Introduzione
a Jean Vigo
I compagni delle Edizioni La Fiaccola ripubblicano in versione ampliata un libro su Jean Vigo di Pino Bertelli, che negli anni ’80 fu nostro collaboratore in tema di cinema: Jean Vigo. Cinema della rivolta e dell’amour fou, con uno scritto di Enrico Ghezzi, La Fiaccola, Ragusa 2008. Ne pubblichiamo qui ampi stralci dalla prefazione di Alfonso Amendola.
Torna Jean Vigo in questo fondante saggio di Pino Bertelli, che recupera, amplifica, aggiorna ed innerva di nuove sostanze tematiche un suo testo datato 1995. Torna Jean Vigo con tutto il suo senso d’ebbrezza, di “amour fou”, di concretezza immaginativa e di visionarietà che ha saputo nella perfezione delle sue quattro opere decisamente realizzare. Torna il grande “insolente” della figurazione cinematografica e lo troviamo dentro un’angolazione saggistica ed analitica decisamente differente rispetto alle imbalsamate, “supponenti” ed “edulcorate” riflessioni di una certa tradizione critica che altro non fanno che confermare le posizioni della “storiografia dominante” come con chiara indicazione sottolinea Bertelli a più riprese. Una posizione critica che incanta e colpisce nel profondo perché in Pino Bertelli ritroviamo una dimensione di riflessione che è sempre atto di sincerità, estremo sentire, lacerazione, fuoco e finanche rabbia, consapevoli che, come lui stesso annota “la rabbia, talvolta, ha la trasparenza della verità o dell’amore”.
Ritorna Jean Vigo nelle parole di Pino Bertelli e capiamo che se il Novecento è stato grande lo è stato anche perché ha avuto potenti voci come quella del parigino anarchico nato nel 1905. Jean Vigo è autore di leggerezza e complessità, in cui la tensione anarchica è il viatico per mostrare le profondità del desiderio, della sensibilità pellicolare, della volontà di potenza, della passione, dell’estremo come modo d’essere al mondo. Autore per visionari, per incendiari e per chi sa che il “dato reale” è un’opinione parziale in quanto a determinare il mondo e le cose è unicamente il sogno (tutto il resto è routine professionale). Ma qual è il sogno che motiva Vigo? Di certo non è soltanto l’onirismo che fu caro ai Surrealisti (che pure ben conosceva e praticava), né è tantomento il sogno di matrice analitico-freudiana (il sogno come “appagamento del desiderio”) e neppure il sogno come “fuga” o cose del genere appartengono al regista di Zero in condotta.
Il sogno per Vigo è pratica d’esistenza, è “sovrimpressione come atto d’amore” (enrico ghezzi), è inquietudine che sfugge agli obblighi, è “burla e baccano”, è atto “per ri/conoscersi e ri/trovare il passato sepolto all’interno di sé e non affogare nelle illusioni/delusioni del divenire” come ci ricorda Bertelli. Jean Vigo è un facitore/disfacitore d’immagini tra i più geniali e puri. E proprio nell’orizzonte della purezza e della genialità Pino Bertelli lo inserisce. (…) Fra soggettivismo e utopia rivoluzionaria, Vigo non vuole scegliere ed è forse questo uno degli ingredienti più originali della sua poetica. I suoi azzardi filmici gli servono per entrare nel vivo della realtà e colpire le coscienze nel loro punto debole: il conformismo. (…)
Nel cineasta francese è evidente l’insofferenza verso le costruzioni borghesi fatte di verismo e psicologismo, anche per questo il suo cinema procede per accumulo di materiali linguistici differenti, per furia anarchica, per grida e celestiali approdi come in un addensarsi di acque che turbinano e poi, leggermente, si placano.
Alfonso Amendola
La foto di
Ahmad Batebi
È ancora l’immagine più vivida della seconda rivoluzione iraniana. Un ragazzo che alza una maglietta insanguinata. Al di là di ogni parola. Le parole solo in parte raccontano la tragedia dell’Iran. Le denunce di Amnesty International e di altri organismi internazionali non hanno potuto far molto per i dissidenti. Le esecuzioni, dall’ anno della presa del potere da parte dei religiosi, non si contano e la tortura è pratica corrente. Ahmad Batebi ha subito la tortura, che ne ha minato la salute e due finte esecuzioni. La sua fotografia fece il giro del mondo. Gli costò l’arresto, il carcere e la condanna a morte. Finalmente libero è attualmente negli Stati Uniti.
Da “Internazionale” del 18/24 luglio 2008: “ Appena arrivato negli Stati Uniti Batebi si è scattato una foto davanti al Campidoglio. L’ha pubblicata nel suo blog e ha scritto: “ le vostre mani non mi toccheranno mai più”.
Kader Abdolah, scrittore iraniano in esilio, in “La scrittura cuneiforme” (1) ha raccontato l’Iran prima, durante e dopo la rivoluzione del 1979 e il suo romanzo ripercorrendo la storia della sua famiglia finisce con la morte dell’anziano padre, uomo profondamente religioso. Quest’uomo per anni visiterà la figlia, oppositrice del regime degli ayatollah, in carcere. Urtato intimamente dagli accadimenti e dai soprusi che tocca con mano, morirà mentre segue in montagna le tracce di “Campanellina”, scappata con alcuni compagni dalla prigione. Tentando di aiutarla si perderà come lei.
“Arrivarono nel cuore della notte. Entrarono in casa con le lanterne spente. Le donne li accolsero in silenzio. Nessuno osava piangere né dire qualcosa. La notte aveva nascosto Akbar e Campanellina.
La luce irruppe dalle finestre. lentamente spuntò il sole. Ma il giorno non portò nessuna notizia. I giorni vennero e passarono. Anche le notti. Nessuna notizia.
Uno dei primi giorni di primavera, mentre cercava erba nuova per il gregge, un pastore vide il suo cane correre verso una roccia. Il cane iniziò ad abbaiare. Il pastore si affrettò a raggiungerlo. Dietro alla roccia giaceva il cadavere di un vecchio. I suoi capelli grigi brillavano come argento lucido sulla neve appena caduta.” (2)
Il legame tra padre e figlia li accomuna nella morte in montagna e quello con il figlio, ormai in esilio, è restituito infine alla parola. C’è, nella lunga narrazione di Abdolah, la storia in minuscolo: gente che tesse tappeti e conosce poche cose, ma ha una forza misteriosa.
“ Aga Akbar non sapeva niente del grande mondo, ma conosceva le cose semplici. Sapeva che il sole splendeva e lo riscaldava, ma non sapeva, per esempio, che era una grande palla di fuoco. […] Le settimane, i mesi e gli anni non sapeva cosa fossero. […] Il tempo non aveva per lui significato.” (3)
La testimonianza di molti esuli iraniani sulla loro vita da quel lontano 1979 è spesso struggente. Ahmad Batebi è solo uno tra i tanti. Altri/e non sono nemmeno ascoltati. Kader Abdolah ha dato voce e significato ad un passato diverso da come lo immaginiamo. Diverso anche da come ce lo descrive chi compiace il regime. E l’Iran è vivo nonostante la nostra indifferenza.
Nadia Agustoni
Note:
1. Kader Abdolah, La scrittura cuneiforme, Iperborea 2003.
2. Ibidem, pag. 315.
3. Ibidem, pag. 17.
Link al sito web di Internazionale
Un libretto
leggero
Non vale la pena di vivere per meno di un sogno, di Rino Ermini esce per la collana La Rivolta, edizioni La Fiaccola (Ragusa, novembre 2007), un saggio interessante particolarmente indicato come prima lettura per i giovani che si vogliono avvicinare al pensiero libertario.
È un breve scritto che nasce dal dialogo tra l’autrice e le sue/suoi studenti in un istituto tecnico, su temi quali l’anarchia, l’anarchismo, il movimento operaio e più in generale è nato dal dialogo su una società diversa da quella in cui viviamo, una società basata sulla libertà, eguaglianza, fratellanza e giustizia sociale.
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In questo documento si fanno delle ipotesi su la futura società e l’autore tenta di delinearne degli aspetti. Allo stesso tempo vuole offrire spunti di riflessione non solo per produrre delle teorie, ma per cominciare sin da ora a cambiare, costruire la nuova società, perché giustamente l’anarchismo non può e non deve rimanere solo sulla carta ma trasformarsi in pratica quotidiana.
Nella prima parte l’autore ha cercato di spiegare le cause, i motivi di questo scritto ha voluto far vedere i concetti generali e di base per una società giusta, quali la libertà, l’eguaglianza, la fratellanza, la giustizia sociale e l’abolizione della proprietà privata.
“L’oppresso e lo sfruttato di fronte all’oppressione e allo sfruttatore hanno sempre ragione e hanno il diritto di usare ogni modo e ogni mezzo per liberarsi. Oppressione e sfruttamento, qualunque sia la forma in cui si manifestano sono violenza di fronte a cui l’oppresso e lo sfruttato hanno il diritto di rispondere con i metodi e gli strumenti che essi e non altri devono scegliere.”
Nella seconda parte dello scritto invece cerca di entrare nel particolare nei vari settori/aspetti della società, mettendo in evidenza ciò che si dovrebbe fare fin da ora per migliorarla e soprattutto quali percorsi e quali obbiettivi ci prefiggiamo in vista di una società totalmente diversa da quella in cui viviamo adesso.
L’ordine dei settori è casuale e non sono in ordine di importanza, fra loro sono complementari. Alcuni sono più sintetici altri sono più analitici, nel complesso esplicativi.
Forse l’unico difetto di questo scritto ( ma potrebbe esserne anche il pregio) è la leggerezza con cui sono trattate le tematiche proprio da un punto di vista teorico, ne è conferma la scelta della totale assenza di note o riferimenti bibliografici.
In conclusione un buon scritto per cominciare una critica alla società dell’ultracapitalismo: un approccio essenziale all’idea anarchica.
Andrea Staid
Sindacalismo libertario
a Cuba
Ben pochi sanno che nei primi sindacati cubani militavano molti anarchici, questa influenza libertaria sarà‘ forte fino agli anni 50, nel pieno della lotta contro la dittatura di Batista. La militanza degli anarchici nella lotta in questa epoca è all’interno dei sindacati, con l’associazione libertaria cubana e in pochi casi anche all’interno del movimento “26 de julio”.
È importante ricordare che negli anni ‘50 il movimento anarchico cubano era uno dei più attivi dei paesi latinoamericani e partecipava ai diversi incontri internazionali, come alla conferenza anarchica realizzata a Montevideo nell’Aprile del 1957, dove si dichiarava espressamente l’importanza della lotta del popolo cubano contro la dittatura di Batista.
Quasi da subito gli anarchici incontrarono problemi con i metodi e le strategie castriste. La sfiducia rapidamente incontrò fatti che la giustificarono e la rafforzarono, per esempio l’intervento diretto di Fidel Castro che manipolò a beneficio dei suoi militanti il X congresso della confederazione dei lavoratori di Cuba e violò i principi di autonomia del movimento operaio.
A partire da questo momento gli anarchici Cubani radicalizzarono la loro specificità e adottarono una chiara attitudine contraria alla centralizzazione del potere politico.
Il distacco degli anarchici da Castro si basa sulle posizioni classiche della I internazionale rispetto al fatto che le rivoluzioni non sono né promosse né incentivate né radicalizzate da governi “rivoluzionari”, perché è proprio in questi governi che si incontra il germe burocratico e autoritario che finisce con rovinare e annichilire imponendosi come la nuova classe dominante di un nuovo stato.
È noto a tutti che, in qualunque regime totalitario, il movimento sindacale non è altro che uno strumento dello Stato per il controllo delle masse. In quei regimi esistono solo i sindacati ufficiali, come è appunto il caso di Cuba: la Ctc (Confederación de Trabajadores de Cuba) è la cinghia di trasmissione delle direttive economiche del potere castrista. Questa trasformazione del sindacalismo, da strumento di lotta in difesa degli interessi delle classi lavoratrici a strumento di subordinazione agli interessi dello Stato-padrone, è stato il risultato di un lungo processo di distruzione e repressione del sindacalismo autonomo e combattivo.
In questo momento di aspettative per il futuro di Cuba, con la scomparsa di scena di Fidel Castro, è più che mai necessario il recupero della memoria storica sindacale, della storia del sindacalismo antecedente alla cosiddetta “rivoluzione”, una storia confiscata e occultata dal potere castrista.
Non si può dimenticare che la società “socialista”, costruita da Castro nel corso di quarantasette anni di monarchia assoluta, ha funzionato grazie alla sottomissione della ctc, e che perciò i lavoratori, soprattutto i giovani, non hanno fiducia nelle organizzazioni sindacali. Non solo hanno dovuto sopportarle come organi disciplinari dello Stato-padrone, ma ignorano del tutto le conquiste ottenute dai sindacati quando questi erano realmente espressione degli interessi dei lavoratori.
Per questo, più che la menzogna della costruzione “socialista”, già di per sé piuttosto evidente, quel che si deve denunciare oggi è l’occultamento della vera storia del movimento operaio cubano. Si deve quindi far conoscere quella storia alle generazioni di lavoratori che dovranno ricostruire un movimento sindacale che torni a essere espressione dei loro interessi di fronte sia allo Stato-padrone sia alle imprese capitalistiche nazionali o straniere che sempre più andranno a costituire la realtà dell’economia cubana.
Questo è il motivo della realizzazione del documentario che, seppure in modo non esaustivo, riflettesse la vera storia delle lotte operaie di un sindacalismo che non fu solo rivolto al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori cubani ma si oppose duramente alle dittature di Machado e Batista.
Il filmato Cuba, memoria sindical [in spagnolo, ma c’è anche una versione sottotitolata in francese], realizzato da Claudio Castillo e Jorge Massetti per il Grupo de apoyo a los libertarios y sindicalistas independiestes de Cuba (galsic) (per contatti: cesamepop@orange.fr) è ora presentato in Cd in italiano – Cuba, memoria sindacale – al costo di 10 euro (sconto 30% per almeno 5 copie), per iniziativa del Centro Studi Libertari di Milano (vedi tutte le sue coordinate nella rubrica Tamtam). Le spese di spedizione postale sono sempre comprese.
Consente di capire il perché del fallimento rivoluzionario castrista, che ha imposto un modello statale, militare e “caudillista” di costruzione del socialismo. Un modello per imporre il quale il castrismo ha dovuto per prima cosa distruggere il movimento operaio e poi servirsi del sindacato ufficiale come organo di controllo e repressione collaterale allo Stato.
In sintesi: questo filmato delinea i tratti essenziali della storia del sindacalismo cubano (compresa la tendenza libertaria), dalle sue origini fino agli attuali tentativi di creare sindacati indipendenti.
Andrea Staid |