Gilbert Laffaille
la testa altrove, il cuore al mondo
Ho la testa altrove, mica meglio o peggio di vent’anni fa
Sono sempre quello che dice “ti amo” ma di tanto in tanto
Vago per la luna, dormo sulle dune o coi piedi a mollo
Nei giorni di festa mi scorazza in testa una bicicletta
Ho vissuto d’acqua fresca, di mele e di pesche,
dormito come un re
Costruito capanne, adorato Pelle d’asino e Robin Hood
Detto fesserie, spostato valige, fatto ogni mestiere
Dato la parola, perduto la bussola, bevuto a canna.
(…)
Ho corso per il mondo, le isole della fonda e i paesi freddi
Cercato il mio senno, il profumo delle donne
e le lenzuola di seta
Mangiato sacchi di sale, inghiottito rospi, imparato a nuotare
La vita mi ubriaca, mi trovo nella folla come uno straniero
Ho la testa altrove, mica meglio o peggio di vent’anni fa
Ho amato il mare, l’ocra, il blu oltremare, la sabbia ed il vento
Camminato nei rovi, cercato risposte sull’orlo del caos
Ho visto il Nepal, il cielo del Bengala e Curaçao
Vago per la luna, dormo sulle dune o coi piedi a mollo
Nei giorni di festa mi scorazza in testa una bicicletta
Ho fatto il viaggio dei miei coetanei e più di un dietro-front
Ed ho sulla lingua, come un gusto di mango,
una voglia d’amore.
So pochissimo di Gilbert Laffaille: ho qualche suo disco, qualche libro che raccoglie le sue canzoni, i suoi testi di vera poesia e qualche monologo che presumo lui reciti, fra canzone e canzone, nei suoi spettacoli. Quasi nulla della sua vita: le poche notizie diffuse qui e lì da qualche comunicato stampa, le avare note biografiche da cui è possibile rintracciare le date fondamentali; nato nel 1948 (il 25 aprile, bella data!), studia lettere, diventa professore e intanto scrive canzoni, ma, troppo timido per cantarle , debutta con un repertorio inglese in un centro di cultura americana.
Primo disco nel ’77, con dentro un pezzo (Le président et l’éléphant) in cui prende pesantemente in giro il presidente della repubblica francese Giscard d’Estaing col vizio della caccia grossa in Africa, questi non gradisce molto, il pubblico e la critica si.
Un inizio promettente…si parla di Gilbert, della sua ironia obliqua, come di una nuova risorsa della canzone d’autore, in un’epoca in cui questa attraversa un buio e ha alle spalle i suoi anni migliori.
(per inciso: avete fatto caso? Non c’è arte a cui non si attribuisca regolarmente un’”epoca d’oro” ormai irrimediabilmente trascorsa! Quando spesso in realtà ne è trascorsa solo l’epoca in cui chi la commerciava faceva “affari d’oro”…).
Gilbert comincia a percorrere il “giro grosso” dei bei teatri, a dispetto di una certa goffaggine che, in scena, lo fa inciampare a ripetizione e dimenticare i propri testi. Una tourné col “mostro sacro”, il quebecchese Gilles Vigneault, allarga il suo pubblico, ma un dramma personale, la morte della sua compagna, gli fa perdere il gusto del canto e lo tiene lontano per un bel po’. Ricomincerà nella seconda metà degli anni ’80, senza velleità da superstar; da allora, con cadenze rilassate ma regolari, CD e spettacoli di altissima qualità.
Ben poco conosco di Gilbert Laffaille.
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Gilbert Laffaille |
So tutto quello che è necessario sapere di Gilbert Laffaille per volervene parlare. Perché ho sentito parecchie sue canzoni e mi hanno toccato nel profondo. È un uomo che muove a una commossa partecipazione per la capacità, tutta sua, di maneggiare la materia incandescente, dolorosa e assurda della sofferenza del mondo con tocco lieve, con lo sguardo che non nasconde e col sorriso che lenisce senza consolare.
Ho visto Singapore e Tangeri le vie di Algeri,
il porto d’Ostenda
Un banco di balene in pericolo l’Arizona la Groenlandia
Le alti valli Tibetane Marie-Galante e St-Martin
Ho visto tutto di canale in canale, ho tenuto il mondo
in una mano
Sfilano tante notizie che volano come fa
Il vento di sabbia del Sahara nel triangolo delle Bermude
Ho visto un villaggio in fiamme, il corpo nero di un bambino
Gli occhi pieni di mosche, nel giornale del pomeriggio
Un oasi e dei miraggi: Bali, Baghdad e il Borneo
Che la vita sia un fermo-immagine?
Che la guerra sia un videogioco?
Cos’è? Un uccello nel petrolio? O la mano di un affogato?
O una fiction in prima serata, mentre facevo zapping…
Ed erano sulla C.N.N. o a Karthoum o a Timisoara
Quei soldati di quindici anni che sorridevano all’obbiettivo?
Sfilano tante notizie che volano come fa
Il vento di sabbia del Sahara nel triangolo delle Bermude
Tocca con un tocco lieve i tasti dolenti, cantilena melodie apparentemente semplici, ma architettate su ritmi di una varietà caleidoscopica… c’è di certo nella sua poesia (e anche nella sua musica) un gusto dell’esotismo che gli viene dai lavori che faceva prima di essere professionalmente un cantante: insegnante di francese per immigrati e guida turistica, prevalentemente nel lontano oriente. Esotismo che non è per nulla fuga.
Semmai si trovano nella sua opera personaggi in fuga, sono certi personaggi della vita di tutti i giorni: lontananze paradossalmente rintracciate proprio fra di noi, che non sappiamo cogliere la diversità e la mitezza di chi non corre il nostro passo frenetico. Delicatissimo è il ritratto del suicidio della Ragazza della città d’acqua.
Non era bella come la bianca Ofelia che dorme
in fondo all’acqua
Era differente come un’adolescente che scopre Rimbaud
Parlava per immagini, vedeva presagi nel volo degli uccelli
Quando la prendevano in giro ripiegava le ali
ingobbendosi tutta
La ragazza della città d’acqua
Aveva occhi verdi come il lago d’inverno e macchie di rossore
Segreta e silenziosa, forse un po’ troppo seria,
dicevano i suoi professori
Amava solo i libri, ma non si può vivere fra immagini e parole
Non le piaceva ballare ma guardare passare cigni e navi
La ragazza della città d’acqua
Era troppo colta, troppo grande per la sua età, o troppo depressa?
È partita in silenzio in piena notte senza scarpe e cappotto.
Ha lasciato sul tavolo, accanto alle favole, un quaderno a righe
Dove aveva scritto “Non ho mai capito dove vanno i velieri”.
La ragazza della città d’acqua
Ciò che colpisce e che ha sempre colpito delle sue canzoni è una scrittura cristallina. Depurata di ogni detrito la sua lingua scorre come il discorso di un amico, eppure è lingua altamente letteraria e controllata. Assonanze e allitterazioni, versi dalla ritmica mozzafiato, messi giù come fossero la prima frase venuta in mente. È un erede, Laffaille, della meravigliosa piccola musica dei versi di Verlaine, i trucchi letterari vi sono talmente digeriti da essere presenti con naturalezza incantata.
Così nei suoi dischi convivono e si stemperano i drammi, le passioni amorose e una critica appuntita che irride e provoca.
Tocca vendere alla Cina
Produrre a Colombo
Programmare le macchine
Ammortizzare il cambio
Liquidare l’aria liquida
Controllare Santa-Fé
Fare crollare le noccioline
E il prezzo del caffè
Riempire i bancali
Scartare il cartone
Portare idrocarburi
Correre maratone
Anticipare la crisi
Sgobbare sgobbare
Imporre l’impresa
Ed il pancarrè (…)
Serve il tonno in scatola
Servono patatine
Attivare le turbine
Comprimere i residui
Eliminare l’angoscia
Sgrassare sgrassare
Esportare carcasse
E latte condensato
Radetevi! Muovetevi!
Siate brevi e concisi!
Scuotetevi! Battetevi!
Tutti hanno i loro problemi!
La mattina strombazza
La sera è otturato
La colpa è di nessuno
La legge è del mercato!
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Gilbert Laffaille |
La voce delicata, i modi cortesi, i suoni accurati, Gilbert Laffaille coltiva come un giardiniere la sua espressione, rinnova un certo gusto per la parola e propone belle idee senza sputare sentenze. Recentemente un altro lutto lo ha per qualche tempo ricondotto al gusto della solitudine, ma, sempre ignorato dai media – che non avendogli da rimproverare alcunché artisticamente, gli rimproverano di non essere diventato famoso pur continuando a cantare per il suo pubblico affezionato – sappiamo che in questi mesi ha ripreso il suo cammino, cosparso di belle canzoni e begli incontri; noi, un po’ distanti e con tutto il rispetto che si deve a quest’artista tenero e riservato, continueremo a seguirlo.
Alessio Lega
alessio.lega@fastwebnet.it
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