Rivista Anarchica Online


movimenti

Onda su onda
di “Studentesse sull’orlo della crisi”
foto di Roberto Gimmi

Con questo titolo le Edizioni BFS pubblicano una raccolta di documenti elaborati in varie località dal nuovo movimento degli studenti.
Ne pubblichiamo la stimolante introduzione.

 

Manifestazioni, cortei spontanei, occupazioni di scuole e facoltà: con queste forme, a partire dal mese di ottobre 2008, la protesta studentesca ha fatto la sua comparsa su tutto il territorio nazionale, portando nelle piazze quella parte di società da sempre indicata come il “futuro del paese”, a cui però un futuro è stato negato: sono i bambini delle scuole elementari con i loro genitori, gli studenti medi e universitari, i giovani precari delle strutture scolastiche e della ricerca. Un pezzo di società nato e cresciuto in un contesto di crisi non solo economica ma anche politica, in cui i partiti hanno reciso ogni legame coi movimenti dal basso e con le loro necessità, facendo della politica lo strumento di rappresentanza di interessi corporativi e di casta. Un movimento, quindi, disaffezionato alla stessa parola “politica”, che si è sempre più delineata nell’immaginario comune e giovanile come l’espressione di logiche clientelari lontane dai pressanti problemi della quotidianità.

L’Onda mette insieme individui diversi per estrazione, cultura, orientamento politico e formazione, ma tutti accomunati da un senso generico di precarietà esistenziale, a cui hanno voluto contrapporre il desiderio di tornare a decidere del proprio futuro, scrollandosi di dosso il cliché, cucitogli addosso, di generazione passiva e conformista.
Questo movimento prende vita da una contingenza precisa: la contestazione alla legge 133. Una legge, quella proposta dal ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, inserita in un progetto politico che mira a “riformare” l’intero sistema della formazione e dell’educazione. Fin dall’inizio studenti universitari, medi, precari, insegnanti delle scuole inferiori e genitori si sono trovati sullo stesso terreno di protesta, portando avanti rivendicazioni specifiche ma inserite in un unico movimento.
Questa capacità di fare fronte comune nasce dalla consapevolezza che i provvedimenti legislativi rispondono a un progetto più ampio di smantellamento del sistema di istruzione. Dietro l’attacco economico, infatti, con la progressiva riduzione dei finanziamenti pubblici a favore di quelli privati, il movimento individua la volontà politica di destrutturare la scuola quale luogo tradizionalmente deputato alla crescita e allo sviluppo critico dell’individuo, a favore di una concezione del sapere asservita alle logiche di mercato e di azienda. La mobilitazione ha intrecciato da subito due percorsi di protesta: da una parte la critica al modello di formazione voluto dal ministro; dall’altra la denuncia dello stato attuale dell’università, conseguenza di anni di cattiva amministrazione condotta dagli atenei dominati da baronie e da logiche clientelari.

Pensieri e idee comuni e condivisi

Le forme con cui quest’Onda ha portato avanti le proprie rivendicazioni (occupazioni, cortei spontanei, blocchi del traffico, lezioni in piazza, autoriduzioni e sit-in) rappresentano la capacità di riattualizzare le pratiche di lotta, attraverso la pluralità e la spontaneità, ma soprattutto di socializzare, cioè rendere comuni e condivisi, pensieri e idee nei momenti assembleari, in cui sperimentare forme alternative dello stare insieme, costruendo così piccoli tasselli di una società radicalmente diversa da quella frammentata e alienante a cui siamo assuefatti. Le partecipate assemblee, quindi, non sono un semplice momento di incontro o di vuota formalità (come le immagini delle sedute parlamentari ci hanno abituato a concepire il confronto politico) ma, esprimendo una dimensione sociale di condivisione e partecipazione attiva, rappresentano la volontà di superamento delle tradizionali forme di rappresentanza e di delega stabilite dalle istituzioni, a favore dell’autorganizzazione e del coinvolgimento di ogni soggetto.
Così, mentre il movimento cresce e si mobilita nelle città, si tracciano le “linee guida” di un’Autoriforma volta a ridisegnare un’Altra università a partire dalle istanze emerse durante le assemblee e i tavoli di lavoro, che hanno visto studenti e precari confrontarsi sui vari aspetti dell’attuale sistema universitario per elaborare proposte alternative. Non si tratta di creare un “pacchetto riforma” da sottoporre all’approvazione del mondo istituzionale che, nella sua articolazione partitica, è stato rifiutato dal movimento in nome della sua autonomia e irrappresentabilità, ma di un progetto in divenire che risponde alla necessità di ricostruire dal basso l’università.
Le rivendicazioni studentesche hanno anche saputo inserirsi in un contesto più ampio, intrecciandosi con le mobilitazioni di tutte le fasce sociali più deboli che vedono ricadere sulle proprie spalle il peso della crisi globale che il sistema produttivo sta attraversando: lavoratori in cassa integrazione e sull’orlo del licenziamento, migranti colpiti da provvedimenti volti alla loro marginalizzazione e criminalizzazione, si sono mobilitati insieme agli studenti, come testimonia lo sciopero generalizzato del 12 dicembre 2008, perché lo slogan-manifesto del movimento, Noi la crisi non la paghiamo, dà voce a questa pluralità di soggetti.
La necessità di allargare il conflitto è stato uno dei maggiori punti di coesione tra le migliaia di studenti riunitisi a Roma durante l’Assemblea nazionale, dove si è partiti dall’idea che l’università sia uno dei principali tasselli del sistema produttivo nel quale lo studente è inserito, e a partire dalla quale si vuole dare inizio alla propria lotta facendo sì che l’università non sia il punto di arrivo, ma un punto di partenza. Non solo, l’Assemblea ha rappresentato un primo momento di incontro collettivo a livello nazionale di tutte le realtà che in più di due mesi di mobilitazione hanno costruito sui propri territori spazi di dibattito e costruzione di modelli alternativi di didattica, di accesso ai saperi, di partecipazione ai processi decisionali e di diritto allo studio. Uno scambio di esperienze e punti di vista, quindi, all’interno della cornice assembleare che ha colto i punti di contatto tra le diverse realtà studentesche e ha cercato di stabilire un’agenda di mobilitazione nazionale.

Contro la verticalizzazione dei processi decisionali

Un elemento è importante sottolineare, perché emblematico di questo movimento: l’assemblea non si è conclusa con la redazione di un documento vincolante per le realtà di movimento, né con la costituzione di una struttura che funzionasse secondo il principio della delega ma, al contrario, ha ribadito e sancito come base costitutiva dell’Onda l’autonomia non solo rispetto ad istituzioni o sigle, ma anche rispetto al principio stesso della verticalizzazione dei processi decisionali. L’Onda, quindi, costruisce sin dall’inizio nelle sue pratiche e negli strumenti adottati pezzi di autoriforma, ossia di un nuovo modo di intendere e vivere l’università.
In questo libro abbiamo voluto raccogliere alcuni documenti prodotti dall’Onda che rappresentano tappe importanti della mobilitazione e della progettualità del movimento. Non è ovviamente possibile, in uno spazio così ridotto, dar voce alle molteplici espressioni di questa lotta; il nostro intento risponde alla volontà di tracciare un percorso di lettura per comprendere ragioni, strumenti e finalità che ne hanno caratterizzato la genesi e lo sviluppo.
Ogni documento è testimonianza di una tendenza divenuta subito prassi costitutiva del movimento: analizzare il reale per costruire azioni che gettino le basi di una progettualità politica di lunga durata.
Per questo motivo l’opposizione contro la riforma dell’università si basa sullo studio specifico della legge che ha costituito la base di un’opposizione critica e cosciente, niente affatto ideologica e sterile, come spesso è stato detto e scritto. Il Dossier sulla 133 è un esempio della capacità di analizzare la legge con un approccio tecnico-giuridico rigoroso, e allo stesso tempo di divulgare tale analisi in modo semplice e accessibile a tutti, rispondendo alla volontà di allargare la conoscenza del testo di legge non solo agli studenti, ma alla cittadinanza tutta. A questo approccio si affianca un’analisi più propriamente politica, come testimoniano gli altri documenti del movimento studentesco.
Il documento di Trento affronta motivi e ragioni della protesta studentesca evidenziando i punti salienti della riforma Gelmini, che porterebbero alla progressiva, ma irreversibile, destrutturazione del sistema universitario come istituzione pubblica a favore di un modello condizionato da interessi privatistici e incapace di un ricambio generazionale della classe docente.
Questa consapevolezza si allarga, con il contributo di Torino, alla rivendicazione dell’autonomia del movimento, che rifiuta la delega non solo nella sua accezione più immediata, ossia quella della rappresentanza, ma nel concetto più ampio del rifiutare che le decisioni determinanti per il futuro di una generazione siano delegate a terzi.

Anche la precarietà è un furto

Il documento di Napoli rappresenta un ulteriore aspetto: la capacità di inserire le trasformazioni del mondo universitario italiano nello scenario mondiale ed europeo in cui si ritrovano le linee guida di una società capitalista che concepisce la formazione secondo le logiche del mercato. Importante è anche l’inserimento della riforma Gelmini entro la tendenza, che accomuna governi di centrodestra e di centrosinistra, a frammentare il sapere (sistema del 3+2) e monetizzarlo (introduzione dei crediti).
Questi diversi aspetti sono rintracciabili nel documento finale uscito dall’Assemblea nazionale di Roma, in cui sono trascritti i report dei workshop che hanno visto migliaia di studenti confrontarsi su didattica, diritto allo studio e welfare, ricerca e formazione. Un panorama, quindi, dei nodi cruciali intorno ai quali ogni realtà di movimento sta lavorando per fornire una risposta concreta sul proprio territorio.
Altrettanto significativo è il documento prodotto dall’Assemblea nazionale degli studenti medi: non solo un avvenimento importante per gli stessi protagonisti, che da anni non si riunivano a livello nazionale, ma anche per la visione comune che tiene insieme l’intero movimento studentesco, il quale ha saputo applicare a ogni grado dell’istruzione il concetto di autoriforma e inserire le proprie rivendicazioni in una lettura generale del sistema capitalista e repressivo, come mostra il riferimento ai fatti gravissimi accaduti in Grecia, con l’uccisione di un giovane quindicenne da parte della polizia.
Ai documenti prodotti dagli studenti seguono due testi, voce di altri due protagonisti di quest’ondata di mobilitazione: per un verso il contributo dei precari della ricerca il quale, attraverso un excursus sulla specificità pisana che può essere esteso a tutte le realtà degli atenei italiani, delinea la condizione di precarietà propria di quella base su cui gran parte della ricerca e della didattica universitaria si basano. Per l’altro il testo sui precari tecnico-amministrativi, che rappresentano un altro tassello fondamentale dell’ingranaggio universitario in cui si intrecciano, come per gli altri soggetti, precarietà economica ed esistenziale.
Non è intenzione di questo libro raccontare la storia e i colori di questo movimento; consapevolmente, e simbolicamente, abbiamo preferito lasciare che fossero gli studenti, con le loro parole d’ordine e le loro analisi sul reale, a raccontarsi. Si sono fatti, quindi, portavoce di se stessi, tratteggiando un autoritratto collettivo che ha scelto di comporre, in un unico mosaico di lotta e rivendicazioni, quei tasselli che le istituzioni vogliono singoli e separati l’uno dall’altro. Poiché il primo, pericoloso passo verso il cambiamento è la presa di coscienza di essere parte di un tutto a cui è stata tolta una dimensione del tempo: il futuro. Questo movimento vuole riappropriarsene combattendo il mezzo tramite il quale le istituzioni hanno compiuto questo furto: la precarizzazione.
Se è possibile considerare la proprietà come un furto, oggi possiamo dire che lo è anche la precarietà.

Studentesse sull’orlo della crisi