Piero Ciampi è un poeta cantautore. Il veicolo dei suoi pensieri sono le note al servizio delle parole e della voce.
Piero è una persona affascinante, carismatica, geniale e creativa, ma è anche un insano, un malato di quel mal di vivere che porta sempre con sé.
Non vuole premi letterari, riconoscimenti mondani, non li vuole abbastanza da rinunciare, anche solo un po’, alle bottiglie di vino: rosso, rosso, rosso, bianco, bianco, bianco.
Piero canta l’amore come lo vive, carico di disillusioni, speranze svanite, tormenti.
Attraversa con le sue canzoni gli anni ‘60 e ‘70, gli anni delle canzonette e gli anni delle prime canzoni d’autore. Piero prova a fare entrambi i generi, riesce solo a fare le seconde, ma non si sente in armonia con nessun genere precostituito.
Scrive testi anche per delle interpreti femminili, ma scrive sempre come per sé stesso.
Il successo non gli arriva né come autore, né come cantante. Il pubblico non lo capisce e lui non capisce il pubblico.
Piero Ciampi nasce a Livorno nel 1934. Dopo l’infanzia passata fra guerra e sfollamento, non finisce il liceo, già impegnato, fra osterie e locali, a cantare in trio coi fratelli.
Durante il servizio militare conosce Gianfranco Riverberi, musicista e arrangiatore, vera eminenza grigia della canzone d’autore a venire.
Piero intanto vagabonda tra Livorno, Genova e Parigi.
Nel 1963 il primo disco, con lo pseudonimo Piero Litalianò (con l’accento sulla o, a tradir meglio la derivazione francese). Il disco passa inosservato. Gli anni 60 scorrono tra insuccessi, viaggi e amori falliti: due mogli “alte, bionde e snelle” da cui avrà due figli. Entrambe finiranno per lasciarlo.
Ennio Melis e Lilli Greco, uomini sensibili che lavoravano in RCA, lo amano e gli offrono diverse possibilità di carriera, ma Piero deluderà sistematicamente ogni aspettativa.
Negli anni ’70 la RCA era la casa discografica dei cantautori: Cocciante, Baglioni, Venditti, De Gregori, Conte, Nada. Alcuni di questi ebbero successo subito, altri dopo anni di tentativi, altri ancora furono meteore...
Ciampi fu una voce di quelle che si segnano al passivo, niente di strano: in un’azienda non tutti gli investimenti risultano fruttuosi, è normale. Ma gli artisti non sono un investimento aziendale, sono una risorsa dell’umanità.
Dieci anni dopo la sua morte è cominciata una riscoperta che, anno per anno, si rinnova, s’ingrandisce, si ramifica.
Dal ’60 al ’75 incide diciassette 45 giri e cinque LP. Negli anni 70 in particolare il sodalizio, anche umano, col compositore, arrangiatore e pianista Gianni Marchetti fa emergere la vena più geniale e, anche formalmente, innovativa dell’arte di Ciampi.
Nessuna delle incisioni si rivela però un buon investimento commerciale. D’altronde la questione incontra la più totale indifferenza di Ciampi, che anzi, quando riesce a ottenere un solido anticipo per un disco, fugge col denaro e non si fa vedere per un pezzo. Ciampi si muove nell’ambiente musicale con criteri del tutto idiosincratici: Ornella Vanoni gli chiede i pezzi per un disco, Ciampi scompare. Con Nada invece il progetto va in porto (nel porto di Livorno, ovviamente!): nel ’73 esce un suo disco completamente scritto da Piero. Il suo più grande insuccesso commerciale!
Della vita di Piero Ciampi per lungo tempo si è saputo poco (infatti molte sono anche le invenzioni sul suo conto) e la sua biografia è in gran parte ricostruita sulla base delle testimonianze degli amici. Ma Piero era un uomo fondamentalmente solo, come tutti coloro che non rinunciano a sé stessi e vogliono conservare a tutti i costi la propria integrità.
Piero Ciampi era alto e magrissimo, un Don Chisciotte con la chitarra.
La casa romana, dove visse gli ultimi anni, era uno stanzino senza elettricità e riscaldamento a cui si accedeva dalla rampa di un garage. Lui, solitamente malfermo sulle ginocchia e con le ossa fragili, nutrito solo di alcool, temeva le cadute e perciò, tornando a casa, si sdraiava su un fianco e si lasciava rotolare piano, piano giù per la discesa del garage. Ma entrato nella stanza non doveva in fondo sentirsi troppo stretto, perché quella miseria, che aveva la stramaledetta faccia dell’indifferenza degli altri, aveva anche quella della libertà. La sua libertà era dire la verità, e difendere il suo metro quadrato.
Piero non si sentiva a suo agio nemmeno sopra un palco, a meno che non fosse un’osteria e il suo pubblico non fosse al suo medesimo tasso alcolico. Lui donava sé stesso attraverso le canzoni, ma non era importante a chi arrivassero.
Quando Piero si esibisce in concerto non è mai un normale concerto: in un locale, mentre la musica suonava, tacque per ben tre brani. Poi disse “la prima canzone che avete sentito si intitola Vaffanculo…La seconda Vaffanculo… Questo è il pezzo più bello e lo dedico a tutti voi: si intitola Vaffanculo!