In corso di campagna elettorale, il candidato del PdL Carlo Giovanardi, primo
firmatario di una discutibile e discussa legge sulla repressione del consumo
di stupefacenti, dichiarava che, una volta vinte le elezioni, il governo di
destra si sarebbe impegnato con rinnovata foga nella guerra alla droga. Il tutto
con raffinata equiparazione tra la questione della droga e la questione della
spazzatura nelle strade di Napoli: l’inquinamento, affermò Giovanardi (Roma, 8 aprile 2008), non è soltanto ambientale; anche la droga, come la spazzatura, deve essere rimossa. Adesso che Giovanardi è divenuto sottoministro, ruolo che ben gli si confà, è intenzionato a mantenere le promesse. E, infatti, spara una cazzata ancor più grossa: “Se non è lecito inquinare l’ambiente, meno che mai può essere lecito inquinare le persone dentro”. Non si parla di diossina, di avvelenamento da piombo, di smog, di polveri sottili, di amianto, ma di droga, of course.
Chiariamo una cosa: “la droga” non esiste. Esistono singole, specifiche, sostanze stupefacenti, singole droghe. La maggior parte di queste, diciamo tutte, sono nocive per l’organismo, specialmente se assunte in maniera massiccia. Lo stesso discorso, quello della nocività, vale per altre sostanze, che solo di rado vengono incluse dal linguaggio comune nella categoria onnicomprensiva di “droga”. Il tabacco, prima di tutto, del quale sono entusiasta consumatore, è nocivo per la salute. E di certo è nocivo l’alcol, che in Italia scorre a fiumi sotto forma di vino, birra, long drinks e superalcolici. Tabacco, alcol e molte altre sostanze stupefacenti inducono assuefazione e dipendenza. Chi ha smesso di fumare o ci ha provato sa di che cosa parlo. Smettere è difficile, non impossibile ma non piacevole. Di solito si dice che sia facile farlo solo “se ci si prende un bello spavento” (un’analisi medica minacciosa, una radiografia terrorizzante e diverse notti bianche ad aspettare l’esito degli esami di accertamento).
Non solo la droga, le droghe, sono nocive per l’organismo. O meglio, non solo quelle che con facilità (gli stupefacenti) o con esercizio retorico (l’alcol e il tabacco) sono comunemente considerate tali danneggiano il fisico e la salute delle persone. Il colesterolo ammazza quanto il tabacco, perciò chi ha a cuore la salute dovrebbe controllarlo con frequenza ed evitare l’abuso di cibi grassi o ipercalorici. Essere sovrappeso espone a un elevato rischio di infarti e di malattie cardiocircolatorie, perciò chi ha a cuore la salute dovrebbe evitare di mangiare troppo e abbinare una dieta equilibrata a una certa attività fisica. Anche la vita sedentaria, infatti, indebolisce il fisico e mina la salute. Ma con lo sport, lo sappiamo, non bisogna esagerare. Infatti, anche una eccessiva attività fisica fa male o, perlomeno, è rischiosa, specie superata la quarantina. Del resto, come sanno tutti, l’inventore dello jogging è morto d’infarto mentre faceva jogging. Il caffè fa male, la cioccolata pure, l’abuso di farmaci porta alla tomba. Tutta questa roba, soprattutto se presa senza moderazione, inquina il corpo, “inquina dentro”.
Non credo affatto che “la droga” faccia bene, così come non credo che faccia bene il tabacco, la poltroneria o la pasta alla carbonara. Tutta questa è roba che “ti inquina dentro”, per usare l’ardita metafora giovanardica. Ma sono anche convinto che il paragone di Giovanardi tra l’inquinamento ambientale e l’inquinamento interiore sia una cazzata.
Visione precisa del potere
Si dirà: e va be’, mica è la prima. Giovanardi è quello che ha dato del nazista a Giovanni Floris in diretta tivù (sì, a quel Giovanni Floris di Ballarò) e a tutto il governo olandese (per la legge sull’eutanasia); è quello che ha detto che, ancora in Olanda, “c’è una legge che permette di ammazzare i bambini fino ai dodici anni”, e mi fermo qui perché basta e avanza. Che cosa vuoi che sia, una in più o una in meno. Si potrebbe dire così, e sarebbe sbagliato. Questa volta, infatti, il problema non è che Giovanardi dica o meno cose intelligenti (non le dice), ma che quella frase è indice di qualcosa di assai più grave dell’avere un ministro che le spara a raffica. Il paragone tra la punibilità di chi inquina l’ambiente e la punibilità di chi “inquina il proprio corpo”, infatti, è indice di una visione ben precisa del potere. Una visione liberticida, moralistica, paternalistica e, in ultima analisi, intrinsecamente fascista, nel vero senso del termine.
Se si vuol punire chi inquina l’ambiente – dice Giovanardi – a maggior ragione si deve allora punire chi si droga, perché inquina il proprio corpo. Quindi, se reato è l’inquinamento ambientale, reato più grave dev’essere l’inquinamento della propria persona. Come dire: se è da sanzionare il comportamento di chi sciupa e insozza le cose che sono di tutti, ancor di più è da sanzionare il comportamento di chi insozza e sciupa le cose proprie, perché un conto è arrecar danno (anche) ad altri, ben altro è arrecare danno solo a sé. In fondo, se danneggio i beni comuni, il danno che mi ricade addosso è comune (e mezzo gaudio), ma se danneggio le cose che sono solo mie, allora il danno lo sopporto io per intero. Perciò, merito d’esser punito di più (a maggior ragione) di chi scarica in mare i sacchetti della rumenta. Il che è un po’ come dire: se ti faccio la multa perché getti le cartacce per strada, a maggior ragione ti multerò se le getterai a terra nel tuo salotto. Se grave è sporcare la proprietà di tutti, allora ancor più grave è attaccare le tue caccole sotto al tuo tavolo del tuo tinello.
Gli esempi del ragionamento sotteso dalla dichiarazione di Giovanardi si possono moltiplicare all’infinito, ma per rimanere più dappresso in tema basti pensare che, se esso dovesse valere come massima di condotta, allora dovremmo considerare meno grave avvelenare il cibo degli altri rispetto a tentare di suicidarsi assumendo veleno in proprio, meno grave tagliare una mano a un altro rispetto ad automutilarsi e così via. Tutte conclusioni che, sebbene siano in sintonia perfetta con il principio “è più grave inquinare il proprio corpo che inquinare l’ambiente”, sono, oltre che controintuitive, madornali aberrazioni sia sotto il profilo del buon senso che sotto il profilo giuridico.
Il tuo corpo
non è tuo
Nei campi di concentramento nazisti il tentativo di suicidio veniva punito con una morte più atroce, inflitta dagli aguzzini al disperato che non era riuscito a procurasi la morte per conto proprio. La morte, il potere di decidere se e quando dare la morte, deve restare monopolio degli apparati del dominio, e per questo tentare di decidere in autonomia è delitto punito con la massima severità. Albert Camus, con grande lucidità e senso poetico, riduceva la questione stessa della libertà alla libertà di decidere sulla propria morte; e, anzi, in questo riduceva la propria definizione della libertà stessa.
Non di morte, ovvio, qui si tratta. Ma la questione non cambia per il fatto che in discussione viene posto non il potere (la libertà) di uccidersi ma il potere (la libertà) di immettere nel proprio corpo questa o quella sostanza. La radice di entrambi gli argomenti è la medesima: non tu, ma il dominio – la gerarchia, l’esercito, la chiesa, lo stato – è padrone del tuo corpo, del corpo che allora diviene tuo solo per convenzione che vale come dissimulazione di una realtà normativa ben diversa dal senso linguistico delle parole: di questo corpo che appartiene al dominio tu puoi usare nei limiti e nelle forme che il dominio ti permette; questa è la massima estensione della proprietà di sé che il dominio è disposto a considerare, questo è ciò che devi intendere quando dici tuo o mio.
Questo modo di intendere il potere, una visione intimamente totalitaria, è espresso in varie forme, che più o meno tentano di nasconderne la massima. Ogni forma di paternalismo, dalla più estrema alla più dolce, è infatti espressione della stessa idea di fondo in base alla quale le persone non sarebbero proprietarie del proprio corpo o pienamente consapevoli delle proprie azioni. Norme proibizioniste di ogni tipo sono state giustificate sovente con la motivazione di voler proibire per via normativa azioni che sarebbero proibite da un retto uso del buon senso. Dal momento che – questa è l’argomentazione – il buon senso difetta a molti, allora diviene dovere dello stato usarne per chi non ne ha, e proibire con le leggi penali quei comportamenti che causano danno alle persone che li compiono. Ti punisco, ma è per il tuo bene; e, se solo avessi quel retto giudizio che ti difetta, saresti tu il primo a riconoscerlo e a ringraziarmi.
Non serve riaprire l’annoso dibattito su Lombroso per trovare plausibile che Giovanardi non avesse in mente niente del genere quando, con riferimento all’uso di stupefacenti, dichiarava: “Se non è lecito inquinare l’ambiente, meno che mai può essere lecito inquinare le persone dentro”. Si fa meglio e prima a ripensare a qualche altra sua dichiarazione del passato più o meno recente per concludere che, con grande probabilità, si tratta soltanto di un’altra delle sue dichiarazioni a mente sgombra, di quelle dove serve soltanto avere la bocca. Giovanardi, è inevitabile, passerà, e di lui nel giro di breve tempo non resterà traccia né memoria, perché certo non è persona di statura tale da far gran danno ad alcunché. Al contrario della perniciosa idea che sia dovere e diritto dello stato il decidere come i nostri corpi debbano essere tenuti in pristino. Un’idea che inquina, quella sì, la moralità, la libertà, il senso comune.