Non si può non rimanere colpiti, esterrefatti, annichiliti, ammutoliti, quando da mesi ogni giorno la mastodontica macchina che macina “informazione” ti sbatte in faccia con veemenza lo spettacolo di abbrutimento e di degrado cui veniamo chiamati ad assistere e fruire. Napoli! L’intera regione Campania! Una sequela senza fine di esorbitanti cifre trasbordanti che cercano di offrire, a noi utenti dell’informazione mediatica, un’idea, seppur vaga, della catena di montagne di rifiuti che sta occupando senza tregua il nostro immaginario.
Una successione di cifre, che si sovrappongono giorno dopo giorno intasando la nostra capacità di ricezione, che equivalgono ormai all’arcobaleno di variopinti sacchetti di plastica, colmi di rifiuti fino all’inverosimile, che costellano, immondi, l’estetica contaminata del paesaggio della nostra civiltà. Ci stanno riempiendo di cifre come ci hanno sovraccaricato di rifiuti, nella finzione di offrirci strumenti di comprensione di questo megafenomeno, eruttato come fiume di lava lercia dal vulcano di un potere sciagurato, che sta avvolgendo di prepotenza i nostri sguardi sbigottiti e le nostre coscienze rintanate nelle profondità delle viscere. Eppure facciamo fatica a capire bene. Non riusciamo a comprendere fino in fondo come sia stato possibile un ammasso tanto smisuratamente smisurato di lerciume accumulato, la cui abnorme quantità sta determinando con la forza degli eventi la qualità di una situazione degradata oltre ogni limite, forse in modo irreversibile.
La possibilità di stupore sembra non trovare limiti. Qui è la realtà reale che si esprime e si manifesta. Molto meglio di una qualsiasi sublime composizione d’arte che avesse voluto produrre una performance capace di costringere al di là del lecito ad uno sguardo emotivamente interattivo su una realtà in decomposizione. Ciò a cui stiamo assistendo, angosciati da una diffusa sensazione di impotenza, è a tutti gli effetti una vera metafora della situazione del mondo nella fase attuale. Perché lì in Campania, attorno a Napoli in particolare, alla fin fine è il mondo intero che si esprime. Stiamo assistendo a una situazione, esplosa perché portata ad un estremo non più controllabile, di quella che, fino ad ora occultata, è in verità la situazione mondiale nel suo complesso: siamo immersi in un immondezzaio senza speranza e, se non troveremo la maniera di emanciparci, saremo destinati ad essere soffocati dalla nostra stessa spazzatura.
Diversi articoli fa, più o meno all’inizio dello scandalo mediatico sulla vicenda, Scalfari aveva scritto una metafora molto efficace: se fosse possibile sovrapporre tutti i rifiuti che costellano la regione campana si otterrebbe una torre la cui altezza (vado a memoria), con una base di quindici mila metri quadrati, corrisponderebbe a circa due monti Everest uno sopra l’altro. E si riferiva solo a quelli che appaiono. Ogni giorno i telegiornali ci annunciano che ci sono circa 100.000 tonnellate di rifiuti da smaltire in tutta la regione. La Repubblica del 15 gennaio riporta altri dati: tra i rifiuti ancora in strada e i sacchi caricati sui camion ancora da smaltire si parla di 360.000 tonnellate, mentre la quantità di ecoballe (ormai sappiamo più balle che eco) accumulate negli ultimi sei anni ha toccato quota 6 milioni di tonnellate e occorrerebbero circa 20 anni per bruciarle.
Quella roba
non è inodore...
Un Bruno Vespa in piena fibrillazione mediatica ne approfitta quasi ogni sera, coi soliti eccellenti ospiti di regime, questa volta cercando addirittura d’imitare Santoro con collegamenti in diretta con gli abitanti di Pianura, i quali sono in presidio permanente per protestare contro la riapertura della discarica che quando era in attività era la più grande d’Europa. Ci offre una teatralizzazione di cumuli di parole in cui i responsabili istituzionali cercano di dichiararsi non responsabili, in cui l’opposizione di oggi cerca di approfittarne per colpevolizzare propagandisticamente la maggioranza governativa, in cui il degrado istituzionale fa bella mostra di sé, discutendo nel più accreditato salotto televisivo del degrado ecologico di cui è direttamente complice volontaria.
Intanto, anche da quelle parole salottiere, scopriamo che praticamente tutto il territorio campano è da sempre una enorme discarica, in alcuni casi ufficiale in molti altri illegale, in entrambi i casi caricata abusivamente con massicce dosi di rifiuti tossici, che richiederebbero smaltimenti specifici adeguati, almeno secondo le leggi fatte da lor signori che dovrebbero anche garantirne l’esecuzione. Rifiuti industriali provenienti da tutta Italia, quasi sicuramente un bel po’ anche dal nordeuropa, per sostanze particolarmente nocive e non maneggiabili, che nessuno vuole perché pericolose, ma che hanno trovato ospitale cittadinanza nell’immondezzaio campano, probabilmente per mezzo della vorace longa manu camorrista.
È spontaneo chiedersi come sia stato possibile un continuo passaggio di camion, portanti ognuno due o tre tonnellate di “monnezza”, che certo non possono passare inosservati per le strade sterrate che portano alle discariche, senza che per anni nessuno se ne accorgesse, senza che nessuno si ponesse domande e cercasse risposte. Anche perché quella roba non è inodore e occupa spazio. Se ciò è potuto avvenire non può essere per altra ragione che connivenze a vari livelli. Cosa ci fanno i vari commissariati? Non parlo solo di quelli polizieschi, ma di quelli speciali creati ad hoc proprio per risolvere un problema che è sulla cresta dell’onda dell’emergenza dichiarata da quattordici anni. Cosa ci fanno i vari addetti, i funzionari del verde e dello smaltimento dei rifiuti che hanno il compito professionale di occuparsi della cosa? Cosa ci fa la schiera o di incapaci o resa inattiva e inefficiente di burocrazia dell’emergenza? Che fine hanno fatto i vari commissariamenti, i progetti, gli specialisti, tutti ampiamente pagati coi soldi dei contribuenti? Ora ci dicono che presentavano piani, in buona parte mai realizzati, mentre quei pochi cominciati non sono mai stati terminati perché non corrispondenti alle garanzie richieste. Tutto ciò è costato una barca di soldi pubblici di cui non avremo mai l’onore e il dispiacere di conoscere l’entità. Come pure tentare ora di riparare al disastro che ne è risultato costerà anche di più, con denaro sempre ovviamente prelevato dalle nostre tasche.
Intanto assistiamo, increduli e stupefatti, a scuole che non aprono perché le entrate sono interdette dall’immondizia e alla terra trasformata in fango nero per il fermentare dei rifiuti sotterrati nel sottosuolo di superficie. Sembra un immenso laboratorio chimico a cielo aperto, che muta la composizione naturale del terreno fino a trasformarlo in uno scuro liquame acido, che inquina le falde acquifere e i raccolti che si nutrono di quel ex terreno, che impregna le erbe di cui si nutrono gli animali che muoiono avvelenati. Un’enorme pozzanghera mefitica che appesta l’aria, distribuisce cancro agli abitanti, impesta gli animali da cui si ricavano i prodotti alimentari che una volta erano considerati di alta qualità. Un disastro umano, sanitario ed economico di proporzioni inimmaginabili. Un vero e proprio abbrutimento della civiltà.
Non solo Bassolino e Jervolino
Hanno ragione gli abitanti a non voler più riaprire le discariche. Sono già ampiamente penalizzati a livello sanitario, economico e di sopravvivenza. Poi, parliamoci chiaro, lì è da sempre tutta una discarica. Il problema infatti è diventato irrisolvibile proprio perché a un certo punto non c’è più spazio, perché non si riesce più a scaricare nulla. Tutto il territorio campano è praticamente pieno. Ci sarà forse ancora qualche zona “quasi vergine”, si fa per dire. Ma, data l’entità della faccenda, non può minimamente risolvere l’irrisolvibile. Riempiamo pure anche quelle, così avremo letteralmente trasformato un territorio in origine bellissimo in una sola esagerata discarica puzzolente e invivibile, per lasciar lucrare sul disastro una manica d’incompetenti e di gangster.
E cosa fa la classe politica ammanicata? Cosa fanno i dirigenti amministrativi giuridicamente responsabili? Si divertono al loro gioco preferito:lo scaricabarile. Così non si riesce ufficialmente a capire chi c’entra e chi no, chi abbia colpa e chi non ne abbia. Vien da pensare che nei fatti siamo nelle mani d’inconoscibili entità innominabili che agiscono nell’ombra lasciando allo scoperto i poveri politici di turno che poi, coglioni, si beccano tutte le colpe. Questa volta è capitato a Bassolino e Iervolino, centrosinistra Pd. Ma poteva benissimo succedere al centrodestra se fosse stato al governo. Tanto ’sta situazione procede immutata da diversi decenni ed ha attraversato differenti coalizioni e coabitazioni politiche.
Concordo con chi ritiene che sarebbe consono e dignitoso se gli “alti” responsabili dessero le dimissioni ammettendo le proprie responsabilità. Al contempo, gettando uno sguardo disincantato, mi vien da pensare che le dimissioni non risolverebbero nulla. Come si dice, morto un papa se ne fa un altro. Al loro posto succederebbero altri appartenenti alla casta, che si ritroverebbero ugualmente impelagati negli stessi meccanismi che hanno generato questa devastante debacle. Intanto lo stato, pur infognato al massimo grado, sta gestendo la situazione a proprio vantaggio. Ne approfitta per lanciare il potente messaggio mediatico che gli inceneritori (pardon... termovalorizzatori) di ultima generazione non sono inquinanti, addirittura produrrebbero energia “pulita”. Per alcuni “mafiotecnici” sono addirittura benefici e rappresentano la salvezza dall’inferno procurato da “ecologisti e popolazioni”. Dietro c’è il messaggio, per ora solo sussurrato, che tutto ‘sto casino c’è perché non abbiamo ascoltato i fautori degli inceneritori che lo stato, reso impotente dalle proteste verdi, avrebbe voluto mettere. Subito dietro l’angolo c’è la scelta del nucleare e tutti i pilastri della gestione globalizzata dell’energia che hanno portato all’incubo che stiamo vivendo nel mondo.
Centocinquanta piccoli comuni
Di fronte a un tale devastante sfascio, che suscita conati e ti regala una sensazione d’impotenza penetrante fin dentro le ossa, viene spontaneo desiderare la bellezza purificatrice di un’insurrezione che a furor di popolo detronizzi tutti i rappresentanti della casta al potere, riempiendo a suon di ruspe le loro pulite ville e le loro lussuose case di sacchetti d’immondizia fino a farveli nuotare. Ma poi gli insorti non dovrebbero più commetter l’errore di affidare la situazione ad altri, pur nuovi di zecca. Mentre dovrebbero trovar la forza, la convinzione e la volontà di gestirsela da soli, di organizzare in prima persona lo smaltimento e la raccolta differenziata dei rifiuti, senza lasciarla in gestione né a politici né a ditte private o privatizzate di turno. Un bene di così chiaro e generalizzato interesse pubblico dovrebb’esser gestito direttamente dagli stessi cittadini che ne devono beneficiare, senza creare strutture separate che possano impunemente lucrare su e a discapito dell’interesse generale. La finanziarizzazione privatistica non può che servirsi dell’interesse comune a proprio vantaggio perdendo facilmente di vista quello che dovrebb’essere il tanto decantato “bene comune”.
Eppure, in mezzo a tutta questa spropositata “monnezza” si apprende che circa centocinquanta piccoli comuni campani, messicisi da tempo con gran buona volontà, sono riusciti ad organizzare egregiamente in proprio un’ottima raccolta differenziata. Anche leggendo documenti autoprodotti e ascoltando interviste di cittadini in lotta, allo stesso tempo incazzati per la loro salute in serio pericolo e determinati a reagire fino all’ultimo, ci si rende conto che sono molto consapevoli e informati, che hanno trovato la solidarietà competente di tecnici che offrono valide alternative, che hanno formulato proposte serie e credibili. Ciò fa ben sperare. Bisognerebbe solo che riuscissero a fare il salto di qualità di non aspettarsi più per niente che le istituzioni (han già fatto troppi danni) risolvano il loro problema e prendessero in mano la situazione direttamente. Se ne avessero il coraggio fino in fondo, non potrebbero che far meglio del disastro finora prodotto.