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Mauro – Dalla contraddizione alla verità, dal dubbio alla bellezza, è qui che inizia la capacità dell’uomo di partire da sé per costruire il rapporto con l’universo?
Morgan – Per quanto riguarda il rapporto universale-particolare, ti rispondo come ho risposto qualche tempo fa durante un’intervista. Per l’ambiente musicale mainstream, Morgan è un anarchico radicale intellettualoide, sofisticato e tossicofilo. Per il mondo alternativo, invece, il mio personaggio viene percepito come commerciale, pop e (banalmente) televisivo. Da questa idiosincrasia, emerge il vero punto di arrivo di Morgan, una indefinibilità che a me sta bene. Nella misura in cui mi dà la libertà di essere anche quello che non sono.
In questo mercato discografico totalmente statico, in cui vincono le canzoni facili e dimenticabili, un mio pubblico ce l’ho. Non vendo come Eros Ramazzotti, è ovvio, però la gente ai miei concerti viene perché è interessata, magari ricerca – come me – un’altra musica. Indipendente, se vuoi, non catalogabile.
Quando parliamo di bellezza e interpretazione del mondo, e di come questo si incastri nella (mia) musica, insomma parliamo di anarchia: perché io mi professo anarchico! Poi ammetto che esistano vari modi per esserlo. E questo vale per tutto quello che rientra in una classificazione.
Le parole assumono significati complessi in base agli usi e ai contesti storici, politici, letterari: essere «un» romantico può significare essere preda del sentimentalismo, ma può anche significare essere attento a un livello letterario, filosofico, musicale della vita. Ciò che vale per la definizione di romantico vale anche per quella di anarchico, per la riduzione a essere «un» anarchico. Io ho sempre avuto simpatia e interesse, attrazione e paura, verso questa parola. Ci ho pensato, e nel tempo mi sono riferito molto a questo atteggiamento politico del vivere, anche se poi non l’ho fatto mai in maniera socialmente incanalata, non ho mai partecipato attivamente a un programma anarchico! Credo però che, oggi, se c’è un concetto su cui non si può chiudere un occhio è proprio l’anarchia. Per me l’anarchico Gaetano Bresci è un esempio da seguire, tanto che il titolo dell’album Da A ad A sarebbe dovuto essere Quando l’anarchico Bresci passò per Monza.
Mauro – A piedi scalzi si dirige verso la libreria in fondo alla stanza e si alza sulle punte. (...) Poi prende una vecchissima bottiglia di vino, si schiarisce la voce e inizia a leggere: «Nel maggio del 1898 ai milanesi in rivolta che chiedevano pane e lavoro, il re Umberto I rispose con i cannoni e la mitraglia del generale Bava Beccaris». Si accosta con il fare tipico del cospiratore e dice: «Siamo in anni in cui gli italiani stanno malissimo, quando il re uccide quelli che contestano, i manifestanti... come a Tian An Men, ma quasi cento anni prima». Poi, indicando il liquido scuro che intravedo nella bottiglia, riprende a leggere: «Nel luglio del 1900, secco come questo vino, un anarchico, Gaetano Bresci, spiega con tre colpi di pistola al re Umberto I che non ci si può comportare così». Viva Bresci! (...)
Morgan si mette davanti lo specchio sopra il divano-letto, i movimenti veloci, precisi. Annoda un fiocco nero che stringe la camicia: «Mai di raso – dice – perché scivolerebbe, e invece il movimento deve fermarsi col gesto». Il tessuto opaco sale elegante a chiudere il collo, a fermare l’immagine in respiro e bottoni scattati.
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Controllo e distopia:
kit minimo di vendetta
organizzata
Morgan – Il fiocco è per festeggiare. Per me significa festeggiare la libertà di dire: «Che bello quando non ci sono le leggi, dato che non servono a niente, come siamo nobili a non volere un regolamento». Perché già ci auto-governiamo interiormente. A questo proposito, voglio citare un bellissimo testo di Manlio Sgalambro, Dell’indifferenza in materia di società, che inizia così: «Che io debba essere governato. Ecco dove comincia lo scandalo della politica».
Mauro – Anche secondo te è scandaloso?
Morgan – L’esigenza di avere un governo, che si risolve in un regime di controllo, serve solo ai pochi cui conviene. Serve, di solito, a chi ha bisogno di un ordine, di uno schema, per mantenere uno stato di normalità che altrimenti non riuscirebbe ad avere. Ed è allora che gli serve quel controllo, quella stretta alle regole che garantisce la sua stessa stabilità.
La necessità di ordinare la società in base a criteri di controllo vale per chi non riesce a dominare neanche se stesso, (...) E l’ordine, quindi, è soltanto una brutta faccenda di cronaca che riguarda la peggiore società, il peggiore sciacallaggio: la polizia, la tecnocrazia, il regime mediatizzato e disinformato, attento solo al gossipper distrarre. Tutta questa struttura, che ci dicono necessaria per mantenerlo, è in realtà soltanto «scandalosa». Parola che, oltretutto, è pure bella unita a questo discorso.
Per quanto mi riguarda, trovo avvilente che una società si dedichi solo alle forme perché, oltre a celare una volontà di dominio schiacciante, è preludio di una sottile forma di repressione potenzialmente totalitaria.
Mauro – Perché implica il controllo e la paura delle differenze? Mi vengono in mente un libro e una graphic novel: il libro è 1984 di George Orwell, il fumetto è V per Vendetta di Alan Moore.
Morgan – Di cui ho visto solo il film, però.
Mauro – E considera che il film è molto edulcorato rispetto al fumetto, Moore l’ha addirittura disconosciuto. Nel fumetto descrive il clima di violenza con un linguaggio duro, il Potere come repressione e paura. Se vuoi, la «banalità del male» di un proto-nazismo.
Morgan – In questo senso, allora, citerei anche il libro Fahrenheit 451 di Ray Bradbury e l’omonimo film di François Truffaut.
Mauro – Effettivamente riescono tutti a esprimere questa visione, un potere che definisce se stesso attraverso il controllo totalitario, e da qui elaborano una serie di simbologie: l’occhio, il Grande Fratello, il mezzo televisivo come propaganda.
Morgan – Per tornare a Sgalambro, in quel libro continua così (legge): «...solo per canaglie e miserabili incapaci di auto-governarsi e decidere, c’è la politica come unica via di scampo. Ma qui si vede l’abisso tra la politica concepita come miglioramento e la politica come estrema salvezza. Con la radiazione del problema del valore dai problemi di rango, quello dell’essere sembra trionfare definitivamente. La funzione stessa della filosofia di valutazione del mondo non viene solo negletta ma derisa. In realtà ciò nasconde due fatti e due timori». Due fatti e due timori: bellissimo! E poi tira fuori una domanda sulla valutazione del valore. Mi piace Sgalambro perché non è un accademico.
Mauro – Che mi stavi dicendo invece di 1984?
Morgan – Lo conosco bene, ho anche scritto molte cose riprendendole da Orwell, dal suo linguaggio incisivo che denuncia la cultura della réclame. Aveva intuito già allora come sarebbe stato dilagante in futuro il pensare per slogan, tipo: «Chi controlla il passato controlla il futuro».
Mauro – Come i Rage Against The Machine che, nella canzone Testify dell’album The Battle of Los Angeles, dicono: «Who controls the past now controls the future /...
Morgan – Questo senso del controllo è un meccanismo perverso del potere che ho anche tentato di esprimere, usandolo per costruire alcuni dei miei testi. Ma è la logica del contrario, «tipica con metodo», del potere.
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È una lama a doppio taglio, coerente solo alla sua logica di controllo scriteriata e violenta. Chi controlla il passato, controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato. È questo l’ingranaggio. Il sistema controlla il presente ma, visto che controllare il presente vuol dire controllare il passato, allora lo si può cambiare. Anzi, bisogna cambiare il passato. Bisogna dire alle persone che le cose non sono andate come sono andate! Così tutti crederanno un’altra cosa, ed è così che oggi stanno tentando di ipotecare il nostro futuro.
Mi hanno raccontato che per la copertura dei navigli a Milano, iniziata nel 1929 a seguito dell’introduzione delle linee dei tram, Mussolini fece addirittura togliere le fotografie che ritraevano i navigli perché la gente non doveva averne nostalgia. Non doveva ricordare i tempi che si portavano appresso quegli oggetti. Perché la modernità erano le strade, era l’automobile. Se le persone avessero rimpianto la bellezza poetica dell’acqua, non si sarebbe potuto progredire, non si sarebbe potuto andare avanti verso il futuro fascista! Allora Mussolini, con intelligenza e cattiveria, fece scomparire le immagini dei navigli, eliminando così la possibilità di vedere e ricordare.
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Mauro – Passando dall’ambito artistico al mercato discografico, il capitalismo ti sembra moderno? In molti considerano questa epoca di globalizzazione come un nuovo (e neanche troppo) colonialismo. L’attuale sarebbe un finto modello libero-concorrenziale che garantisce il monopolio, o al massimo l’oligopolio, con crescenti diseconomie.
Morgan – Secondo me si riduce tutto a un problema di realizzo, che in questo caso è solo quello del profitto.
Mauro – A differenza dei mass media, spesso assenti o distratti, i fumetti hanno invece analizzato, o addirittura anticipato, molti avvenimenti. Nella serie Civil War della Marvel, dopo l’undici settembre e l’attacco alle Torri Gemelle, Capitan America, paladino delle libertà individuali, si mette a capo dei ribelli contro lo stesso governo degli Stati Uniti e l’industriale bellico, supertecnologico, Iron Man. In altre storie, il cattivo di turno non è più un generico supercriminale ma la Shock Economy, quella di Milton Friedman, l’economia delle liberalizzazioni studiata da Naomi Klein.
Morgan – Lo stile Rupert Murdoch?
Mauro – Qualcosa di più, è una politica monetarista che considera il consumatore semplicemente in base al vincolo del bilancio.
Morgan – Credo che in generale molti governanti siano persone con una spiccata propensione sentimentale per i soldi, e dunque credono a teorie che danno loro ragione. Ma lo fanno a spese delle popolazioni. Anche l’attuale classe politica italiana segue la struttura mentale di qualcuno che, anche suo malgrado, ha fatto soldi in modo facile.
Tutti i regimi credono al proprio mito. Mussolini aveva Marinetti, paradossalmente c’era un’estetica pure nel fascismo. In Italia, invece, la logica dei soldi facili oggi ha creato una dirigenza politica che produce televendite e abusi edilizi. Non mi sorprende quindi che i governi si lascino influenzare da teorie speculative e antidemocratiche: è il Grande Fratello di Orwell, una stupidità violenta che uccide. Ma un sistema in cui la libertà viene trattata come un’incoerenza matematica, è un sistema idiota.