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Nell’Italia del 2007, tra chiacchiere da bar, dibattiti televisivi e anatemi vaticani, a dettar legge nel campo dell’etica sono numerari dell’Opus dei che portano il cilicio due ore al giorno per autoflagellarsi, uomini politici dal sorriso falso che tengono doppia famiglia e si scandalizzano per le famiglie di fatto, vecchi mafiosi venerati come padri della patria repubblicana, commissioni di bioetica nominate con il manuale Cencelli, atei devoti soprattutto alle gerarchie vaticane.
È l’ennesima dimostrazione del provincialismo culturale italiano e della arretratezza dell’Italia sulle questioni civili rispetto ad altri paesi. Basterebbe infatti soltanto allargare lo sguardo all’Europa o anche al più vasto arcipelago del mondo cristiano per vedere come la posizione della Chiesa sia minoritaria. In Europa sono sindaci di due tra le maggiori metropoli, Parigi e Berlino, due gay dichiarati (riuscite a immaginare cosa succederebbe a Roma?); nella maggior parte dei paesi europei sono state approvate leggi che mettono fine alla millenaria discriminazione contro l’amore che non osa pronunciare il suo nome, in varie forme giuridiche, dai Pacs a veri e propri matrimoni con diritto di adozione, ossia la completa equiparazione giuridica di coppie omosessuali ed eterosessuali. In Italia la leggina di compromesso dei Dico, frutto della collaborazione tra due ministre ha dovuto affrontare la tempesta d’Oltretevere , per poi inabissarsi ed essere sostituita da un’altra sigla Cus (contratti di unione solidale) che rischia di far presto la stessa fine.
Si potrebbe liquidare tutto ciò con un’alzata di spalle, dicendo che la Chiesa e il papa fanno il loro mestiere e basterebbe mostrare che la loro rappresentatività nel paese reale è ampiamente sovradimensionata, come appare evidente se si pensa che in Italia , uno dei paesi cattolici per eccellenza, la Chiesa non abbia affatto inciso su uno degli elementi che le stanno più a cuore, la natalità che, com’è noto, è tra le più basse al mondo. Già questo, se si usasse una logica più stringente, dovrebbe dirci quanto la maggioranza vada in direzione contraria alle indicazioni della Chiesa nei fatti. Eppure non passa giorno in cui le gerarchie vaticane, e i loro rappresentanti politici, non cerchino in tutti i modi di confondere le acque, spacciando le proprie posizioni retrive con quelle della maggioranza dei cattolici o addirittura della maggioranza del paese.
Illegale e perseguitata
Insomma questo insieme ad altri elementi, la crisi delle vocazioni, della partecipazione ai riti, farebbero pensare piuttosto a una sorta di reazione contro una crisi irreparabile che divora l’istituzione-Chiesa nel suo potere reale sulla coscienza individuale e collettiva. Nei fatti però essa continua a tenere in ostaggio un intero paese sulla questione dei diritti civili e a svolgere un ruolo cruciale nella conferma di un pregiudizio e di una persecuzione millenaria che continua a suscitare odio e a fare vittime in tutto il mondo.
Non voglio certo dire che la Chiesa sia l’unica istituzione omofoba nel mondo, ci sono altri stati che perseguitano ben più attivamente l’omosessualità nelle più diverse forme. Per fare solo un breve horror tour nel mondo dell’omofobia, va ricordato che l’omosessualità viene perseguitata, esplicitamente attraverso il codice penale nei paesi islamici (dove ancor oggi si rischia la morte, come in Iran, in Afghanistan e negli Emirati Arabi uniti, per non citare che alcuni casi), nella quasi totalità dell’Africa nord e sud-sahariana, in Asia in paesi come l’India, Malaysia, Sri Lanka. In molti paesi pur non essendo citata nel codice penale è illegale e perseguitata in vario modo. Dunque l’omofobia non è un problema che riguardi solo i paesi a maggioranza cristiana o cattolica, ma l’intero globo, con sensibili differenze tra paesi autoritari e paesi democratici, tra paesi del nord e del sud del mondo. È vero che su scala globale le piccole questioni della provincia italiana non sono di grande momento, ma forse in questo microcosmo possono essere osservati più da vicino alcuni meccanismi che hanno un campo d’azione molto più ampio.
In Italia, la pietra dello scandalo, il centro di questo Kulturkampf , almeno in apparenza, non è tanto l’omosessualità in sé, quanto la questione delle coppie di fatto omosessuali, accusate di sgretolare la Famiglia tradizionale, basata su un Padre e una Madre, uniti in vincolo matrimoniale per procreare secondo il piano divino. Ma su un altro piano, a sostenere come pilastro questa posizione, c’è la questione centrale che è quella della Natura, del diritto naturale che ne discende, con tutti gli annessi e connessi in campo sociale, politico ed etico. E ancora più a fondo c’è la questione del potere che si gioca in questa ripartizione dei campi, in questa normalizzazione della sessualità, ma in realtà in modo più generale sulla vita, la morte e la riproduzione, nell’ambito di quel campo di questioni che ruota intorno a quella che comunemente viene chiamata «biopolitica».
Insomma si può tentare, a partire dal rifiuto e dalla repressione dell’omosessualità, di trovare delle connessioni più generali relative al controllo sulla vita individuale, sulla morte e sulla sessualità che riguardano, oltre che le istituzioni religiose, gli apparati di stato e quelli tecno-scientifici.
Il proposito di questo pamphlet è quello di inserirsi all’interno del conflitto sulla questione dell’omosessualità, ampliandolo fino a farne emergere degli elementi che sono celati nelle cronache e nelle schermaglie quotidiane, non solo perché si trovano a un diverso livello teorico, ma anche perché vanno a toccare la vita di tutti, invece di limitarsi a una categoria o a un problema particolare. Si tratta per dirlo in breve del controllo sulla vita e della morte delle persone da parte di autorità che si legittimano attraverso il diritto divino e il consenso popolare, lo Stato e la Chiesa. E in questo controllo biopolitico, la questione della sessualità assume un ruolo centrale.
Percorreremo nelle pagine che seguono un itinerario in tre tappe: la prima partirà dalle tristi vicende italiane, intorno al tema dell’omosessualità e delle coppie di fatto, sia per mostrare l’inconsistenza teorica delle posizioni fondamentaliste vaticane e non, sia per mostrare come questa questione centrale, nevralgica per i diritti civili, si riconnetta a una questione teorica più generale, ossia come l’omofobia, nelle sue varie forme, più o meno light, sia strettamente connessa con altre forme di dominio tra i sessi, tra le specie, sulla natura.
Nella seconda, a partire dalla questione della legge di natura, nelle sue varie sfaccettature, si cercherà di mostrare che la «natura» è usata come una coperta tirata a piacimento per coprire le proprie visioni del mondo,attraverso un insieme di strategie di naturalizzazione; ma soprattutto che al fondo dell’omofobia e della sua pretesa in naturalità, c’è una concezione di fondo gerarchica antropocentrica e androcentrica basata sul dominio della donna, della natura, dell’altro dall’uomo.
Infine nella terza si cercherà infine di riconnettere il tema della sessualità e del controllo della vita alle questioni della biopolitica e del potere pastorale. (…).
Il potere pastorale
È merito di Foucault aver utilizzato il concetto di «potere pastorale», come arte di governare gli uomini, per indicare un insieme di pratiche e tecniche attraverso cui un uomo, il pastore, o un’istituzione governa e guida un insieme di altri uomini, tecniche che soprattutto sono state perfezionate all’interno del cristianesimo e si sono successivamente trasformate e adattate all’uso politico secolare.
Il potere pastorale trae la propria forza da un’analogia naturalistica quella del buon pastore che si prende cura delle proprie pecore, omnes et singulatim, di tutte e di ciascuna, a costo della propria vita. Il pastore deve proteggere le pecorelle, perché sono fragili, segnate dal peccato, ma anche capaci di hybris , inconsapevoli della loro miseria. Cristo è il modello del buon pastore, illustrato in mille modi nell’iconografia cristiana, e la Chiesa ha uno dei suoi pilastri proprio nella sua azione pastorale. Gli apostoli sono dei pastori, così come lo sono i vescovi, a cui tuttora è demandata la cura pastorale dei fedeli. Foucault nel suo corso al Collège de France sottolinea l’unicità di questo fenomeno: il pastorato comincia con un processo assolutamente unico nella storia e di cui non c’è traccia in nessun altra civiltà: il processo grazie al quale una comunità religiosa si costituisce come Chiesa, cioè come un’istituzione che aspira al governo degli uomini nella loro vita quotidiana, col pretesto di condurli alla vita eterna in un altro mondo, non limitandosi a un gruppo circoscritto a una città a uno stato, ma rivolgendosi all’umanità intera
Anche se Foucault cerca di determinare l’epoca della diffusione del potere pastorale, all’incirca da II-III secolo e.v. fino al XVIII secolo, ciò non significa affatto che il potere pastorale sia finito: «quando io colloco nel XVIII la fine dell’età pastorale probabilmente mi sto ancora sbagliando, perché in realtà il potere pastorale nella sua tipologia, nella sua organizzazione, nel suo modo di funzionare è qualcosa da cui non ci siamo ancora liberati».
Tratti fondamentali del potere pastorale, secondo Foucault, sarebbero i seguenti:
1) Il potere pastorale trova la sua legittimazione nella volontà di dio: deus vult;
2) L’obiettivo del potere pastorale è la salvezza del gregge: un potere esercitato non tanto esibendo la forza, ma attraverso la custodia e la cura del popolo in tutte le sue attività vitali;
3) Non si esercita tanto come il potere sovrano sull’unità del territorio ma su un gregge in movimento che si sposta da un posto all’altro; è un potere sovra-territoriale;
4) Il capo pastore è garanzia dell’unità del popolo-gregge; tiene insieme, rappresenta la totalità;
5) Il potere pastorale è un potere individualizzante: l’occhio del pastore deve rivolgersi su tutti e su ciascuno, omnes et singulatim.
Foucault fa di sfuggita, a mo’ di esempio, un’osservazione interessante nelle sue forme moderne il pastorato si è affermato principalmente con il sapere, le istituzioni e le pratiche mediche. Si può dire che la medicina è stata una delle potenze che ha ereditato il pasturato e in questo senso ha suscitato, dal XVIII secolo fino ai nostri giorni, una serie di rivolte di condotta , provocando quello che potremmo chiamare un forte dissenso medico, che va dal rifiuto di alcune terapie e di alcune prevenzioni , come le vaccinazioni, al rifiuto di un certo tipo di razionalità medica. E si dispone in tutto quell’insieme di pratiche e di tecniche di medicalizzazione della vita, elevate all’ennesima potenza dalle biotecnologie, che rappresentano uno degli aspetti più decisivi della biopolitica odierna.
Ritornando alla questione del potere pastorale, la tesi di fondo è c’è stata una secolarizzazione del pastorato, ossia che le tecniche di governo degli uomini da parte dello Stato moderno, nonostante la separazione dal potere ecclesiastico, sono improntate al modello del potere pastorale esercitato dalla Chiesa.
Vale qui quel che si può dire più in generale, ossia che nella vita delle società secolarizzate, in linea di principio emancipate da ogni rapporto con una verità rivelata e da ogni finzione teologico-politica, continuano a sussistere e ad operare dei tratti marcatamente religiosi. C’è tutta una teologia del potere in grande misura ancora da scrivere. Inoltre c’è una somiglianza tra potere pastorale e potere patriarcale, a livello sociale politico e familiare.
Dall’efficiente apparato della Chiesa abbiamo ereditato tecniche di controllo delle coscienze che sono state sviluppate nei secoli attraverso la confessione e la penitenza. Soprattutto dopo la riorganizzazione della Chiesa post-tridentina, si è formata una rete capillare di agenti che attraverso la tecnica della confessione auricolare , coperta dal segreto, tengono sotto controllo una fascia sempre maggiore della popolazione: i confessori controllano le idee dei fedeli, le loro pratiche e l’ortodossia, accolgono le delazioni su eretici e forme di eresia. Controllo esterno e controllo interno si incrociano perfettamente nella confessione.
Due sono gli aspetti centrali e ancora attuali di questo insieme di tecniche: in primo luogo la sua capacità di de-territorializzarsi e di moltiplicare i punti di visione e di visibilità sulla popolazione e le sue dinamiche; in secondo luogo, poiché si tratta di tecniche di soggettivazione e individualizzazione, diventa sempre più decisivo il conflitto delle identità come questione centrale delle biopolitiche attuali.