Morti sul lavoro
Dedicata ai morti sul lavoro
Il freddo rumore dell’acciaio
accompagna atroce le otto ore,
tutto scorre regolare,
tutto sembra quasi normale.
Al di là del capannone
c’è uno straccio di cielo, c’è la vita
così lontana, così viva
da sembrare quasi una storia finta.
Le vene nere della “cosa morta”
sanguinano olio e grasso
e io sono solo un uomo,
parte inerme della catena di montaggio,
catena pesante che mi lega al salario.
Ora tutto consegno alla “cosa morta”:
il mio respiro a ritmo di tamburo,
i miei occhi appannati fissi sulle luci finte,
il battere stanco del cuore affannato,
i miei pensieri, ormai di altri,
pensieri alienati e precari, pensieri a contratto.
Basta un attimo, solo un attimo,
per chiudere gli occhi sulla sfortuna
e trovarmi ad essere, all’improvviso,
solo un ricordo.
Il freddo rumore dell’acciaio,
lo strillare delle labbra affilate,
il cielo sempre più straniero,
la vita misurata ad ore, otto ore, a volte dodici.
Questa assurda gabbia si chiama lavoro
e il lavoro, dicono, è progresso.
Fabio Conti