Lo scempio bellico a cui assistiamo da anni in Iraq e, soprattutto, il
riacutizzarsi del mai sopito conflitto in Afghanistan, ha riproposto
con veemenza il tema della tutela dei ‘diritti umani’ attraverso l’intervento militare, mascherato da logiche umanitarie e, quindi, più facilmente ‘digeribile’ dalla comunità internazionale.
Ma il nobile intento dell’originaria dichiarazione dei diritti dell’uomo è oggi pretesto e inganno per le ingerenze occidentali su scala globale.
Tuttavia, proviamo a procedere con ordine.
Le dichiarazioni
dei diritti umani
Con il termine Dichiarazione dei diritti si indicano i documenti solenni che enunciano formalmente i principi fondamentali che definiscono l’assetto istituzionale di un popolo e le sue essenziali libertà civili e politiche.
I primi documenti del genere risalgono alla Magna Charta del 1215 in Inghilterra, habeas corpus del 1679, al Bill of Rights di Guglielmo D’Orange del 1689. Le Dichiarazioni dei diritti tra il 1776 e il 1784 degli insorti stati del Nordamerica attribuiscono ai diritti dell’uomo carattere universale in quanto derivanti da immutabili leggi di natura, superiori alle istituzioni degli stati (ispirazione giusnaturalistica).
Nella stessa prospettiva può collocarsi la Dichiarazione dei diritti del 1789 in Francia nella quale si definiscono i concetti di cittadinanza e di uguaglianza, sulla scia della quale nei 2 secoli successivi si sono affermati i principi di cittadinanza civile, politica e sociale.
L’esigenza di una tutela internazionale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha cominciato a porsi gia dopo la prima guerra mondiale e il Patto delle Società delle Nazioni rifletteva una embrionale preoccupazione per la protezione dei diritti dell’uomo. Ma è soprattutto dopo la II guerra mondiale e dopo gli orrori dei totalitarismi del ‘900 che gli stati che hanno dato origine all’ONU, con la Carta di San Francisco, hanno inteso promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione. Da allora l’assemblea dell’ONU ha adottato negli anni molteplici dichiarazioni di principi che anche se nella veste di raccomandazioni, sono dotate di valore morale e politico di cui gli stati non possono non tener conto.
In tema di diritti umani il punto di riferimento più importante è la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo adottata il 10/12/48 dall’assemblea generale dell’ONU, ispirata al principio della libertà naturale di tutti gli esseri umani e della loro uguaglianza in “dignità e diritti”. Con la Dichiarazione si introduce una nuova categoria di diritti a livello internazionale che non solo non ammette discriminazioni per ragioni di sesso, razza, religione origine nazionale o sociale ecc., ma collega tali diritti al mantenimento della pace dei popoli e allo sviluppo della democrazia. L’elenco dei singoli diritti umani è contenuto negli articoli dal 3 al 28 e abbraccia tutta la sfera soggettiva pubblica sociale di pensiero e economica dell’individuo.
Dopo quest’atto fondamentale l’assemblea dell’ONU ha adottato una pluralità di altre dichiarazioni di principi dedicate a singoli aspetti: diritti del fanciullo, eliminazione delle forme di discriminazione razziale, eliminazione della discriminazione contro la donna, protezione contro la tortura e di trattamenti crudeli e disumani.
Nel 1966 l’Assemblea dell’ONU ha adottato un patto internazionale sui diritti economici sociali e culturali e un altro patto sui diritti civili e politici, introducendo il principio dell’autodeterminazione dei popoli, come diritto fondamentale di natura collettiva.
Il sistema di protezione dei diritti umani delle Nazioni Unite è affidato ad organi dell’ONU tra i quali spicca la Commissione dei diritti dell’uomo. Sono stati istituiti inoltre tribunali Internazionali competenti a giudicare i responsabili di crimini contro l’umanità nella ex Jugoslavia e nel Ruanda, nonché la Corte penale internazionale con sede all’Aia che ha una competenza generale ma che è stata riconosciuta solo da 60 stati (Gli Stati Uniti non la riconoscono).
Anche l’Europa ha dato particolare attenzione alla tutela dei diritti umani e del resto non poteva essere diversamente dato che era la terra d’origine di tali diritti. La convenzione europea, firmata a Roma il 4/11/1950 nell’ambito del consiglio d’Europa, persegue l’obbiettivo della salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Più recentemente la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione firmata a Nizza il 7 dicembre del 2000, ha ribadito e ampliato la sfera dei diritti dell’uomo, includendovi quello all’ambiente e alla qualità della vita e condannando la pena di morte.
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Teheran (Iran), dicembre 2006.
Manifestazione studentesca
davanti all’Università |
La globalizzazione
e i diritti
Con il termine globalizzazione si suole comunemente indicare quel ‘processo’ che a partire dagli ultimi decenni del XX secolo ha prodotto sia l’integrazione dei mercati in tutti i paesi del mondo, sia la tendenza dei fenomeni sociali e culturali a estendersi su scala mondiale.
La globalizzazione è certamente un esito della modernizzazione e delle innovazioni tecnologiche ed ha interessato dapprima la finanza internazionale, con la libera circolazione dei capitali, e poi, ha investito il mercato del lavoro e delle merci. Nello stesso tempo l’evoluzione dei sistemi di comunicazione e la tecnologia dei media ha favorito l’intensificarsi degli scambi tra le diverse culture e la tendenza alla omologazione degli stili di vita. Nell’era della globalizzazione inoltre si presenta un nuovo vasto fenomeno migratorio dai paesi poveri verso l’occidente industrializzato. Nello stesso tempo l’impatto della civiltà industriale sull’ambiente ha raggiunto dimensioni planetarie tanto che i rischi ambientali connessi allo sviluppo incidono sul complessivo equilibrio naturale a livello del pianeta inteso come un unico sistema vivente.
Un fenomeno di questa portata ha avuto pesanti incidenze sotto diversi profili.
Da una parte sul piano economico la dimensione sopranazionale dell’economia e dei mercati finanziari ha eroso la sovranità degli stati nazionali i quali non sono più in grado di governare la ricchezza e quindi di decidere compiutamente sulle condizioni di vita. Dall’altro la inadeguatezza dello stato nazionale di fronte alla vastità dei problemi moderni emerge in tema di tutela ambientale, in quanto i rischi che si presentano impongono rimedi globali per l’intero pianeta. Emerge anche dalle caratteristiche del fenomeno migratorio che investe non singoli stati ma l’intero mondo industrializzato e che le singole nazioni non possono affrontare con un ottica di chiusura o di anacronistica difesa nazionalistica.
Il panorama del moderno mondo globalizzato, presenta evidenti nessi che legano gli apparati produttivi delle società industrializzate con le masse dei paesi più poveri, una tendenza alla omologazione culturale trasversale che investe società di storie e culture diverse. Presenta insomma un sistema mondiale economico, finanziario, culturale, comunicativo sempre più intrecciato e non più scomponibile in realtà distinte autonome e autosufficienti come potevano considerarsi un tempo gli stati nazione.
In questo contesto il carattere universale dei diritti umani emerge con nuovo vigore.
È sempre più evidente che la questione dei diritti umani non è più un fatto che interessa specifiche realtà locali – essenzialmente in paesi del terzo mondo – da affrontare con gli organismi internazionali e con l’ottica “civilizzatrice” dell’occidente. La tutela dei diritti umani nell’intero pianeta è questione che è strettamente connessa al modello di sviluppo che l’economia e la cultura della globalizzazione stanno imponendo al mondo intero.
Come non considerare infatti che le condizioni di disperazione e miseria di molti paesi del terzo modo ove mancano i presupposti minimi per la sopravvivenza (acqua, cibo, ecc.) è strettamente legata allo sviluppo dei paesi ricchi che consumano l’80% delle risorse del pianeta. Come non tener conto che molti paesi non sono in grado di garantire neppure il diritto alla vita di bambini, uomini e donne e che devono affidarsi agli interventi caritatevoli e di beneficenza.
È del tutto evidente che se si vuole affrontare ad esempio il tema della tutela dei fanciulli nei paesi del terzo mondo, non si può non considerare che proprio le protagoniste della modernizzazione, le multinazionali, dislocano in quei paesi apparati produttivi in cui si avvalgono del lavoro di bambini ipersfruttati.
Nello stesso tempo ad esempio non si può dimenticare che la tutela del diritto alla vita e alla salute, così solennemente proclamato, oggi deve fare i conti con i principi economici e finanziari che ispirano le industrie farmaceutiche dell’occidente, che non trovano “conveniente” cedere a prezzi accessibili, ai più poveri paesi africani, i farmaci per combattere l’AIDS.
Ancora non può trascurarsi che il diritto all’ambiente è oggi minacciato soprattutto dal moderno sistema produttivo che ormai si diffonde su tutto il pianeta e intensifica ed esporta fattori di inquinamento e di violenza alla natura.
In tutti questi casi l’esigenza di tutela di diritti umani cede il passo ad una logica economicistica tipica dell’economia neoliberista dei paesi occidentali. E ciò pone un’altra questione: non basta proclamare solennemente i diritti, creare organismi internazionali per la loro tutela se non si incide sulle condizioni materiali, economiche e sociali che pesano sulla loro effettività.
Lo scarto tra le forme giuridiche e le realtà sociali è stridente e anche a livello internazionale la ‘strategia dei diritti’ si rivela una illusione o peggio un inganno se non si accompagna ad una politica internazionale che ponga l’uomo al centro dello sviluppo e del suo progresso sociale.
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Afghanistan, primavera 2007.
Un detenuto ammanettato e bendato
viene scortato da marines dell’82a
Divisione nel sud dell’Afghanistan |
Guerra
e diritti umani
In un quadro siffatto sembra che il modello dello stato nazionale, nato dopo il trattato di Westfalia (1648) e già sostanzialmente superato dal modello delle nazioni unite, è oggi inadeguato ad affrontare questioni che possono essere risolte solo sul piano planetario.
È entrato in crisi secondo U. Beck lo stato nazionale e il metodo nazionalistico nell’affrontare i vari problemi, in quanto la realtà delle varie società è diventata cosmopolita. Con tale termine si intende un processo multidimensionale che caratterizza la globalizzazione e che investe diverse realtà, diversi popoli, diversi attori politici non statali. In virtù di ciò la battaglia per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori, per l’eliminazione della povertà, per la tutela della vita, delle liberà e di tutti i diritti umani, si svolge su scala mondiale. Nello stesso tempo i pericoli di crisi, economica e politica, il terrorismo, i rischi ambientali travalicano i singoli stati e assumono anch’essi dimensione cosmopolita.
Nella società globale del rischio non si può più dare una risposta nazionale ai problemi nazionali che derivano però dal contesto planetario. Secondo Beck, ciò dovrebbe determinare il superamento della logica nazionalista a favore di uno sguardo cosmopolita, in virtù del quale ciascuno sia consapevole di far parte sia di una realtà locale o nazionale sia di un contesto universale fortemente collegato.
Il regime dei diritti umani è l’esempio di come possa essere superata la distinzione tra nazionale e internazionale a vantaggio dell’idea cosmopolita. L’uguaglianza, la reciprocità e l’universalismo dei diritti privano gli stati degli attributi della pienezza del loro potere e dell’illimitata autodeterminazione.
Il linguaggio dei diritti umani muta i fondamenti della politica mondiale poiché penetra in tutti i livelli della politica e della società aprendoli a controlli e interventi esterni. I conflitti un tempo locali vengono globalizzati. I diritti umani scardinano e cancellano confini apparentemente eterni e impongono la definizione di nuovi confini.
La prospettiva della società cosmopolita e di un diritto cosmopolitico (osteggiato da alcuni autori come Danilo Zolo) se da un lato appare più congrua alla natura e alla dimensione dei problemi della modernità, presenta il rischio di trasformare le promesse di pacificazione e di tutela dei diritti sul piano universale in una situazione mondiale di costante destabilizzazione e l’auspicio della pace perpetua di Kant si può ribaltare in una situazione di conflitti permanenti.
Il modo in cui l’occidente e in particolare gli USA hanno di recente inteso affrontare la tutela dei diritti umani in alcune realtà attraverso interventi militari definiti “ingerenze umanitarie” rischia di innescare una spirale inarrestabile di reazioni, violenze e atti terroristici che paradossalmente producono una situazione di violazione di diritti ancora più grave di quella che si affermava di voler risolvere. Qui entra in discussione l’uso della violenza militare per raggiungere fini condivisibili: in sostanza il tema della guerra giusta o guerra umanitaria.
Se si considera che nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, i diritti umani oltre che essere presupposto e risultato di regimi democratici sono intimamente connessi con il mantenimento della pace, difficilmente può ritenersi che la tutela dei diritti possa realizzarsi attraverso la guerra.
In ogni caso anche a voler ritenere ipotizzabile un ricorso all’intervento militare per prevenire un enorme catastrofe umanitaria, non può non rilevarsi che gli interventi del genere più recenti sembrano ispirati da altre logiche. In primo luogo la difesa militare non avviene per tutti i diritti umani ( si è intervenuto a volte per i diritti civili e politici, ma mai per i diritti sociali fondamentali ). Inoltre l’uso della forza o la minaccia della forza è avvenuto solo per alcuni stati e non per altri.
In sostanza le ingerenze umanitarie di questi anni sembrano evidenziare piuttosto quella che U. Beck definisce “un’etica cosmopolita come politica di potenza”. L’occidente cioè e le organizzazioni sopranazionali governano sotto le bandiere dei diritti umani ingerendosi nelle faccende interne degli altri stati.
Si delinea così un particolare tipo di cosmopolitismo affidato soprattutto alle esigenze dell’unica potenza mondiale (gli USA), e agli organismi sopranazionali che determinano il modello di sviluppo economico globale (F.M.I., banca mondiale, WTO ecc.). Una sorta di “americanizzazione” che implica secondo U. Beck una concezione nazionale della globalizzazione, lontana da una effettiva cosmopolitizzazione.
I mutamenti
delle guerre globali
A ben vedere le guerre dell’ultimo decennio sono nuove perché anticipano il modello delle guerre dell’era globale, che non sono più interpretabili secondo i rigidi schemi della dottrina di Clausewitz, in quanto non sono dati da scontri fra stati nemici e non sono combattute in nome di interessi nazionali o territoriale. Si è trattato piuttosto di guerre postnazionali e despazializzate, caratterizzate da una miscela di etica e di politica globale, di ideologia umanitaria e di logica imperialista.
Nell’attuale epoca globale e postnazionale, l’atteggiamento culturale nei confronti della guerra muta radicalmente. Si fa strada la concezione “dell’umanesimo militare” che giustifica una guerra umanitaria allorché questa è finalizzata ad affermare in ogni angolo del mondo i diritti umani.
All’universalismo dei diritti dell’uomo, secondo questa concezione, deve corrispondere l’universalismo della loro protezione anche militare.
In realtà va rilevato che la causa dell’universalismo cosmopolitico e dei diritti identifica valori e opinione pubblica occidentali con tutta la comunità internazionale, all’interno della quale, al contrario, sono rinvenibili valori e stili di vita del tutto diversi da quelli occidentali e tuttavia con uguale legittimazione ad esistere.
Spesso della tutela dei diritti umani è un pretesto che consente alle potenze occidentali di scatenare guerre contro chi si oppone alla loro egemonia culturale ed economica e quindi in modo particolare contro l’islamismo radicale che tenta di resistere al processo di occidentalizzazione del mondo.
Questa specie di fondamentalismo umanitario di fatto enfatizza il ruolo dei più potenti paesi occidentali nella tutela dei diritti dell’uomo in ogni parte del mondo ed è utilizzato come criterio di giudizio dei più recenti conflitti fortemente asimmetrici quali Iraq e Afghanistan.