L’attacco è forte, fortissimo. E anche volgare, grezzo, impudente. Parliamo della libertà delle donne, di quella libertà che, se guardi a fondo, poi è anche la libertà di tutti. Ridisegnare le relazioni sociali nel senso voluto dalla Chiesa Cattolica significa imporre un ordine del mondo che nell’oppressione femminile ha un cardine robusto, perchè la libertà di scelta delle donne ha rappresentato e rappresenta la rottura di un ordine simbolico e reale che non può prescindere dal controllo dei corpi femminili.
Una casta di uomini celibi – sebbene certo non casti – nel segno del padre ha torturato ed ucciso milioni di donne (e di uomini). Chi dice che è storia di ieri chiude gli occhi di fronte all’arroganza di un’istituzione che si è piegata alla modernità per non soccombere ma, oggi, che il vento soffia in senso contrario, rialza la testa con prepotenza.
In paesi ultracattolici come la Polonia, l’Irlanda, il Brasile, dove abortire legalmente è vietato, gli aborti clandestini mietono vittime su vittime.
Altrove, dove le religioni hanno altri nomi, istituzioni, tradizioni la situazione non muta. I corpi orrendamente mutilati delle africane nate sotto il segno dell’islam, le prigioni di stoffa che avvolgono le afgane, le iraniane, le saudite ne sono i segni tangibili. L’oppressione si da anche nell’assenza dei corpi, l’assenza di decine di milioni di indiane mai nate perché l’aborto selettivo e l’infanticidio femminile sono vietati ma ampiamente praticati ed impuniti, così come i roghi delle mogli che osano alzare la testa.
Impossibile tenere la contabilità degli orrori ma qui da noi – nel primo mondo civile – morire ammazzate, di solito da parenti o partner, è un rischio tra i più comuni e una delle principali cause di morte per le donne tra i 14 e i 60 anni. Le chiamano stragi familiari, drammi della follia: tutte enunciazioni che nascondono la tragica normalità di questi crimini dietro alla presunzione dell’eccezionalità. Purtroppo la violenza, lo stupro, la sopraffazione nei confronti delle donne sono quotidiani.
Alla violenza dei singoli si unisce quella dello stato e della chiesa che sempre più allargano la sfera del controllo nei confronti delle donne.
Dalla legge sulla procreazione assistita ai continui cavilli per restringere o impedire l’aborto legale la morsa si stringe sempre più.
Ma l’offensiva non è rimasta senza risposta: le donne stanno tornando in piazza a dire con forza che la libertà femminile non si tocca. Ma non solo.
Sono ormai molte a pensare che sia venuto il momento di passare dalla resistenza all’attacco, respingendo le interessate tutele di partiti e sindacati che, dopo essersi – tutti – inginocchiati al trono di Ratzinger, ora le corteggiano perché vogliono il loro voto.
Purtroppo ancora molte parlano di diritti, di necessità di difendere qualche legge. In particolare la 194, quella che regolamenta e limita la libertà di scegliere o meno la maternità.
Limiti e trappole
Questa legge – tutte le leggi – non garantisce ma ingabbia. Quando venne promulgata sancì che la libertà delle donne non poteva più essere repressa e allora andava regolamentata. Prima della 194, abortire era vietato: chi lo faceva, rischiava la vita perché abortire era un lusso e i ferri da calza costano poco. Chi lo faceva rischiava la galera, perché abortire era un reato. Le femministe sfidarono apertamente la proibizione al punto che i legislatori non poterono che prenderne atto e cambiare le regole. Ma le nuove regole, seppur migliori delle precedenti, sono piene di limiti e trappole. Chi oggi attacca la libertà femminile, lo fa proprio partendo dalle possibilità che questa legge gli offre.
Per questo è tempo di affermare una libertà senza legge, senza tutele, senza limiti che non siano quelli posti dalla scelta di vita di ciascuna.