sindacati
Sempre meno carota, sempre più bastone
di Cosimo Scarinzi
Il recente accordo-quadro sulla riforma degli assetti contrattuali, siglato il 22 gennaio dalle parti sociali (CGIL esclusa), delinea un nuovo scenario per le relazioni sindacali.
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Quando, per l’ennesima volta, la destra è tornata al governo una delle questioni che si è posta alla nostra discussione è stata la valutazione sulla natura e sugli effetti della sua politica sociale in senso lato e, in particolare, sindacale con riferimento a due possibili scelte:
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un attacco diretto e radicale all’apparato sindacale volto a ridurre i costi che comporta per lo stato e per le imprese una burocrazia pletorica e a definire un rapporto diretto fra imprese private e pubbliche e lavoratori senza una significativa mediazione dei sindacati stessi;
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le reiterazione della politica del precedente governo e, di conseguenza, la ricerca di un rapporto privilegiato, per un verso, con CISL e UIL e, per l’altro, con la galassia dei sindacati autonomi di taglio corporativo come CONFSAL e CISAL e con quelli legati ai partiti di governo come UGL, in quota AN, e Sin Pa, in quota Lega nord, che mettesse in un angolo la CGIL.
Su questo genere di questioni conviene, pena il lasciarsi fuorviare da pregiudizi ideologici quale il convincimento che la destra italiana sarebbe sul serio liberista, lasciar parlare i fatti.
Un buon punto di riferimento può essere, a mio avviso l’accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, un accordo che supera quelli del 1992 e 93 che avevano visto l’accordo di CGIL-CISL-UIL e disegna un nuovo scenario per le relazioni sindacali.
Il primo fatto da cui partire è la firma da parte, appunto, di tutti i sindacati istituzionali con l’esclusione della CGIL e con la valorizzazione di sindacati come UGL e Sin Pa che hanno un peso reale fra i lavoratori decisamente modesto nonostante lo spazio loro assegnato dai media.
L’accordo segue il Protocollo di Intesa del 30 ottobre 2008 per il rinnovo del contratti del Pubblico impiego firmato da CISL, UIL, UGL e Confsal, un protocollo importante perché, proprio in corrispondenza di uno sciopero della scuola straordinariamente riuscito, spaccava il fronte sindacale istituzionale e concedeva al governo contratti decisamente modesti (aumenti del 3,2% delle retribuzioni per il biennio 2008/9 a fronte, solo nel 2008, di un’inflazione calcolata, con prudenza, al 3,3%.
Meno carota
più bastone
Quali sono le caratteristiche nuove dell’accordo quadro?
Se gli accordi degli inizi degli anni ‘90 erano volti, essenzialmente, a comprimere i salari mediante il meccanismo che prevedeva il contenimento degli aumenti retributivi al di sotto della cosiddetta inflazione programmata (ovviamente dal governo) l’accordo quadro, che non abbandona affatto questo obiettivo, si propone essenzialmente di legare le retribuzioni alla produttività e cioè all’andamento delle aziende indebolendo la contrattazione di primo livello, quella nazionale, e dando più spazio, vedremo poi quale, alla contrattazione di secondo livello, quella aziendale.
Per quanto riguarda il contratto nazionale l’accordo prevede di sostituire l’inflazione programmata con l’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. In pratica, si punta ad un’ulteriore riduzione del peso del contratto nazionale dal punto di vista economico. I contratti avranno valore triennale, in luogo dell’attuale situazione che ne vede una durata quadriennale per la parte normativa e biennale per la parte economica. È interessante notare che laddove il governo è anche il padrone si stabilisce che gli eventuali scostamenti fra inflazione reale ed aumenti verranno posti in contrattazione nel triennio seguente. Sembra di vedere quei simpatici cartelli che si trovano in alcuni negozi con su scritto “oggi non si fa credito, domani sì”.
Applicando il tradizionale alternarsi di carota (sempre più piccola e vizza) e di bastone (sempre più duro) l’accordo prevede che “saranno definite le modalità per garantire l’effettività del periodo di “tregua sindacale” utile per consentire il regolare svolgimento del negoziato”.
Ora, se la lingua italiana ha un senso, il termine “effettività” significa che tutte le organizzazioni sindacali, in primo luogo quelle dissidenti, saranno costrette ad una “tregua” utile a non disturbare i manovratori ed a bloccare l’eventuale protesta delle lavoratrici e dei lavoratori.
Qualcuno potrebbe obiettare che ci resta la contrattazione di secondo livello, quella aziendale, quella sulla quale, almeno in ipotesi, i lavoratori hanno maggior margine d’azione.
Peccato che in Italia le imprese che hanno una contrattazione aziendale sono solo quelle medio grandi, un’infima minoranza delle imprese ed una minoranza abbastanza modesta dei lavoratori.
L’inevitabile effetto di questo dispositivo sarà un’impossibilità, per i lavoratori, delle piccole imprese, la maggioranza, di recuperare anche solo parzialmente quanto sottratto loro dall’inflazione. Apparentemente un regalo della grande impresa alla piccola, in realtà un regalo dei grandi imprenditori a se stessi visto che le piccole imprese sono, di norma, indotto delle grandi sulle quali si scaricano le contraddizioni e nelle quali il rapporto di forza fra lavoratori e padroni e sbilanciato a favore di questi ultimi a loro volta sottomessi al dispotismo del grande capitale.
Ma, perché sia chiaro che non siamo di fronte ad una qualche forma di “liberi tutti” l’accordo prevede che la contrattazione aziendale non può toccare questioni trattate nella contrattazione nazionale (art. 11).
D’altro canto l’articolo 16 dell’accordo prevede che “per consentire il raggiungimento di specifiche intese per governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria”. L’apparente contraddizione con l’articolo 11 si risolve facilmente, si può derogare dai contratti nazionali ma lo si può fare in peggio.
Alla “tregua sindacale” generale se ne aggiunge una particolare. Infatti l’articolo 18 dell’accordo prevede che “le nuove regole possono determinare, limitatamente alla contrattazione di secondo livello nelle aziende di servizi pubblici locali, l’insieme dei sindacati, rappresentativi della maggioranza dei lavoratori, che possono proclamare gli scioperi al termine della tregua sindacale predefinita”.
In pratica, in un settore che è sotto tiro, viste le privatizzazioni in cantiere, si è stabilito di garantire ai sindacati “rappresentativi” pesino il monopolio del diritto di sciopero.
«Armonizzare la propria azione con le direttive del Governo Nazionale che ha ripetutamente dichiarato di ritenere la concorde volontà di lavoro dei dirigenti delle industrie, dei tecnici e degli operai come il mezzo più sicuro per accrescere il benessere di tutte le classi e le fortune della Nazione»
«l’organizzazione sindacale non deve basarsi sul criterio dell’irriducibile contrasto di interessi tra industriali ed operai, ma ispirarsi alla necessità di stringere sempre più cordiali rapporti tra i singoli datori di lavoro e i lavoratori»
dall’ordine del giorno approvato il 21 dicembre 1923 nella riunione svoltasi a Roma
sotto la presidenza di Benito Mussolini fra Confederazione Generale dell’industria italiana e Confederazione Generale delle corporazioni fasciste «Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà fra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione».
1927 «Carta del Lavoro» punto IV |
Battaglia antipadronale e antiburocratica
A questo punto una domanda è legittima. Perché, in particolare, CISL e UIL accettano un accordo con simili caratteristiche?
Possiamo dare due risposte fra di loro concordanti:
- l’accordo rafforza notevolmente il potere di controllo degli apparati dei sindacati concertativi sia nei confronti dei lavoratori che degli stessi delegati aziendali e, nello stesso tempo, punta a impedire lo sviluppo di organizzazioni sindacali di classe e conflittuali;
l’articolo 4, forse il più importante da questo punto di vista, stabilisce che “la contrattazione collettiva nazionale o confederale può definire ulteriori forme di bilateralità per il funzionamento di servizi integrativi di welfare”. Traduciamo in italiano, già adesso esistono svariati enti bilaterali, gestiti dai sindacati concertativi e dalle associazioni padronali e finanziati con trattenute coatte sulla busta paga dei lavoratori, enti che sono macchine mangiasoldi e meccanismi di finanziamento della burocrazia sindacale. Con l’accordo ad enti di questo genere verranno affidati nuovi ed importanti compiti per quanto riguarda assistenza, collocamento ecc.. se li sommiamo ai fondi pensione ed alle mille forme di finanziamento pubblico e privato, lecito ed illecito ai sindacati istituzionali ci rendiamo conto che, ad onta delle polemiche degli avversari a un tanto al chilo della “casta” siamo di fronte ad un robusto modello corporativo.
Ancora una volta la burocrazia sindacale ha brillantemente gestito lo scambio fra privilegi per sé e diritti dei lavoratori. Ancora una volta è evidente la necessità di una battaglia contemporaneamente antipadronale ed antiburocratica.
Cosimo Scarinzi
Segretario nazionale
Cub Scuola
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