In
un brano famoso del Vangelo secondo Matteo, Nostro Signore,
con un pizzico di ironia abbastanza insolito in quel contesto,
raccomanda di non suonare la tromba davanti a sé quando
si fa l’elemosina, perché non bisogna “praticare
le buone opere per essere ammirati dagli uomini”: una
immagine insolita e pregnante, molto più efficace di
quel “non sappia la mano destra ciò che fa la
sinistra” con cui il concetto viene rafforzato subito
dopo e che, con tutto il rispetto, conferisce al benefattore
tipo dei Vangeli una connotazione vagamente schizoide. Il
fatto che la seconda metafora venga citata assai più
di frequente della prima mi è sempre sembrato uno dei
molti misteri della comunicazione pastorale, a meno che non
dipenda dal desiderio della chiesa di non irritare i molti,
troppi tromboni con cui, nella sua storia millenaria, ha avuto
a che fare. È evidente, comunque, che il riferimento
all’elemosina non va preso in senso restrittivo e che
quell’invito a una sobria riservatezza nel fare il bene
(o ciò che si considera tale) si riferisce a tutte
le azioni meritevoli che ciascuno di noi ha occasione di compiere.
E credo che converrete tutti con me sul fatto che la raccomandazione
relativa sia una delle meno fortunate di tutto il Nuovo Testamento,
nel senso che sono ben pochi a seguirla, come dimostra la
quantità di tromboni che, in numero sempre crescente,
allignano sulla platea religiosa e profana.
Così, il senatore Marcello Pera, noto filosofo popperiano
e teorico liberale, avendo scritto un libro sui rapporti tra
religione, etica e liberalismo, avendolo sottoposto –
in bozze, presumo – al papa in persona e avendone ricevuto
una lettera di elogio, non ha resistito alla tentazione di
suonare un poco la tromba. Il testo papale in questione, completa
di riproduzione della firma olografa dei mittente, apre il
nuovo saggio del senatore (da poco in libreria) ed è
stato integralmente pubblicato sul “Corriere della sera”
lo scorso 23 novembre. In effetti, bisogna ammettere che resistere
a una tentazione del genere sarebbe stato molto difficile,
visto che i complimenti che l’illustre recensore profonde
avrebbero fatto arrossire Tommaso d’Aquino in persona.
All’autore vengono attribuite una “conoscenza
profonda delle fonti”, una “logica cogente”
e “inconfutabile”, una “sobria razionalità”
e una “ampia informazione filosofica”, le quali
doti contribuirebbero a fare del volume un’opera “di
fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa
e del mondo”. Parole un po’ forti, dunque, per
un semplice saggio. Ma si capisce: Pera, a dire di Ratzinger
(e di Maria Antonietta Calabrò, che sulla stessa pagina
del “Corriere” firma una recensione a nove colonne)
è riuscito a far capire che “non c’è
liberalismo senza Dio”. Ha dimostrato (stando sempre
al papa) che “all’essenza del liberalismo appartiene
il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio ...
di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto
il dono della libertà” e che quella dottrina
“perde la sua base è distrugge se stessa se abbandona
questo suo fondamento”. E non basta: “Non meno
impressionante” sembra a Benedetto XVI “l’analisi
della multiculturalità”con cui Pera “dimostra
la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi
la sua impossibilità politica e culturale”, con
tutte le conseguenze pratiche per un’Europa che non
può trasformarsi “in una realtà cosmopolita,”
ma deve trovare, “a partire dal suo fondamento cristiano-liberale
la propria identità.”
Non ho ancora letto il saggio del senatore e non saprei dirvi,
quindi, se quel “fondamento cristiano-liberale”
– con la lineetta – sia farina del sacco di Pera
o di quello pontificio. Ma certo, dal punto di vista teorico,
si tratta di una formula piuttosto sensazionale. Se la chiesa
negli ultimi due secoli ha avuto spesso a che fare con varie
ipotesi di “cristianesimo liberale”, in genere
per condannarle, di un fondamento cristiano-liberale dell’identità
europea non si era ancora sentito parlare.
Il relativismo degli altri
L’espressione, a esser franchi, un poco disturba anche
noi che con il liberalismo non abbiamo poi molto a che fare.
Non solo perché contiene una certa dose di asimmetria,
visto che il Cristianesimo ha l’origine e la storia
che conosciamo, mentre il liberalismo è stato inventato
come termine e ideologia appena agli inizi dell’Ottocento.
Ma perché fa un po’ specie vederla uscita dalla
penna di un ex prefetto del Santo Offizio, che scrive, nello
stesso contesto, che “sulla decisione religiosa di fondo”
un vero dialogo “non è possibile senza mettere
tra parentesi la propria fede” e che “il liberalismo,
senza cessare di essere liberalismo, ma, al contrario per
essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina
del bene, in particolare quella cristiana che gli è
congenere”, il che significa, in definitiva, che la
libertà che ci è data e che quella dottrina
difende è solo quella di credere a quello che lui,
il papa, come interprete del cristianesimo insegna. Quale
e quanto spazio possa lasciarsi in quest’ottica alla
libertà religiosa e più in generale alla libertà
di pensiero Ratzinger non lo spiega e dubito che lo precisi
Pera, ma leggerò e vi saprò dire.
Certo, oggi il liberalismo non è più la dottrina
potenzialmente eversiva uscita dalla temperie della Rivoluzione
Francese e delle guerre napoleoniche per fronteggiare, in
Europa e altrove, gli spettri risorgenti dell’assolutismo.
Oggi l’assolutismo è tutt’altro che estinto,
ma nessuno ha il coraggio di considerarsi (o di dichiararsi)
assolutista e liberali, a quanto sembra, possono dirsi tutti,
compreso il papa. Che il Sillabo di Pio IX, di cui Ratzinger,
credo, ha visto con favore la causa di beatificazione, condanni,
alla proposizione 80, l’ipotesi per cui “il Romano
Pontefice può e deve col progresso, col liberalismo
e con la moderna civiltà venire a patti e conciliazione”
è un particolare che oggi può interessare solo
a pochi eruditi. Il papa, che quanto a erudizione non è
secondo a nessuno, può sempre rispondere che una cosa
è il liberalismo dei moti ottocenteschi e un’altra
quello del senatore Pera, se non altro perché il primo
si riprometteva di abbattere il dominio temporale dei papi
e il secondo si dà non poco da fare per conservarlo.
Il che è vero, ma la distinzione puzza lo stesso un
poco di relativismo e il Nostro con il relativismo non è
mai stato tenero, lo ha – anzi – condannato, bandito
e preso a male parole. Ma probabilmente si riferiva a quello
degli altri.