Quando – dopo un paio di infruttuosi tentativi – il Premio Tenco di Sanremo riesce ad averlo sul palco della rassegna, nell’anno di grazia 1976, Ciampi si ritrova nel tempio della musica d’autore e anticommerciale per antonomasia, adorato dagli organizzatori, che però, essendogli stati dietro da quando lui è sceso dal treno in piena notte, hanno fatto in tempo a conoscere le sue intemperanze “ero in platea (come sempre) ed ero sulle spine” ci confessa Enrico de Angelis trentadue anni dopo.
Lo storico presentatore, Antonio Silva, lo introduce sul palco con queste parole: “Più che cantare canzoni definite, si limita a venire sul palco e a essere sé stesso. In questo sta la sua carica violentissima: [essere] sé stesso fino in fondo, così, improvvisando, mettendosi a nudo senza alcun pudore. Se lo ascoltate con estrema attenzione, capirete che abbiamo di fronte un vero poeta”.
Verso la fine del suo percorso artistico, nel luogo meglio deputato a tributargli il doveroso omaggio che aspetta da una vita (ma che avrà solo in morte), Ciampi scazza, ancora una volta è come se si boicottasse: entra in scena con la base musicale – non cantava con dei musicisti ad accompagnarlo, ma con delle basi pre-registrate – già partita (perché ovviamente si è attardato a discutere nei camerini), vistosamente ubriaco e biascica:
Il marciapiede cedeva, consumato da attese e passi indimenticabili.
Io, unico ospite, dalla paura mi precipitai in un’osteria ed, esplosa l’indifferenza, non ne uscii più. Per questo non so se siete ancora accesi, occhi lontani.
Intanto, tra niente e niente, le braccia incrociate nella testa, mi accingo a tutto e continuo a cantare.
Te lo faccio vedere chi sono io
Ma come?
Una regina come te in un bordello come questo?
Ah, ah ma come si permettono?
Ma come? Tu che sei la più bella, che sei meravigliosa,
che sei veramente la giustificazione della natura, che hai quel nasino
tutto così delicato, quelle sopracciglia così belle, ma come?tu in questo bordello? Mai!
Per cui io voglio che tu sia felice, amore adorato,ma perché tu sia felice voglio che tu abbia una casa con 14 stanze,
come hanno quei 14 imbecilli che ci stanno davanti,
chiaro? Che tu sei una regina, una regina ha bisogno di una reggia.
Comunque io ho un problema: poiché devo risolvere questo maledetto problema che abbiamo mi devi dare mille lire per il tassì che te le rendo verso le 14.
Ma che cosa ti avevo detto?
Una casa? Ma amore adorato, io ti compro un sottomarino
così quei quattro coglioni, che hanno la barca, sai i pipponi che si fanno?
Comunque stai bene attenta,
non un transatlantico io ti compro, neanche un sottomarino, io ti compro una sedia perché tu non ti muova più, perché quegli imbecilli non ti guardino mai più.
Si consideri ancora il fatto che sta cantando su basi preregistrate per capire la totale condizione surreale della presentazione dei musicisti (inesistenti) con cui strania il pubblico all’inizio del recital:
Secondo me la classe è la non-spiegazione.
Voi mi dite, perché tu vieni qua con... Le cose che voi sentite con questa orchestrazione sono i più grandi solisti italiani... beh, ci sarà qualche tunisino, qualche algerino, qualche slavo, qualche tedesco, non me ne importa niente. Questi sono dei grandi.
Allora io cosa faccio? Prima faccio delle cose con loro e poi vengo qua, dopo che ho fatto delle cose con loro e dove tutti mi onorano in Europa e anche oltreoceano.
Ragazzi, io sono un uomo di mare, per cui: perché io dovrei fare delle cose senza di loro... ma tu vieni qua con le basi... ma allora io... io sono un grande chitarrista perché sono un gitano, faccio [modula un cantato], però io onoro questi ragazzi che mi hanno fatto... e poi vi dirò anche chi sono..
Vogliamo fare un applauso a questi ragazzi, che sono vivi e non sono morti?
Vogliamo farlo?
Riesce a farsi ripetutamente fischiare e quasi provoca una rissa inveendo sul pubblico col suo fare, al contempo, gradasso e indifeso.
In questo discorso che vi farò, sono partito da una perdenza: un uomo per conquistare una donna deve essere debole. Le deve fare la corte. La corte... io ho imparato questo dai gatti: i gatti sono dei geni... ma adesso non è che io sono qua a parlarvi dei gatti. Io vi dico che i gatti non perdonano!
Perché i gatti, prima di tutto, se fanno dei figli non li vogliono vedere... [il pubblico ride] secondo... [qualcuno dal pubblico urla “Sono orbi”]
Taci! Tu parla quando te lo dico io perché... scusami, se tu vuoi parlare vieni qua. Io rischio, te no.
Tu sei un anonimo, io no.
Questa trascrizione della registrazione (di qualità assai precaria) di quella serata ci fa entrare a gamba tesa in quel momento emozionante, rivelatore e imbarazzante (“Stavo sulle spine”, ci confessa con intatto brivido trentadue anni dopo Enrico de Angelis, che assisteva dalla platea alla performance del suo idolo).
Questa canzone che vi farò è una conseguenza dell’incontro [biascica qualcosa d’incomprensibile] atlantico, questa presenza… Sentite cosa succede adesso prego. Così ti rispondo anche a te [è rivolto al tipo che aveva parlato dal pubblico]. Però non la prendere come un offesa.
Prego. State attenti se non siete forti.
Adius
[è una versione completamente improvvisata, molto diversa da quella pubblicata su disco]
Un cuore giace inerte rossastro sulla strada
e un gatto se lo mangia, così, con indifferenza,
mentre un ombrello cerca invano la pioggia
anche se è emozionato perché quella terra
che lui preclude non è la sua
ma comunque c’è la memoria.
E così, amore adorato, tu vuoi stare con me?
Sì o no?
Nooo?
Ma vaffanculo.
Ma vaffanculo.
Ma vaffanculo.
Ma vaffanculo te e tutti i tuoi cari. Ma vaffanculo.
Ma come? Io che sono bello, bellissimo,
e tu mi scruti e mi sembri una volpe,
allora io sai che cosa ti dico? Vaffanculo.
Comunque tutte le alternative che tu cerchi
Guarda, non te ne do... le accetto tutte tranne una
perché io ti dico vaffanculo e sai che bel vaffanculo che ti porti nella tomba.
Ma tu sei piccolina...
E aspetto di morire per dirti sempre
ma vaffanculo.
Il contenuto c’era e il motivo è la mia presenza qua.
Giusto questa spiegazione... adesso, dopo quest’illusione che quest’uomo dà alla sua donna, perché un uomo che fa la corte è sempre debole, diventa impari... poi riprende in mano le redini e cosa fa? La manda affanculo.
Dopo, però, c’è l’educazione... C’è la memoria. La memoria ove ambedue sono presenti. Allora lui come... mi diventa grande... diventa un grande poeta. Il più grande! 400.000 copie in Olanda. 545.000 copie in Giappone. 821.000 copie in Uganda.
Ah! Che cazzo di poeta.
Dico: vogliamo fare un applauso a questo grande poeta? Lui che sa tutto della vita, arriva col verbo quest’omiciattolo. Oh, oh oh oh... ma come? Allora io dico alla mia donna
[qualcuno dal pubblico fischia]
Taci! Parla quando te lo dico io, che il fischio è degli uccelli. Ua.
Tu che dici che ho distrutto la tua vita capirai mai che il tuo dolore si è aggiunto al mio?
Ma che buffa che sei
Sei come un purosangue
che non ha mai perso una corsa.
Sei tu che vieni avanti,
sei rara come una sorpresa.
Ma che buffa che sei, ma che buffa che sei,
il denaro per te è un giornale di ieri.
Ma che buffa che sei, ma che cara che sei,
quando dici che ogni cosa che fai
ha troppi strani errori,
ma lo so, ed è l’amore.
Ma che amore che sei, ma che uscita che fai,
e tu mi lasci solo un’altra volta.
Quel pugno che ti detti
è un gesto che non mi perdono,
ma il naso ora è diverso: l’ho fatto io e non dio.
Ma che amore che sei, ma che cara che sei,
quei ragazzi laggiù non sembrano noi... ah!
Un giorno... io sono un giocatore, ecco il problema per cui, ho fatto una scelta su questa cosa.
Io sono orgoglioso che voi siate qua, ma non c’è... io non posso essere ognuno di voi: se io riuscissi ad essere uno di voi, io sarei un fuoriclasse qua.
[si stacca dal microfono, s’inchina] Prego un applauso...
[applausi e qualche fischio] Te, eh? Perché non ti compri un sassofono, almeno ti fai pagare...
Dunque allora, il giocatore che cosa fa? È colui il quale gioca, perché il giocatore è l’unico che ha capito la micidialità del denaro. Il denaro, ragazzi, ci rovina tutti, è inutile che voi vi mettiate in testa delle pazze idee, il denaro è micidiale.
Il giocatore è il guerriero che prende una spada e vuole inculare il denaro! Ah, ah, ah... Io darei una pensione ai giocatori! Davvero.
Un giorno ho fatto un poker con Piero Moroni che è un architetto, quindi fa delle case, quindi lui: soldi... soldi... soldi... soldi... soldi...
Giulio Turcato, pittore che sarà noto, penso, a parecchi di voi.
Sergio Cannevari, uno che lavora nel cinema: soldi... soldi... soldi... soldi... soldi...
E io, che non avevo denaro.
Voi sapete che a poker vince chi... comunque, io non c’avevo nulla. Ma il problema è Turcato...
comunque posso fare un omaggio a Giulio Turcato che è un grande artista, grazie a voi se avete un secondo di attenzione.
Lui prendeva un treno perché insegnava a Bologna. Allora, da Roma prendeva questo treno e scendeva a Firenze. Lo aspettavano a Bologna, allora lui telefonava alla moglie che lo venisse a prendere con l’automobile. Non ha mai fatto una lezione a Bologna… chiusa parentesi... questo è un applauso, eh... [applauso]
Ma il problema, perché poi vi spiego: il giocatore è grandioso, vi ho già detto come io capisco il giocatore, lo intendo musicalmente capito…
Ma facciamo questo poker, cosa succede? Succede questo: voi sapete come comincia un discorso: mille, milledue, milletre, millequattro, passo. Poi, alla fine della serata, dopo cinque ore, quattrocentomila, un milione... Bene, allora Turcato, che stava veramente perdendo, scoperto in un bluff ha detto... io gli ho detto: “vedo”. Lui ha detto: “scopa!”. [risate]
Prego...
Il giocatore
Quattromila. Diecimila. Venticinquemila. Cinquantamila. Centomila. Duecentomila. Un milione. Due milioni. Tre milioni...
Merda!
Dunque, io adesso non…
Buongiorno caro, mi gioco questa accoppiata: Barbablù con Rommel: cinqucentomila. Mi accetti questa giocata prego?
Oh, e poi mi gioco un milione su Barbablù, tutto a posto?
Merda!
Dunque giovanotto, hai visto che cosa ho giocato?
Lo zero: non ho giocato il sette, ho giocato lo zero!
Accetti un milione sullo zero? Sììì?
Grazie.
[Grandi applausi e qualche “bravo!”]
Sì. Punto. Volevo vederti. Punto. Rivederti. Punto. Sono qui per questo. Punto. Tu capisci ma ti stupisci. Punto. E così è il solito arrivederci.
[Esce. Grandi applausi, Il conduttore richiama Ciampi sul palco]
Notte. Punto. Quanto me ne fotte. Punto (eh eh). Di non dire. Punto. Di dover partire.
Punto.
[esce]