Di tanto in tanto, ma puntualmente, giornali e televisioni ripropongono alcune
stereotipate riflessioni sulla cosiddetta società civile. Sfogliando le pagine di quotidiani e riviste, ascoltando telegiornali, interviste, dibattiti in tv e radio, ecco ergersi a punto di riferimento di ogni nuovo o vecchio imbonitore politico questo strano oggetto del desiderio. Cosa e quanto non si sproloquia attorno alla società civile!
Naturalmente se abbiamo bisogno di definire una società in questo modo significa che ve ne è un’altra che è piuttosto incivile e che si ritiene indispensabile metterne in evidenza le caratteristiche e segnarne con forza i confini. Sono quasi sempre operazioni politiche che provengono ora da destra ora da sinistra. Così, a turno, i leader dei vari schieramenti politici, si rivolgono a questa società per decantarne le virtù, si ergono a paladini dei presunti interessi di cui sarebbe portatrice, si contrappongono le virtù implicite nel concetto stesso ai vizi di quest’altra società invece portatrice di ogni nefandezza. È un gioco ormai rituale, consueto, ma decisamente squallido.
L’ultimo, per ora, in ordine di tempo, è il civile Beppe Grillo che, da uomo di spettacolo quale è, ha addirittura indetto il V-Day, sorta di raduno di massa (spontaneo, sic!), durante il quale questa presunta società civile, guidata dal più civile tra i civili (Grillo appunto), si appresta, dopo aver mandato a «fanculo» gli incivili della casta politica attuale, a costituire un movimento politico che candidi alle prossime elezioni amministrative dei nuovi volti, uomini e donne, prelevati da questa società civile con lo scopo di sostituire i corrotti e incompetenti politici incivili.
Niente di nuovo sotto i cieli delle dinamiche politiche direte voi, lettori anarchici smaliziati. Ed in effetti sembra proprio la riproposizione di un copione (termine quanto mai esatto poiché di recite teatrali si tratta per l’appunto), conosciuto e sperimentato con sistematicità nella storia delle logiche del potere. Ma vale la pena soffermarsi un po’di più perché questa volta l’insistenza su questa dicotomia civile-incivile mi appare un pochino sospetta e pericolosa.
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Volantino V-Day |
Sospetto metodologico
Da alcuni tempi in Italia, ma a ben guardare fin dalle origini dello stato repubblicano post-guerra, il tiro al piattello (che qui sta per il politico di professione) è uno tra gli sport più praticati ai livelli più estesi e diffusi. La cosa in sé direte voi, anarchici smaliziati e disincantati, non può che essere da noi condivisa e sostenuta. Certamente è così anche per me, ma mi prude un pochino il cervello quando la denuncia della Politica avviene da altri membri della casta politica, così come l’accusa di inciviltà è partita da qualcuno che si erge a interprete della civiltà.
Troppo facile mi vien da dire sparare sulla croce rossa senza guardarsi un po’ più intimamente di dentro. Che cos’è dunque questa società civile? Chi la compone e soprattutto chi decide chi ne fa legittimamente parte? Chi sono coloro i quali sono abilitati a ritenersi parte di questo eden della purezza incontaminata? E tante altre domande conseguenti solleticano il mio sospetto metodologico.
Se è indubbiamente importante infatti, e per noi anarchici anche abbastanza facile, definire le caratteristiche di questa inciviltà, delineare gli attori e i ruoli che ne compongono le associazioni, descrivere le modalità che determinano i soprusi e le corruzioni che caratterizzano ogni forma di dominio, denunciare e combattere con forza e determinazione i protagonisti nuovi e vecchi della Politica, è altrettanto doveroso indagare con più finezza e disincanto dentro la cosiddetta società civile per chiarirne meglio le sue caratteristiche portanti.
Occorre, come sempre del resto, scegliere ed esplicitare i punti di riferimento delle proprie analisi, per onestà intellettuale e per chiarezza metodologica. Se la chiave di lettura è quella della denuncia del dominio e delle sue forme espressive, vien da dire che gli incivili sono molti di più di quelli che per comodità e interesse vengono additati come il nemico da sconfiggere e molti di quelli che, per un casuale e temporaneo gioco delle parti, occupano i banchi degli accusatori, la storia ci ha dimostrato che poi finiscono dall’altra parte con naturalezza e sistematicità. I vecchi appartenenti alla casta politica, quelli che hanno respirato a pieni polmoni l’aria della prima repubblica, sono stati spazzati via da una presunta rivoluzione che si alimentava proprio con le vitamine di una, anche allora, definita società civile, ma ci troviamo oggi a dover subire questo ceto di politicanti, capeggiati magari proprio dal fustigatore in persona di allora, che occupano quei posti e quegli spazi lasciati liberi ma prontamente egemonizzati dentro la medesima sostanziale logica.
Come un seme
sotto la neve
Ma la cosiddetta società civile di oggi è composta da una varietà di persone che si ritengono defraudati della loro ricchezza, minacciati molto spesso nei loro privilegi, così come si ergono a parte pulita e vera di un immondo paese governato da beceri figuri. Certo con questa «società civile», quella degli evasori sistematici delle tasse, quella delle riviste patinate, dei salotti e delle discoteche alla moda, delle sfilate continue dell’ostentazione di beni superflui, quella degli spettatori dei reality show, ecc ecc., non voglio proprio aver niente a che fare, o, perlomeno, mi pare molto difficile poter condividere un processo di cambiamento. Non è solo una questione dunque di politicanti di professione, non si tratta esclusivamente di denunciare i privilegi vergognosi e nauseabondi di questa casta di intoccabili, ma anche di guardarci un pochino dentro e scoprire magari che anche tra chi si ritiene, anche a ragione naturalmente, diverso, non è sempre oro ciò che luccica. Questo esercizio, questa indagine introspettiva, non è un puro esercizio mentale, ma è piuttosto indispensabile perché nessun cambiamento significativo e profondo può realizzarsi senza una radicale messa in discussione continua dei nostri comportamenti quotidiani e, soprattutto, senza che si abbandoni in modo radicale ogni illusione di cambiamento attraverso le forme del potere e della Politica.
Se allora possiamo a ragione dire che esiste una parte della società che vive e prospera sulle disgrazie altrui, che si riunisce e si esprime nelle forme e nei contenuti, nelle prassi e negli intenti, che abbiamo denunciato, ve ne è sicuramente un’altra, magari meno appariscente, talvolta senza voce, che, come un seme sotto la neve, coltiva pratiche di solidarietà e di reciprocità tra gli esseri umani e resiste con tenacia e forza alle pressioni e agli abusi continui che ogni forma di dominio esercita.
Con questa parte, senza bisogno di fondare nuovi partiti, senza la presunzione di ergersi a interpreti o peggio a leader di movimenti spontanei, ma con l’umiltà del lavoro e della lotta quotidiana, anche noi anarchici possiamo rinnovarci e indagare sulla nostra ragion d’essere ma soprattutto possiamo verificare cammin facendo la nostra coerenza e la nostra diversità.