Alle radici
dell’ateismo
Nel 1957 Karlheinz Deschner (l’autore della monumentale “Storia criminale del Cristianesimo”) pubblicava un volume d’inchiesta dal titolo “Lei cosa pensa del Cristianesimo?”, in cui raccoglie le risposte di 18 scrittori di lingua tedesca – di orientamenti diversi – a questa domanda assai diretta. Posto nel clima della Germania di Adenauer (in cui soffiavano forti venti di restaurazione), l’interrogativo mette sotto la lente i problemi legati alle sfere della politica e della fede. Il contributo di Schmidt, di cui qui proponiamo le pagine iniziali nella traduzione di Dario Borso e Domenico Pinto, risulterà un pamphlet esilarante e corrosivo a favore di una società laica, anzi atea, demilitarizzata, sottratta alla tirannia della superstizione dell’assolutismo religioso.
Arno Schmidt (1914-1979) è l’esecutore testamentario dell’Illuminismo e dell’Espressionismo tedeschi, il grande «taglialemma & architetto della prosa», autore delle piú vaste avventure formali nella Germania del dopoguerra. Poche le sue difficili traduzioni italiane tra cui Alessandro o Della verità (trad. di E. Picco, Einaudi 1965), e Dalla vita di un Fauno (trad. di D. Pinto, Lavieri 2005).
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Dario Borso
1. Ancora una volta è tempo di far sapere al Cristianesimo cosa pensa di lui uno neutrale ; oggi, di fronte a un ciclorama di sinodi e cercatori di Dio, figuri con la fronte nuvola da scolastici aggrondati, infallibili, censorii, senescenti e mo daccapo ‹Signore degli eserciti›: l’ho dovuto portare, ’sto cinturone loro: Gott mit Uns recitò per sei anni sul mio buzzo innocente: ché voglio sottolinearlo, io mica ce l’avevo in testa!
2. Dunque la mia risposta alla domanda «Lei cosa pensa del Cristianesimo?» sarà: «Non un granché!» –
3. I motivi (per me) bastevoli sono di tre specie: primo la dubbiosità dei documenti d’origine (della Bibbia quindi; chi qui già sobbalza, non legga oltre). / Poi la personalità (per me) insoddisfacente di Gesù di Nazareth. / Infine l’esame degli effetti del Cristianesimo nella sua sfera d’influenza (e fuori: the white man’s burden) durante i due scorsi millenni. / Avanti!
4. Fintantoché si proclama come fonte purissima di ‹verità divina›, come norma sacra della ‹perfettissima morale›, come pilastro di religioni di Stato un libro con, a star bassi, 50.000 varianti testuali (dunque in media 30 luoghi controversi a pagina!); il cui contenuto è pieno di contraddizioni e spesso oscuro; di rado attinente alla vita extrapalestinese; dove il buono che se ne cava (in parte già prima e meglio noto) poggia sulle ragioni insostenibili di un lugubre e sospetto entusiasmo teosofico: fino ad allora ci meritiamo i regimi e le situazioni che abbiamo!
I teologi vogliono a tutti i costi fare della Bibbia un libro in cui non ci sia alcun senno umano. Si rizzano i capelli, se si pensa alla profusione di tempo e di fatica occorsa per spiegarla; e alla fine quale sarà, dopo millenni, per ogni critico imparziale, il fin da principio ovvio frutto di tutte le fatiche?: nient’altro che questo: la Bibbia è un libro, scritto dagli uomini, come tutti i libri. Da uomini che erano un po’ diversi da noi perché vivevano sotto condizioni un po’ diverse, che in alcune cose erano un po’ più spontanei di noi, ma certo anche molto più ignoranti. Insomma si tratta di un libro normale, in cui c’è qualcosa di vero e qualcosa di falso, qualcosa di buono e qualcosa di cattivo. Quanto più l’esegesi fa della Bibbia un libro del tutto comune, tanto più essa ci acquista; e senza l’ostacolo della nostra educazione, della nostra invincibile credulità e dello ‹stato attuale dei fatti›, tutto questo sarebbe avvenuto da tempo.
Ecco alcuni tra centinaia di esempi che danno in mano al sano intelletto umano e alla gioventù in fiore, non so se per formarla o per confonderla: Lot compie incesto ubriaco fradicio con le proprie figlie: questo era l’uomo più timorato della sua città! / Giuseppe, il cocco ruffianone di papà, diviene ministro egizio grazie appunto al discutibile talento che aveva coltivato in casa. Allestisce depositi negli anni grassi: lodevolissimo! Ma poi che ne fa? Salva il Paese allo stremo, ‹in pace e libertà›, e diviene il suo benefattore? – Per dirla in una parola: lo riduce in schiavitù! Prima bisogna pagargli il grano a prezzi da strozzino; poi gli abitanti portano i loro rimanenti pochi averi; poi sono costretti a svendere i loro terreni; alla fine si danno essi stessi al servaggio: ‹La cosa piacque tanto al faraone e al suo consiglio›: ma ’sto qui è un ministro delle finanze! A me non risulta negli annali dell’umanità un farabutto più grosso!!: E lui viene eretto a modello della gioventù e del popolo credente?? Ma pensano forse che siamo senz’occhi e orecchie?! / Saul, lo spilungone magnanimo e regale, viene respinto perché a detta di Samuele profeta non ‹strozza› abbastanza gli Amalechiti; cioè non strozza giusto secondo precetto. Qui invero è più ligio ai sacerdoti il piccino di Iesse; lui che seduce le donne; che accorto elimina i 7 principi della Real Casa precedente; che scotenna bel bello i nemici morti e quelli ancora vivi «mise sotto delle seghe, degli erpici di ferro e delle scuri di ferro, e li abbrustolì in fornaci da mattoni» – ma che perciò viene poi anche designato «uomo secondo il cuore di Dio»: mi scampi il Cielo dal divenire mai un uomo secondo il cuore di Dio!!
Arno Schmidt
Leggendo
Colin Ward
Sullo scorso numero abbiamo pubblicato uno stralcio dall’ultimo libro (L’anarchia. Un approccio essenziale, Eleuthera, Milano 2208) tradotto in italiano di Colin Ward, architetto, urbanista e militante anarchico inglese. A Francesco Codello, esperto di pedagogia libertaria, nostro collaboratore, amico personale di Colin e curatore dell’edizione italiana del libro, abbiamo chiesto un sintetico inquadramento dell’opera.
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Si tratta di un piccolo ma straordinariamente chiaro libro che è stato pubblicato nel 2004 dalla Oxford University Press nella ricca e agevole collana “Very Short Introduction”. Che si tratti di una introduzione alla storia e alle idee degli anarchici è fuori dubbio, ma si commetterebbe un errore nel non assegnare un’importanza più significativa a questo testo. Infatti i vari brevi capitoli che lo compongono (uno dei quali viene di seguito riprodotto), costituiscono un ampliamento e, per certi versi, un completamento, di quell’altro testo più volte rieditato sempre da Eleuthera (Anarchia come organizzazione), che rappresenta, in ambito anarchico, una piccola rivoluzione di prospettiva e che ha segnato indubbiamente la storia delle idee libertarie nella seconda metà del secolo scorso.
In questo pamphlet Ward che, molto modestamente, si è sempre dichiarato un semplice propagandista dell’anarchismo, affronta alcuni temi di discussione contemporanea in modo originale e documentato, innestando nel solco di una tradizione anarchica classica, osservazioni e ragionamenti attuali. Leggendo Colin Ward (in tutti i suoi numerosi contributi in tanti anni prodotti) non si ha mai la sensazione di un ragionamento ideologico a priori ma, piuttosto, la piacevole sorpresa di un anarchismo pragmatico e pieno di evidente obbiettività, da poter spendere qui e ora in ogni contesto della vita quotidiana. Allo stesso tempo le pagine di questo libro, ancora una volta, infondono in chi legge una rassicurante impressione di praticabilità della soluzione libertaria e, al contempo, la stridente contraddittorietà e assurdità insita nelle realtà sociali e culturali permeate dal dominio in ogni sua espressione. Sia che si parli di nazionalismi e fondamentalismi, di devianza sociale o di problematiche del lavoro, di educazione e di sessualità, di federalismo o di Europa, di ambiente e di tendenze future dell’intera società, si conclude la lettura sempre con una sensazione positiva, che infonde fiducia, senza rinunciare alla denuncia decisa e radicale dell’esistente. Però con quella prospettiva, tipica dell’anarchismo di Ward, che sottolinea nello sviluppo degli accadimenti della storia, l’aspetto di conquista e di progresso che le lotte e le rivoluzioni spontanee e quotidiane di tanti uomini e tante donne, hanno messo in atto.
In fin dei conti questo anarchismo “presentabile” a chi vi si avvicina magari per la prima volta, è ciò di cui abbiamo bisogno adesso più che mai, in quest’epoca nella quale è quanto mai urgente uscire da schematismi e rigidità decisamente superati senza rinunciare a quel patrimonio variegato e plurale che la nostra tradizione ci ha testimoniato. Un libro da leggere in profondità, da discutere e da riprendere come traccia di lavoro e di riflessione, un testo che ancora una volta traccia una metodologia veramente pragmatica aprendoci prospettive di ricerca autentiche e non schematiche!
Francesco Codello
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