Rivista Anarchica Online


Cuba

La rivoluzione castrista all’opera

 

Si definiscono “Gruppi di appoggio ai libertari e ai sindacalisti indipendenti di Cuba” e editano in Francia il bollettino “Cuba Libertaria”.
Pubblichiamo in queste pagine la traduzione integrale del loro Bollettino n. 6.

 

Il governo di Raúl Castro ha deciso di combattere “la mancanza di dedizione al lavoro” dei lavoratori cubani con una nuova legislazione, il cui obiettivo principale è ottenere il “riscatto dell’ordine e della disciplina” per aumentare la produttività.
Dopo una valutazione critica sulla “mancanza di dedizione al lavoro” e le insubordinazioni nella maggior parte delle unità produttive e dopo molti mesi di preparativi, il governo “transitorio” guidato da Raúl Castro ha cominciato ad applicare a Cuba una nuova normativa del lavoro per ripristinare la disciplina e l’osservanza degli orari nelle unità produttive. I nuovi regolamenti, entrati in vigore il 1° aprile, sono stati presentati come parte di un piano per rilanciare l’economia e aumentare la produttività nelle aziende statali. Questi provvedimenti disciplinari, che il governo castrista ha cominciato ad applicare in maniera autoritaria, mettono in evidenza la frattura esistente tra i lavoratori e coloro che, a Cuba, accentrano il potere nelle proprie mani: potere politico e potere economico.
Dopo più di quarant’anni di “rivoluzione socialista”, questa è la conquista sociale che lo Stato-Padrone può offrire ai lavoratori cubani: aumento dell’orario di lavoro a 8 ore al giorno e 44 alla settimana. Oltre a ciò, è previsto il licenziamento immediato per tutti quei lavoratori che non si attengono ai “regolamenti disciplinari interni”.
La rivoluzione castrista pretendeva di aver portato il socialismo ai lavoratori cubani; ma questi si sono accorti molto velocemente di che cosa significasse nel quotidiano il socialismo diretto dalla burocrazia castrista al servizio di uno Stato totalitario, pronto a reprimere con la forza ogni forma di contestazione politica o sindacale. Non c’è da stupirsi se, di fronte a una simile situazione e all’impossibilità di manifestare la propria insoddisfazione e rivendicare miglioramenti (lo sciopero è proibito in qualsiasi forma), i lavoratori cubani hanno scelto di “fare il meno possibile” e hanno cercato il modo per aumentare i loro salari esigui con “appropriazioni illegali della produzione” nei posti di lavoro.
A che livelli saranno arrivate mai questa “indisciplina sul posto di lavoro” e questa “appropriazione illegale”, dopo tanti anni di “Rivoluzione”, perché ora le autorità rivoluzionarie si siano viste costrette a smascherarsi e a rendere pubblica la loro volontà di imporre un ordine e una disciplina, da fare invidia a qualsiasi padrone capitalista?!
A commento della portata di tali misure repressive riproduciamo di seguito alcuni brani dell’articolo che il corrispondente dall’Avana del quotidiano “El País”, Mauricio Vicent, ha scritto martedì 3 aprile:

[…] Da sempre, ma in misura maggiore da quando ha avuto inizio la crisi del periodo speciale, quando i salari persero gran parte del proprio valore e si acutizzarono i problemi connessi con i trasporti e le interruzioni di energia, la disciplina sul lavoro, o meglio l’indisciplina sul lavoro, dei cubani, ha costituito un grave problema per le autorità.
Il panorama generale è questo: lavoratori che arrivavano tardi o non arrivavano per niente sul posto di lavoro; uffici in cui i dipendenti si prendevano “permessini” di ore per bere un caffè o risolvere problemi personali; aziende nelle quali la maggior parte degli operai se ne andava prima della fine della giornata per non “perdere l’autobus”; certificati medici a tonnellate per persone in piena salute, e tutto quanto si può ulteriormente immaginare in questo senso.
Secondo i dati ufficiali, nel corso di ispezioni realizzate nei primi quattro mesi del 2006 in 3.052 unità produttive, il 59% dei centri non ha superato l’esame in merito all’osservanza delle leggi che sarebbero entrate in vigore. La situazione si è ripetuta nel corso dei controlli realizzati tra maggio e giugno dell’anno scorso, quando, pur essendo a conoscenza di quanto sarebbe accaduto, soltanto 904 su 2027 strutture ispezionate erano in regola con la normativa.
Dall’anno scorso, le autorità hanno avvertito che gli abusi e le violazioni non potevano continuare, soprattutto in un momento in cui il paese (il governo) tentava di rendere efficiente l’economia socialista e rilanciare la produzione. Le risoluzioni del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale sono due: la 187 che regola “l’orario e la giornata lavorativa”, e la 188, che traccia le norme dei regolamenti disciplinari interni e stabilisce il quadro delle sanzioni. Tali risoluzioni sono state approvate il 21 agosto, tre settimane dopo che si era venuti a conoscenza della malattia di Fidel Castro, anche se erano già in preparazione.
Secondo i media ufficiali cubani, i principali obiettivi sono quelli di contribuire al “riscatto dell’ordine e della disciplina” e di ottenere un maggior utilizzo della giornata lavorativa, imprescindibili per raggiungere l’auspicato incremento della produttività in ogni luogo di lavoro.
Tra i provvedimenti figura il prolungamento dell’orario, che nella maggior parte delle unità produttive sarà di otto ore al giorno e 44 settimanali, e l’obbligo per i lavoratori di trovarsi sul posto di lavoro prima dell’apertura e fino a dopo la chiusura dello stabilimento in cui lavorano, cosa che potrebbe sembrare ovvia in qualsiasi paese al mondo, ma che a Cuba non lo è.
Le sanzioni per i trasgressori, che certamente ci saranno, sono diverse e in qualche caso più dure di quelle esistenti fino a questo momento, ispirate come sono al principio di non “lasciarne passare una”. Ora le aziende possono arrivare all’allontanamento definitivo dal posto di lavoro, cosa molto difficile in precedenza (e solo per motivi politici); inoltre le sanzioni saranno effettive a partire dal giorno successivo alla notifica, “indipendentemente dal fatto che se ne dimostri la non conformità” e dagli eventuali ricorsi.
L’applicazione della normativa doveva avere inizio il 1° gennaio, ma l’entrata in vigore è stata rinviata al 1° aprile in ragione del fermento provocato in gran parte dei collettivi operai. Nelle assemblee tenute per discutere i nuovi regolamenti non pochi lavoratori hanno chiesto di risolvere prima il problema dei trasporti pubblici – uno dei fattori che influisce maggiormente sull’assenteismo – e di procedere anche al recupero del potere d’acquisto dei salari.
La settimana scorsa, il ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, Alfredo Morales, ha riconosciuto che alcuni di questi problemi “tarderanno” a essere risolti e ha avvertito che, non per questo, “dovranno influenzare l’applicazione di quelle decisioni”.
Durante un recente congresso sindacale, Raúl Castro, presidente “transitorio” da quando il leader cubano, Fidel Castro, è stato costretto a delegare i propri poteri a causa di una malattia, ha chiesto ai lavoratori cubani (come avrebbe fatto qualsiasi padrone) di essere “all’altezza delle sfide sempre più grandi”, di essere “intransigenti riguardo a tutto ciò che è fatto in modo approssimativo” e di non permettere “le autogiustificazioni”.
Il capo dell’esercito ha sostenuto che, in momenti come quelli, tutti dovevano dare “un importante contributo” e approfittare “delle prospettive che a poco a poco si stanno aprendo per lo sviluppo economico e sociale del paese”. Ha detto che non si può “esentare dallo loro immensa responsabilità gli unici padroni della ricchezza del paese”.

Non è necessario commentare ulteriormente i “risultati” che il castrismo offre ai lavoratori cubani dopo quasi cinquant’anni dall’inizio di un processo di concentrazione del potere nelle mani di un gruppo dirigente, che alcuni insistono ancora nel chiamare la “Rivoluzione cubana”.

La “ragion di Stato” e i “diritti umani”

La visita a Cuba del ministro spagnolo degli Affari Esteri, Miguel Ángel Moratinos, ha suscitato molteplici e non sempre concordi reazioni tra i dissidenti cubani. Infatti, mentre le Damas de Blanco, il collettivo che raggruppa le familiari di dissidenti cubani incarcerati, sollecitavano pubblicamente il ministro a intercedere presso il governo castrista per ottenere la scarcerazione degli oppositori, altri hanno accusato Moratinos di dare “appoggio al regime”, e soltanto Eloy Gutiérrez Menoyo e Manuel Cuesta Morúa hanno partecipato al ricevimento offerto dal ministro all’ambasciata.
Noi non siamo rimasti sorpresi dal fatto che un ministro “socialista” spagnolo non abbia alcuno scrupolo di coscienza nello stringere la mano della mafia che governa Cuba esercitando la repressione, perché sappiamo bene che per questi “socialisti”, come per i “socialisti” del governo castrista, quello che conta è soltanto stare al potere. Per questo né prima né in questa occasione abbiamo riposto le nostre speranze in interventi esterni al popolo cubano, da qualsiasi parte provengano. Interventi che sono determinati solamente da interessi politici ed economici. E ancora per questo, simili interventi si giustificano cinicamente con la medesima assenza di considerazione etica. Infatti, ecco il ministro degli Affari Esteri spagnolo che dice: “Spetta al popolo cubano [sic] stabilire quali cambiamenti realizzare, quando e a che velocità”. E, a sua volta, il responsabile per l’America Latina del Dipartimento di Stato statunitense, Thomas Shannon, afferma: “Il futuro di Cuba dipende unicamente dai cubani: non è nelle nostre mani, né in quelle del Venezuela, né della Spagna, né dell’ONU”.
Insomma, su questo piano, la dittatura castrista non ha di che preoccuparsi. Né la Spagna del socialista Zapatero, con la sua rettifica della politica europea che aveva stigmatizzato la scandalosa violazione dei diritti umani perpetrata dal castrismo quattro anni fa, incarcerando e fucilando i dissidenti, né gli USA di Bush chiederanno il rispetto delle libertà democratiche. Gli affari sono e continueranno a essere affari.
È per questo che abbiamo considerato opportuno riprodurre di seguito la reazione di Canek Sánchez sulla visita di Moratinos a Cuba:

“Negli ultimi giorni un vero e proprio diluvio di e-mail, articoli, note, commenti ha dato conto dell’indignazione provocata dalla visita di Moratinos a Cuba. Ciò che ha suscitato le proteste, sia dei cubani in esilio sia dei dissidenti all’interno, è stato il rifiuto di Moratinos di incontrarsi con i dissidenti sull’Isola, mentre discorreva amichevolmente con persone funeree come Felipe Pérez Roque, mero esecutore di parole d’ordine. Ma a questo punto della storia dovremmo ormai sapere che la politica reale non si basa su nobili e raffinati valori ideologici o etici, bensì soltanto su negoziati economici e, naturalmente, politici. Lo abbiamo già visto troppe volte, anche nella fazione opposta.
“Le elezioni messicane del 1988 hanno costituito uno spartiacque nella storia nazionale; per la prima volta un fronte di sinistra (moderata) arrivava alla presidenza, prefigurando la fine della ‘dittatura morbida’ del Partido Revolucionario Institucional. Candidato di questo fronte era Cuauhtémoc Cárdenas, figlio del generale ed ex presidente Lázaro Cárdenas, quello stesso che negli anni cinquanta aveva fatto uscire di prigione Fidel Castro e i suoi uomini, che erano stati incarcerati a Città del Messico dalle ‘forze dell’ordine’ e che, grazie al suo intervento, poterono partire per Cuba sul Granma. Ma le elezioni del 1988 sono state una truffa e il candidato del pri, Carlos Salinas, si è autonominato presidente della Repubblica, con un sistema in cui persino i morti lo ‘hanno votato’. Bene, Fidel Castro è stato il primo a correre a congratularsi con lui, in spregio della sinistra messicana e del figlio del suo ‘amico’, quel tal Cárdenas.
“D’altra parte, ogni politico è legato a chi lo vota (oltre che alle imprese che finanziano la sua campagna elettorale). Dal che si deduce che se la maggior parte degli elettori statunitensi si opponesse all’embargo contro Cuba, l’embargo non esisterebbe. Se la figura di Fidel Castro risultasse simpatica negli Stati Uniti o se le aziende statunitensi facessero buoni affari con Cuba, i rapporti tra i due paesi sarebbero eccellenti. Ma non è così.
“C’è un’altra variabile, ed è quella del mercato internazionale. Miglior esempio di ciò è la Cina. A poco a poco le critiche al totalitarismo cinese sono andate diminuendo fino quasi a scomparire dalla stampa e dalle istanze internazionali. Certo, se l’industria cubana avesse un qualche peso sul mercato internazionale i governi del mondo perdonerebbero a Fidel tutti i suoi ‘peccatucci’, come glieli perdona buona parte della ‘società civile’ internazionale, con il pretesto che Fidel e Cuba ‘guidano’ l’opposizione all’impero… Qualsiasi cosa questo significhi.
“Quello che succede riguardo alla Spagna è questo: le autorità spagnole non sono qui per difendere gli interessi del popolo cubano, ma quelli delle proprie aziende. Sfruttano pure il radicato antiamericanismo presente nella società spagnola, nonostante la sua palese ‘americanizzazione’.
“Nel corso di quest’anno i rapporti diplomatici tra Cuba e Messico si normalizzeranno pienamente, non perché il presidente Felipe Calderón simpatizzi con il Fifo (1), ma perché così desidera il popolo messicano e, senza dubbio alcuno, anche un settore del padronato. Certo, neppure la decisione di Fox di rompere le relazioni con Cuba fu dovuta a questioni ideologiche (Vicente Fox è un uomo privo di ideologia, l’unica cosa che capisce sono i dollari), ma alla irrefutabile argomentazione che lui stesso ebbe a esprimere in questo modo: “I nostri affari con Cuba ammontano a un tot; quelli con gli Stati Uniti sono cento volte superiori”. È così che funziona la politica internazionale, non in un altro modo.
“Certo, c’è un capitale simbolico che si valuta in voti, con cui politici sono soliti giocare, e i politici spagnoli non fanno eccezione, come non la fanno gli Stati Uniti. Insisto: il giorno in cui i sondaggi dovessero indicare che l’elettorato statunitense è a favore del ripristino delle relazioni diplomatiche e commerciali con l’Avana, quel giorno la faranno finita con l’embargo. Non prima.
“Alle aziende non interessa la politica. Qualsiasi politica è buona per il business. Fare affari con Pinochet o con Chávez è la stessa cosa. È sempre stato così. Ai banchieri svizzeri non ha fatto schifo arricchirsi con il denaro che i nazisti avevano rapinato agli ebrei. Alla faccia della ‘neutralità’. Fidel detesta l’impero, ma non c’è stato giorno che non abbia chiesto la fine dell’embargo per ristabilire rapporti economici con quello stesso impero. Gli affari tra il governo Chávez e i petrolieri statunitensi non sono un segreto. È la stessa sinistra venezuelana, che è contro Chávez, a denunciarlo.

“Infine, benché sappiamo tutti che non sarà il governo cubano a risolvere i problemi di Cuba, questo non deve indurci a pensare che a farlo sarà un governo straniero. In fondo, è probabile che l’origine di tutto il problema stia qui: i quasi cinquant’anni di totalitarismo ci hanno abituato al fatto che papà governo risolva – o debba risolvere – i problemi della società. Lo so, è impossibile che la società risolva i propri problemi se non le viene permesso, se non esistono spazi di intervento; ma non vedo motivi di nessun tipo per chiedere a rappresentanti di un governo straniero che veglino sugli interessi dei cubani. Anche se la faccenda non mi piace, quel che è certo è che la delegazione spagnola si è recata a Cuba soltanto per garantire gli investimenti del proprio padronato e, in base alla logica dei suddetti rapporti, non c’era motivo perché le cose andassero in un modo diverso.
“Analogamente, quando il presidente cinese si è recato negli Stati Uniti, non ci sono stati incontri, presso la sua ambasciata, con i maoisti statunitensi (che esistono e sono tanti). Nelle ambasciate cubane nel mondo non si riuniscono gli antimperialisti, né gli oppositori ai loro rispettivi regimi. Le ambasciate non hanno questa funzione: sono strumenti di un governo e servono a gestire le relazioni con il governo che le accoglie. La fase ideologica della politica reale è morta con la guerra fredda (e anche allora ogni ideologia era subordinata agli interessi mercantili, anche se presentava un volto opposto).
“L’etica non è importante, ciò che comanda è la mercatistica. E se questo ci dà fastidio, allora non ci resta che ammettere che il problema affonda le proprie radici nel capitalismo stesso. Ma non in Moratinos. Mi sembrerebbe troppo. O meglio troppo poco…”

Oseranno giustiziare i sequestratori dell’aereo?

Dopo nove mesi di malattia, dichiarata segreto di Stato, che lo ha costretto a passare il potere al fratello minore Raúl, ministro delle Forze Armate, il 31 luglio 2005, Fidel Castro ha pubblicato il suo quinto articolo, l’8 maggio 2006, sul quotidiano (l’unico) Granma.
L’agenzia EFE ha reso nota, dall’Avana, la pubblicazione dell’articolo, nel quale Castro riferisce della liberazione dell’anticastrista Posada Carriles negli Stati Uniti, insieme all’ultimo tentativo di sequestro di un aereo all’Avana. Questo tentativo, conclusosi con la morte di un militare preso in ostaggio e il ferimento delle due reclute che hanno tentato di impadronirsi dell’aereo, è descritto in questi termini:
“Come conseguenza della liberazione di un mostro del terrore (Posada)” due giovani che stavano assolvendo al servizio militare attivo “desiderando andarsi a godere il consumismo negli Stati Uniti”, hanno assaltato e preso in ostaggio un autobus, hanno forzato l’ingresso del terminal dei voli nazionali dell’aeroporto e sono saliti su un aereo civile, pretendendo di essere portati in territorio statunitense. Ricorda che due giorni prima le reclute erano fuggite da una installazione militare e avevano assassinato un soldato di guardia, per rubare due fucili mitragliatori. All’interno dell’aereo, hanno ucciso con quattro colpi di arma da fuoco il tenente colonnello Víctor Ibo Acuña, il quale, preso in ostaggio dall’autobus, pur essendo disarmato, aveva tentato di evitare il sequestro dell’aereo.
Castro rivela che le due reclute non sono ancora state processare, perché sono rimaste ferite durante il tentativo di sequestro, “l’uno dagli spari dell’altro, mentre lottavano con l’eroico ufficiale delle forze armate”.
E ammonisce: “Ora molte persone all’estero sono in attesa della reazione dei Tribunali e del Consiglio di Stato di fronte a un popolo profondamente indignato per i fatti accaduti. È necessaria una grande dose di serenità e sangue freddo per far fronte a questi problemi”.
“Erano tanti mesi che non succedeva qualcosa di simile. È bastata l’assurda liberazione del noto terrorista (Posada) perché la morte visitasse di nuovo i nostri focolari” aggiunge Castro nell’articolo, intitolato La tragedia che minaccia la nostra specie.
Così, secondo quanto riferisce il dispaccio di EFE, Castro ammonisce che “per far fronte (giudicare) a questi problemi”, i Tribunali e il Consiglio di Stato avranno bisogno di una “grande dose di serenità e di sangue freddo”. C’è da chiedersi se sarà la stessa dose di serenità e sangue freddo con le quali i Tribunali e il Consiglio di Stato hanno deciso la fucilazione dei tre giovani neri, che tentarono di sequestrare un’imbarcazione per fuggire da Cuba nel 2003. Con tutto che quei giovani non avevano né ucciso né ferito nessuno.

Misure contraddittorie

Secondo alcuni economisti che seguono da vicino la “evoluzione” della politica economica castrista, da quando Cuba può contare su una nuova Unione Sovietica, grazie ai finanziamenti del Venezuela di Chávez, il regime castrista si sente più sicuro economicamente e intende approfittare di questa congiuntura per chiudere i piccoli spazi aperti negli anni novanta, incluso il settore del turismo, applicando una strategia volta ad assumere di nuovo il controllo politico assoluto sulla società.
Di qui il nuovo accentramento dell’economia cubana negli ultimi anni, allo scopo di rafforzare il ruolo dello Stato: drastica riduzione delle imprese miste con capitale straniero (delle 313 attive nel 2004, nel 2006 restano soltanto 236), riduzione del lavoro autonomo (sono stati cancellati molti lavori consentiti, negando nuovi permessi a varie attività autorizzate e imponendo nuove tasse alle persone munite di licenze), riduzione dell’investimento in pubblicità e infrastrutture per il settore del turismo, nonostante sia una delle principali fonti di valuta straniera per il paese.
Tuttavia, a seguito delle proteste promosse, all’inizio del 2007, da un folto gruppo di scrittori e artisti, provocate dalla riabilitazione in televisione di vari ex funzionari legati alla fase più nera della cultura cubana (il cosiddetto quinquennio grigio), una certa aria di apertura sembra manifestarsi in questi ultimi tempo nella televisione cubana.
Infatti, venerdì 4 maggio, il canale educativo della televisione cubana ha trasmesso il film Fragola e cioccolato, girato quattordici anni fa dai registi Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío, nel quale si rivendica il diritto alla diversità e si denuncia la persecuzione di cui sono stati oggetto gli omosessuali da parte della rivoluzione cubana.
La proiezione nell’ambito dello spazio “Espectador crítico” è stata vissuta come un trionfo degli intellettuali e artisti che avevano partecipato alla protesta di gennaio contro la riabilitazione da parte dell’ICRT (Instituto cubano de Radio y Televisión) della figura di Luis Pavón Tamayo, considerato il principale esecutore della politica di censura che, negli anni sessanta, aveva emarginato moltissimi artisti cubani, perché non rispettavano i “parametri rivoluzionari”.
Juan Carlos Tabío ha dichiarato che “il dibattito degli intellettuali ha avuto ripercussioni positive”, dato che l’ ICRT, che era stato il pomo della discordia nella riabilitazione di Pavón, “ha dovuto aprire le porte al cinema cubano proibito”.
Nel corso del mese di aprile, la televisione ha trasmesso Diario de Mauricio, di Manuel Pérez, e Suite Habana, di Fernando Pérez. Si tratta di due film recenti che affrontano la realtà cubana da un punto di vista critico, anch’essi vietati fino a questo momento dall’ ICRT.
A quanto riferiscono alcune fonti, dopo la scandalo provocato dalla risurrezione di Pavón e di altri funzionari legati al quinquennio grigio, il direttore dell’ ICRT, tenente colonnello Ernesto López (ex direttore degli studi cinematografici del Ministero delle Forze armate), ha dovuto fornire spiegazioni, nel corso di numerose riunioni, davanti a un gruppo di intellettuali e al ministro della Cultura, Abel Prieto, che si è schierato a favore dei denuncianti.
Tutto sembra indicare che la mobilitazione degli intellettuali sia servita per aprire spazi di dibattito richiesti da un gran numero di anni dagli artisti cubani. Finora tali spazi sono stati somministrati con il contagocce, quando si è trattato di affrontare questioni che vanno al di là della denuncia di repressioni passate; in base a quanto hanno dichiarato alcuni artisti, si chiede di cambiare la realtà odierna, nella quale sopravvivono politiche di esclusione e intransigenza nell’ ICRT e in altre istituzioni culturali.
In questi ultimi mesi a Casa de las Américas e all’Instituto Superior de Arte si sono tenuti dibattiti sul quinquennio grigio e sulle sue ripercussioni negative sulla cultura cubana, nel corso dei quali i partecipanti più giovani si sono rivelati molto critici e antidogmatici, arrivando a chiedere cambiamenti nella politica culturale e una partecipazione reale.
È in questa atmosfera che la Unión Nacional de Escritores y Artistas de Cuba ha convocato per il mese di aprile il suo prossimo congresso, che deve tracciare la politica culturale per gli anni a venire, precisando che i suoi “propositi e fini, sempre all’interno della rivoluzione, passano necessariamente attraverso la difesa della diversità”.
Quindi, ben presto, avremo modo di vedere se questa diversità è compatibile con la strategia dello Stato castrista, volta ad assumere nuovamente il controllo politico assoluto sulla società, strategia che sta applicando in altri ambiti della vita quotidiana di Cuba.

“Patria, socialismo o morte” anche in Venezuela

A quanto riferiscono vari periodici venezuelani, il comandante dell’esercito venezuelano, viceammiraglio Benigno Calvo, in una nota interna, ha appena ordinato ai suoi sottoposti di “usare comunemente” la parola d’ordine “Patria, socialismo o morte!”.
La consegna, afferma Calvo nel suo messaggio datato 7 maggio scorso, “deve essere di uso comune in tutte le attività di servizio, specialmente nel caso in cui un subalterno si rivolga a un superiore, prima di chiedere il permesso di parlare e per ritirarsi”.
La parola d’ordine è usata dal presidente del Venezuela Hugo Chávez a chiusura dei suoi discorsi da quando, il 10 gennaio scorso, ha dato inizio il suo nuovo mandato per il periodo 2007-2013 e ha giurato che avrebbe smantellato “lo Stato borghese” e avrebbe riconquistato per lo “Stato socialista del XXI secolo” l’intera “industria strategica”, soprattutto nei comparti dell’elettricità, della telefonia e del petrolio.
Il capo di Stato Maggiore militare presidenziale, generale dell’esercito Alberto Müller, ha sancito il comunicato di Calvo e lo ha elogiato, rivelando di essere stato salutato recentemente in quel modo da un cadetto dell’Accademia militare di Caracas.
Il generale ha giustificato il fatto spiegando che la Fuerza Armada Nacional (FAN) “è sempre stata politicizzata” e ha obbedito al partito politico al governo, per cui, ha aggiunto, l’ordine si limita a rendere pubblico qualcosa che in passato è stato fatto “surrettiziamente”.
La nuova Costituzione venezuelana, approvata su richiesta di Chávez nel 1999, stabilisce che la fan costituisce un’istituzione formata sostanzialmente da professionisti, senza militanza politica” e che “in nessun caso” potrà essere al servizio di un partito.
A questo riguardo Müller ha sostenuto che, se si rivelasse necessario, la Carta costituzionale potrebbe essere modificata, dato che deve sempre esprimere “i desideri di chi sta al potere”.
Da parte nostra riteniamo che informazioni simili si commentino da sole e chiariscano che tipo di “socialismo” difenderà l’esercito venezuelano.

Dichiarazioni e parole d’ordine per il 1° maggio

All’interno della campagna per aumentare la produttività e in previsione della sfilata del 1° maggio, i dirigenti della Central de Trabajadores de Cuba (CTC) sono andati ripetendo una serie di parole d’ordine, destinate a “mobilitare” centinaia di migliaia di cubani “per festeggiare questa giornata rivoluzionaria”.
Il segretario generale delle CTC (l’unica “organizzazione sindacale” permessa a Cuba), Salvador Valdés, ha stilato un lungo elenco di temi che saranno alla base delle attività del giorno dei lavoratori per sostenere il sistema comunista del paese e i fratelli Castro, senza dimenticare, naturalmente, di condannare la messa in libertà (su cauzione, negli Stati Uniti) dell’anticastrista Luis Posada Carriles, accusato dell’esplosione di un aereo cubano e di una serie di attentati in alberghi dell’Avana. Valdés ha insistito sul fatto che la giornata cade in momenti nei quali “Cuba lavora per incrementare la produttività, seriamente compromessa negli anni novanta”.
Alludendo alle recenti risoluzioni che puniscono le insubordinazioni, la mancanza di puntualità e la sottrazione di risorse, fatti assai frequenti nel sistema lavorativo castrista, e tentando di rispondere alle lamentele di numerosi cubani che, in cambio, pretendono migliorie nei trasporti pubblici che li portano al lavoro e aumenti di salario come forma di incentivo, Valdés ha affermato che questa campagna governativa “è un processo ordinato, graduale, lento e con la partecipazione dei lavoratori”. Ha insistito sul fatto che devono essere “effettuate assemblee con i dipendenti per spiegare loro che, al fine di ottenere aumenti salariali, è necessario migliorare i risultati”.
Ai giornalisti Valdés ha detto che a Cuba “i lavoratori sono i veri padroni dei pezzi di produzione” e che “il ruolo dei sindacati è educarli” perché capiscano la situazione.

(traduzione dal castigliano di Luisa Cortese)

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1. Epiteto dispregiativo usato dall’opposizione anticastrista per definire Fidel Castro. [N.d.T.]