pensare che gli omicidi siano di gran lunga superiori alle morti sul lavoro e che gli stupri in famiglia siano appannaggio degli extra-comunitari (statisticamente irrilevanti) e non dei nostri uomini che magari marciano in difesa della famiglia modello “mulino bianco”. Una vera e propria ondata di “forcaiolismo” è stata montata con evidenti intenti totalitari.
“Tolleranza zero”, la fortunata parola d’ordine coniata dall’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, è emblematica per accompagnare il passaggio da uno stato assistenziale ad uno penale. Se fino a qualche anno fa, almeno teoricamente lo scopo principale delle politiche sociali era, nei confronti del crimine, quello di riabilitare, educare, reinserire, chi commetteva dei crimini, adesso, sempre più, si considera del tutto inutile questa prospettiva a favore di una pura e semplice repressione da delegare a vere e proprie industrie della sicurezza, private e produttrici di business, come si può cogliere dall’osservazione delle politiche giudiziarie in atto nei paesi più industrializzati. Una sorta di attrazione fatale si è instaurata tra politica, media e linciaggio culturale con protagonisti sempre più inclini a porre la questione dell’ordine pubblico al centro della vita dei cittadini.
Che questa strategia e questa offensiva siano in atto credo sia incontrovertibile, che gli interessi in gioco siano altrettanto chiari per le logiche di dominio mi pare facilmente svelabili. Ma come è possibile tutto ciò se proprio questa società è quella che ha realizzato le più sofisticate, massicce, estese, tecnologie di controllo? Come è possibile proprio questa recrudescenza del crimine in una società fondata sulla comunicazione, sul monitoraggio sistematico dei contesti relazionali, sui controlli incrociati tra i diversi archivi di dati personali, sulle procedure amministrative e burocratiche sempre più estese e penetranti nelle realtà sociali più disparate?
|
Foto di Paolo Poce |
Impotenza
e incertezza
Nel momento del massimo trionfo del controllo sociale e tecnologico il crimine diviene il problema centrale del dibattito politico mediatico. La sottile ma spaventosa penetrazione nell’immaginario individuale della cultura della tolleranza zero riesce a plasmare la psicologia degli esseri umani in modo drammaticamente sempre più invasivo.
Un senso pervasivo di impotenza e di incertezza caratterizza sempre più la nostra epoca, ci porta a rinchiuderci in noi stessi, ad alzare steccati e muri sempre più solidi, a vivere il mondo come una continua minaccia, a progettare un’educazione per i nostri figli sempre più esclusiva e che tenda ad “armarli” per poter far fronte ad un futuro minaccioso che è già in atto, che ha le sembianze di quelli della porta accanto. La paura insomma è il sentimento pregnante della nostra quotidianità, è la condizione esistenziale che ci viene data per indispensabile per sopravvivere, una sorta di garanzia per tutelarci prevenendo un male che sempre più ci appare come qualche cosa di immediato, vicino a noi, addirittura in noi stessi.
Ideologia
del dominio
Questa cultura ci sta allenando alla paura di noi stessi perché ci fa intendere che ciascuno di noi può improvvisamente impazzire e distruggere la vita di un altro. Basta leggere tra le righe di qualche articolo di cronaca nera per capire come si sia portati a immedesimarsi con i protagonisti anche attraverso lo schieramento da stadio tra innocentisti e colpevolisti come nel caso del delitto di Cogne. Quindi diffidare di tutti e persino di se stessi sembra sia diventato lo scopo principale di questa cultura fatta di fobie diffuse. Paura quindi come atteggiamento diffuso, consono a stare “coi piedi per terra” in questa società che al contempo incentiva attraverso un delirio di onnipotenza senza precedenti i nostri sogni e i nostri desideri che divengono sempre più voglie da soddisfare e sempre meno progetti di vita.
La paura è quindi l’ideologia del dominio di chi ha come unico scopo quello di mortificare fin dentro le coscienze ogni istanza di libertà e di autonomia.
La via per uscirne è forse quella di tornare per strada (che come cantava Giorgio Gaber, “è l’unica salvezza perché il giudizio universale non passa per le case dove noi ci nascondiamo”) e far crescere attorno a noi quella consapevolezza che acquisì quel medico peruviano che continuava a curare le dermatiti che infestavano i poveri indios con le pomate sempre più sofisticate, senza mai risolvere il problema, fin quando non si accorse dell’enorme buco di ozono che aveva sopra la propria testa.