Il muro
Sono nato contro un muro.
Oltre il muro non si può andare,
il muro è pieno d’ipocrite facce
di gente triste e per bene.
Il muro circonda il mio campo
zingaro, il campo è la mia casa
che mi difende, dove sono
mio padre e mia madre
e gli allegri fratelli
disperati e sorridenti.
Mi circonda la mia gente
ora che sono bambino
e vivo la paura nella mia
pancia vuota affamata
di pane e d’amore.
Qui ancora ci sono gli alberi,
e il fiume e il canale al di qua
dell’autostrada. I miei cugini
vivono tra fango cemento rifiuti.
Corre lungo il campo il muro,
lo nasconde alla vista dei lieti ciclisti
che se ne vanno la domenica
con i loro bambini,
filano via diritti
e non guardano mai
da questa parte.
La loro paura è nel cuore e
nella mente, chiuse finestrelle
di una prigione.
Qualcuno di notte lancia
bottiglie incendiarie tra le
roulottes e le baracche,
la mamma dorme vestita,
io mi sveglio spalancato di spavento,
ma lei mi dice aspetta, aspetta, che
non era niente…
Il muro è intorno al campo,
ma anche qui piove, è bello
quando c’è il sole e la luna
d’argento rosso s’impiglia
alla collana dei rami
e dondola al vento d’inverno.
Ma ora non corro più fuori
sulla strada come un tempo.
A scuola vado un giorno sì
e uno no, tanto non imparo,
dice mia madre.
Al carcere da mio padre
ogni settimana, il giovedì.
A scuola non litigo, a scuola
sanno che sono rom.
Non sono cattivi,
dice mia madre,
ma loro non sanno
di me.
L’altro giorno però dal
giardino ho scagliato
un sasso sulla strada,
è volato forte sopra il cancello
e, per fortuna ha detto la maestra,
non passava nessuno.
Non so perché, era un sasso,
era duro era forte,
pensavo al muro dove
sono nato, ai ciclisti sulla strada
che non guardano mai dentro il campo,
allo sguardo di mio padre,
ai solchi arati del suo volto,
a come fuma di rabbia
nell’ora d’aria.
Torno al campo, fa caldo,
è estate, vorrei il mare,
non l’ho mai visto,
il mare è di tutti,
anche dei rom,
così grande e vasto
e forse si lascerà prendere
da me, solo un pezzetto,
azzurro, ma è acqua che
lava e scivola via, però ti rimane
il sale da leccare invisibile
sulle mani.
Il sale saporito dei rom,
che brucia nelle ferite.
Angela Sacco