Mi è recentemente capitato, nel corso di un’assemblea, di ascoltare alcuni interventi di esponenti di movimenti recentemente sviluppatisi sul territorio che mi hanno alquanto colpito.
Il rappresentante del Coordinamento contro gli F 35 di Novara ha, fra le altre cose, denunciato quei settori della sinistra istituzionale e semistituzionale che si oppongono alla collocazione nei pressi di Novara di uno stabilimento di montaggio degli F 35 ma non sarebbero ostili ad un aereo simile purché europeo. Ha, in estrema sintesi, difeso l’autonomia dalle istituzioni del movimento antimilitarista da qualsiasi stato e schieramento.
Il rappresentante del Presidio No Dal Molin di Vicenza ha affrontato la questione del legame fra movimento generale contro la guerra e iniziative locali rilevando come le grandi manifestazioni di qualche anno addietro abbiano finito per incidere poco proprio perché non si era determinata una capacità di agire sul territorio contro le produzioni di morte, le basi militari, quella che ha, correttamente, definito guerra interna. Ha potuto quindi, sottolineare il fatto che il carattere interessante del movimento vicentino sta proprio nella capacità di esprimere la volontà un’ampia parte della popolazione, come fra l’altro dimostra la massiccia astensione alle ultime elezioni amministrative, e di colpire concretamente la militarizzazione del territorio.
Infine, l’esponente del Movimento No Tav della Val di Susa ha posto l’accento sulla critica della rappresentanza, sul fatto che non c’è certo penuria di soggetti interessati a rappresentare gli interessi delle classi subalterne visto che la rappresentanza è una buona fonte di reddito e di status e sulla necessità per i movimenti di darsi rappresentanza da sé assumendo fino in fondo il loro essere parte in opposizione ad un'altra parte.
Assistevano all’assemblea nella fila precedente alla mia un paio di militanti della Confederazione Cobas, entrambi di ceppo trotskista duro ma alquanto differenti fra di loro per il tasso di ortodossia essendo il più anziano, peraltro persona cortesissima, un nostalgico del bolscevismo duro e puro e il più giovane un sindacalista più disincantato rispetto alla speranza di ritorno sulla scena di un qualche partito rivoluzionario e che, per sua ammissione, riconosce come unico soggetto politico significativo oggi il suo sindacato.
Il più giovane, che chiamerò P., se la ridacchiava alquanto sia nei miei confronti che in quelli del più anziano, M., rilevando che io dovevo essere alquanto soddisfatto di fronte a questa serie di difese dell’autonomia sociale e dell’autorganizzazione dei movimenti mentre il suo compaesano di sindacato doveva essere altrettanto infastidito di fronte a questo, sia pur modesto, trionfo dell’increvable anarchisme. Ed, effettivamente, ammetto che ero un po’, piacevolmente, stupito di fronte alla radicalità di un discorso a più voci che era, a mio avviso, tutt’altro che scontato.
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Foto Roberto Gimmi |
La relativa autonomia
dell’opposizione sociale
Naturalmente chi scrive, essendo, pur senza aver fatto il militare a Cuneo, un uomo di mondo, è perfettamente consapevole del fatto che il livello di incompatibilità fra opposizione sociale e sinistra parlamentare anche nelle sue versioni “radicali” è determinato non solo e non tanto dallo sviluppo di una critica, questa effettivamente radicale, al parlamentarismo quanto dalla situazione contingente e cioè dal fatto che la sinistra è al governo, che l’aumento delle spese militari lo hanno votato anche PRC, PdCI e Verdi, che altrettanto è avvenuto per la legge finanziaria nel suo complesso ecc..
D’altro canto, questa situazione contingente non si è determinata a causa di un destino cinico e baro. Infatti, la sinistra realmente esistente, a ben vedere, non ha tradito nessuno.
Chiunque non sia condizionato a collocarsi nella solita, e un po’ noiosa, dialettica fottuti-fottenti poteva, già prima delle elezioni, essere consapevole del fatto che la sinistra al governo avrebbe fatto una politica diversa rispetto a quella della destra solo per rigore e che il rigore sarebbe stato essenzialmente contro le classi subalterne. Sarebbe bastato, per evitarsi il minimo dubbio, tener conto della posizione della Confindustria prima delle elezioni.
Eppure, rispetto al precedente governo di sinistra, una novità, magari non straordinaria, c’è stata. Il PRC, infatti, non ha potuto fare accordi di desistenza o stare in maggioranza senza assumere incarichi e responsabilità di governo, ed è entrato a pieno titolo nell’Unione col rango di tamburo maggiore.
Fuor di celia, si è mostrato in tutta la sua vacuità il discorso bertinottiano su di un possibile rapporto virtuoso fra movimenti ed assemblee elettive, su di un partito radicalmente diverso dai tradizionali apparati di burocrati e notabili.
Basta, a questo proposito, riflettere su due eventi recenti:
- con un mix alquanto singolare di ingenuità e sfrontatezza, il segretario del PRC Giordano ed il ministro della solidarietà sociale Ferrero sono andati a volantinare di fronte alla Fiat. Naturalmente gli operai e le operaie hanno approfittato dell’occasione per dire loro, e non sempre diplomaticamente, quello che pensano del governo e del PRC e lo hanno fatto con tanta maggior vivacità quanto più avevano sperato una politica più favorevole ai lavoratori. Francamente non so cosa si aspettassero dopo quello che hanno votato in finanziaria e mi sembra implausibile che bastasse loro una serie di articoli sui giornali, visto che gli articoli li hanno avuti ma certo non favorevoli;
- il lider maximo del PRC, Bertinotti, ha ritenuto di dover lodare oltre ogni misura la Brigata Paracadutisti Folgore che ha definito una forza di pace (1) e una vetrina del paese. È sin troppo noto cosa sia, per storia, cultura, identità la Brigata Folgore. Non voglio dire che i singoli militari della Folgore siano dei mostri ma è evidente che esprimono una cultura ed interessi precisi. Ancora una volta viene da domandarsi se l’obiettivo di Bertinotti non fosse, semplicemente, lo sparala grossa per avere la prima pagina dei giornali e il gusto dello sparigliare le carte.
In estrema sintesi, oggi non è plausibile che un qualche partito o costellazioni di partiti, di destra di sinistra, di sopra e di sotto, possa dare rappresentanza ai movimenti di opposizione che si sviluppano su questioni precise. I tentativi di dar vita a nuovi soggetti politici per rappresentare i movimenti muoiono prima di nascere e i già ricordati risultati delle recenti elezioni vicentine sono in equivoci e, passatemi il termine, edificanti.
Cultura, identità,
solidarietà
Ritengo vada evitato un equivoco. Il sistema dei partiti, come rete di interessi materialmente radicata nella società, non teme più che tanto la passività politica della popolazione.
Al contrario, la classe politica fonda la propria stessa esistenza su questa passività. Certo, ai politici serve avere strumenti di mobilitazione che periodicamente permettano di riempire le piazze, ma, a questo fine, dispone di strumenti professionali e di risorse, di norma, adeguate.
Penso, ad esempio, alla maximanifestazione della destra che metteva assieme bandiere fasciste presumibilmente portate da fascisti veri e bandiere dell’UDC agitate da figuranti a pagamento o al Family Day costruito dalla poderosa macchina organizzativa della chiesa cattolica.
Quando, però, si sviluppano movimenti sociali che iniziano a produrre cultura, identità, solidarietà (2), siamo di fronte al fatto che, per una serie di ragioni, il disincanto nei confronti delle mediazioni istituzionali non produce atomizzazione e passività ma nuovi ed interessanti legami sociali.
Se, poi, alcuni temi libertari divengono senso comune in questi movimenti e se ciò avviene non solo grazie all’attività di chi è un libertario per convincimento generale ma anche per un autonomo percorso di approfondimento da parte ci chi viene da altri percorsi, credo si debba ragionare sulle ragioni di questa deriva consapevoli che recuperi istituzionali sono assolutamente possibili ma anche che prospettive interessanti si aprono.