Rivista Anarchica Online


 

Viaggiatrice
d’occidente

Gianna Ciao è morta il 27 ottobre 2008, è partita per il viaggio più lungo, che nominava, quando la sentivo per telefono, con una lieve pausa tra una parola e l’altra, lasciando come uno spazio tra le parole e alla fine della frase. Credo fosse il rispetto che si deve al non conosciuto. Artista raffinata, fotografa e scrittrice, profondamente colta e a lungo viaggiatrice, parlava volentieri non solo dell’arte, delle scritture e degli scrittori che amava, ma del senso umano residuo che abita la nostra specie e di riflesso la politica di chi si oppone ai soprusi.
Aveva conosciuto molti dei personaggi che hanno fatto la cultura del secolo scorso. Amica, tra gli altri, di Prévert e di Mirò, di Marlene Dietrich (1) e di Suzanne Solidor e profondamente anarchica nel suo vedere oltre se stessa e i circoli intellettuali, tanto che durante la guerra aderì al Partito D’Azione dopo aver assistito al rastrellamento del ghetto ebraico di Roma.
Di famiglia benestante nacque a Roma il 21 dicembre1922, ma visse l’infanzia praticamente a Follonica. Del periodo del fascismo diceva: “Col fascismo si accumulavano le giornate storiche, le uniformi in mutamento accentuato. Gli italiani intanto giocavano agli antichi romani”. (2) Le ultime fotografie sono dedicate alla “Maremma com’era”. (3)
Dopo un breve matrimonio di cui diceva solo: “fu un ballo in maschera” (4), lavorò nel dopoguerra come critica d’arte per un’importante galleria di Firenze e poi visse all’estero, nel sud della Francia, a Saint-Paul-de-Vence, con la donna che fu la sua compagna di vita.
L’ho conosciuta nell’estate del 2006 a Follonica dopo una sua prima telefonata in cui voleva parlarmi del mio libro che amicizie comuni le avevano fatto leggere. Trascorsi con lei una bella giornata estiva in quella sua minuscola casa a due passi dalla spiaggia e dal mare. Parlammo di tutto e mi colpì la sua curiosità non solo per quanto scrivevo, ma per le condizioni materiali in cui questo avveniva. La interessava ogni aspetto della vita. Aveva un rispetto profondo per le vite difficili, per la fatica della gente comune e per le donne che con notevole sforzo e sacrificio mandano avanti le cose.
I suoi viaggi, specie quelli in oriente, erano stati fondamentali. Fin da giovanissima leggeva gli autori in lingua originale e a guerra finita, quando arrivarono i libri, soprattutto di inglesi e americani, approfondì la sua già notevole cultura. Questa cultura traspare dai suoi scritti ed era evidente nel suo discorrere.
Il catalogo Navigare di Bolina (5) oltre a riprodurre alcuni dei suoi lavori offre uno spaccato della scrittura di Gianna Ciao. Scrittura molto diretta, senza affettazioni. L’epitaffio con cui comincia del resto è: Fui una bestia coraggiosa.
Leggendo si trovano frasi che hanno il sapore di sentenze, ma mai campate in aria: “Credo che il più forte contributo all’antinazionalismo sia il Finnegan’s Wake; nel campo della libertà contribuisce ad affermare che è un diritto dello spirito dare un significato alle cose”. (6)

L’impressione che l’anarchismo di Gianna Ciao, oltre a nascere dal suo senso dell’umano, sia stato rafforzato dalla lettura di certi autori mi viene dalle sue parole e dagli amori intellettuali-poetici che ne hanno accompagnato il cammino e lo sguardo visionario.
L’universale poetico mi mise le mani addosso contribuendo al fervore che mi avrebbe legata a Dino Campana. Non ci sono risposte all’ingiustizia dell’esistenza, il sesso non è naturale, il linguaggio non è comunicazione. Il soggetto della letteratura è il più reale dei soggetti e non serve salvo che a suggerire la verità. Campana influenza la mia vita nella sua situazione visionaria piena di tensioni drammatiche fra lui e il mondo in stato di decomposizione”. (7)
Dei lunghi anni vissuti in Francia diceva di amare, oltre a chi vi aveva incontrato, l’isola dei Re dove tempo prima i forzati per la Caienna venivano imbarcati.
Tra le arti seguiva anche musica e cinema. La musica forse di più. Del cinema aveva ammirato Valentino, dedicandogli una delle sue foto e poi la Dietrich che conosceva. Dopo la morte dell’attrice Gianna Ciao andò a visitarne la tomba, adempiendo mi disse a una vecchia promessa.
Le ultime mostre con i suoi lavori le tenne in Italia ricevendo molti riconoscimenti. Carla Vasio nella prefazione al volume Le Diserzioni fotografiche scrive: “Si è detto che le foto di Gianna Ciao sono trasgressive, e questo è innegabile. Ma penso che non sia soltanto per il modo originale di manipolare il negativo fino a togliergli qualsiasi immediato riferimento a una realtà “vista”, ma soprattutto perché della realtà ci trasmettono una immagine alterata che tuttavia è molto più vera di qualsiasi constatazione diretta”. (8)
C’è una lunga intervista a Gianna Ciao, raccolta da Elena Biagini, poi confluita nel saggio a firma della stessa Biagini nel volume Fuori dalla Norma: storie lesbiche nell’Italia del primo novecento, a cura di Nerina Milletti e di Luisa Passerini. (9)
Nella prima edizione del libro la foto di copertina era quella di Gianna Ciao scattata a Firenze nel 1946 ed era in divisa di ufficiale dell’UNRRA (United Nation Relief and Rehabilitation Administration, Ente delle Nazioni Unite per il soccorso e la ricostruzione). Gianna Ciao prestò servizio per l’UNRRA come ufficiale di collegamento tra l’Italia e gli alleati. L’intervista è centrata sul tema del lesbismo in epoca fascista. Come molte donne Gianna Ciao aveva trovato un suo modo per vivere questa inclinazione. Quando la incontrai compresi che la parola troppo esplicita, che generazioni di ragazze dopo di lei avevano rivendicato, la metteva ancora in imbarazzo. Elegantemente trovò comunque le parole per raccontarsi.
Un ultimo stralcio, che amo particolarmente, sul mare e sui marinai e su un libro che avevo letto anch’io più o meno nella stessa età in cui lo aveva letto lei decenni prima: “Le navi che prendono il largo dai porti, al tramonto, sfiorano la latitudine come residenze in movimento. Il mare uccide le precauzioni, accentua l’irrecuperabile, conferma il vascello fantasma. Ci sarà sempre un marinaio con l’albatro al collo, un Billy Budd impiccato al pennone, navi con equipaggi di morti”. (10)
Un imprevisto mi ha impedito incontrarla una seconda volta e di farle un’ultima intervista in cui volevo raccontasse più a fondo una delle donne che aveva conosciuto e che è immortalata in molti ritratti di pittori noti.
Questo breve ricordo è un atto riparatore.

Nadia Agustoni

Note

  1. In Fuorispazio; qui: http://www.fuorispazio. net/def_archive_pageshow.php?direktorijum=Aprile_2001&fajl=galleria.htm.
  2. Gianna Ciao; Navigare di bolina, pag. 17; Artrè, Galleria d’Arte, settembre 2005.
  3. Dalla conversazione che ebbi con lei nell’estate 2006.
  4. Gianna Ciao; Navigare di bolina, pag. 31, 2005.
  5. Gianna Ciao; Navigare di bolina; 2005.
  6. Ibidem; pag. 17.
  7. Ibidem; pag. 19.
  8. Come alla nota 1.
  9. Nerina Milletti, Luisa Passerini; Fuori dalla norma: storie lesbiche nell’Italia del primo novecento; “R/esistenze – giovani lesbiche nell’Italia di Mussolini” di Elena Biagini (pp. 97-133). Rosenberg & Sellier Editori 2007.
  10. Ibidem; pag. 15.


La totalità delle arti
come libertà

Utilizzare con rigore ed invenzione tutti i linguaggi artistici. Scardinare. Profanare. Infrangere. E raccontare – senza alcun falso pudore – se stessi. È questo il vero “dovere” degli artisti del contemporaneo (qualsiasi cosa possano blaterare i “sistemici dell’arte”, qualsiasi diktat possano stabilire gli affaristi di quel barbaro processo finzionale che è diventato il mondo della creatività, qualsiasi forzatura possano operare i cinici dell’arte che hanno “capito dove corre il mercato”).

Costabile Guariglia

Originale e libertario “assalitore” di forme e processi espressivi è Costabile Guariglia. Artista che celebra (nella complessità dei suoi attraversamenti visivi, scultorei, audiovisivi, performativi) la voracità del corpo e delle sue trasformazioni. E lo fa riempiendo lo spazio, accelerando verso i temi della bio-politica, costruendo concettualmente e fisicamente la propria visionarietà d’artista. E spezzando le retoriche di un pensiero “dominante” nel segno di una pratica della totalità delle arti come azione libertaria. È soprattutto nella dimensione di “operazioni composite” che miscelano assieme differenti linguaggi, forme e stili che Costabile Guariglia indica la propria priorità espressiva e d’artista totale. Indicandoci, al contempo, una sua forza naturale e sorgiva.
Una forza che è in grado di farlo orbitare, con riuscita disinvoltura, all’interno di tutte le espressioni dell’arte (non meravigli quindi il suo continuo ibridare le creatività: il teatro e la pittura, il video e la matericità della scultura, l’azionismo di body artist e le installazioni… Non meravigli la voluta disomogeneità che lo abita, Costabile è di quelli che azzardano e costruiscono il mondo senza paura, senza frontiere o senza banali concessioni). Basti pensare ad alcune sue operazioni come: “Volo sospeso” (una struttura di oltre tre metri che è il racconto concettuale dell’utopia contro ogni dimensione di guerra). Oppure l’evento – dal taglio rigorosamente nomadico – come “Track” dove Costabile ripropone un suo viaggio nel deserto. “Track” è un viaggio a tre “anime” fatto di danza purificatrice e liberatoria, pittura con tecniche miste ed infine un’installazione composta da nove scatole in legno (preziosa riflessione dedicata al concetto di “accumulo di forme spettacolari” di Guy Debord che assieme a Joseph Beuys sono tra gli orizzonti di riferimento teorico-operativo-emozionali di questo viaggio).
Altra azione di nevralgica centralità è rappresentata dalla ciclicità espositiva di “Tripzoit”, ovvero un attraversamento delle arti anche questo diviso in tre “capitoli” tra ansia concettuale, esplosione dei modelli del quotidiano, oggetti ritrovati, logiche combinatorie, assalto vitalista e scandaglio nella nostra interiorità. Il tutto senza dimenticare un ulteriore lato che caratterizza la militanza artistica di Costabile Guariglia: la sua tensione organizzativa. Un impegno che da qualche tempo lo ha portato a riflettere sull’opera complessiva di un grande “anomalo” del Novecento di nome William Burroughs (cui Costabile sta lavorando tra eventi, performance, concerti e retrospettiva video). Quel beat che scrisse “parole, colori, luci, suoni, pietra, legno, bronzo appartengono all’artista vivente. Appartengono a chiunque sappia usarli. Saccheggiate il Louvre!”. Un invito al “saccheggio” che è assoluta linfa per gli artisti totali ed instancabili come Costabile Guariglia.

Alfonso Amendola


Per un nuovo umanesimo
anarchico

Si intitola così (sottotitolo: “Realismo di un progetto libertario”) il volume che il nostro collaboratore Andrea Papi ha appena pubblicato per le edizioni Zero in Condotta. Il volume (106 pagg.) costa 10,00 euro. Richieste e versamenti:conto corrente postale 14238208 intestato ad AUTOGESTIONE, Casella Postale 17127, 20170 Milano. zero@tin.it cell. 377145518. Ne pubblichiamo l’introduzione.

Scrivo questo libro per il piacere di farlo e per il desiderio di riuscire a esprimere i sentimenti profondi che mi pervadono quando mi immergo nella tensione ideale. Ogni volta mi regala una meravigliosa sensazione: mi fa intravedere e comprendere la bellezza dell’anarchia. Ma non è mia intenzione fluttuare superficialmente tra barocchismi estetizzanti, come potrebbe far supporre l’uso della parola “bellezza”. L’estetica appena annunciata è un’autentica estetica del sentire, sia dell’intero apparato sensoriale, sempre coinvolto, sia dei potenti sommovimenti interiori che da sempre mi sconquassano l’anima per elevarmi lo spirito verso godimenti di verità e di sogno, impossibili da trasmettere nella loro completezza.
Sono invero spinto dal bisogno di cercare di comprendere fino in fondo e di trasmettere il senso meraviglioso, di libertà e di liberazione di energie, racchiuso nell’idea anarchica, che ha dato senso alla mia vita e lo dà a quella di tanti/e altri/e fratelli e sorelle di vita e di pensiero. Lo farò con analisi, riflessioni e ricerca di senso, nel tentativo difficilissimo di rendere e comunicare, attraverso la parola scritta, la gioia del pensare e della ricerca di conoscenza che mi suscita sempre il navigare nell’oceano di libertà, di amore e di luce che ai miei occhi e al mio cuore è l’utopia anarchica.
L’anarchia dei nostri sogni corrisponde a una condizione sociale diffusa e condivisa in cui il senso della vita è legato al cercare come vivere al meglio per tutti. Dove si pensa e si agisce spinti da un sentimento spontaneo diretto verso se stessi e gli altri con cui condividiamo sofferenze e gioie dell’esistere. Dove la ragione di vivere non è il bisogno/ricatto del lavoro, ma il piacere di vivere. Dove usufruiamo tutti delle ricchezze offerteci dall’abbondanza del pianeta che ci ospita per soddisfare i nostri bisogni e i nostri piaceri, senza accumulare ricchezze personali per ridurre gli altri in schiavitù o servaggio. L’abbondanza di beni del pianeta non può e non dev’essere più proprietà esclusiva di nessuno, né individuo, né gruppo, ristretto o ampio non ha importanza, né specie. Di tutti significa di ogni essere vivente, pianta o animale che sia. L’usufrutto equamente distribuito e il soddisfacimento solidale sono un bene prezioso che l’anarchia si sente di realizzare.
Perché non dovrebb’essere possibile pragmaticamente, come sostengono i pilastri del potere che incombono sulle nostre vite, quando è possibile concepirla e desiderarla? Forse perché un manipolo di criminali ha deciso che non può che essere così com’è ora e che obbligatoriamente dobbiamo continuare a massacrare, distruggere, pauperizzare, soffrire e far soffrire? Forse perché quel manipolo, con la forza e la prepotenza, si è arrogato il diritto di appropriarsi dei beni che sarebbero di tutti e di goderne escludendo gli altri, comprese le altre specie? Bhé! Allora, se lo sfascio che stiamo vivendo non è ineluttabile né obbligatorio, com’io credo, e c’è soltanto perché degli spietati autoritari senza scrupoli son riusciti ad imporre il loro nefando volere, e noi finora glielo abbiamo permesso, allora è giunto il tempo di dire basta, di ribellarsi e di riportare le cose ad uno stato più vicino possibile alla loro naturale naturalità. Gli anarchici, che ne sono coscienti, devono diventare in grado di suscitarne il desiderio e di farlo.
Il sogno dell’anarchia, luogo utopico che ancora non c’è, ma che nei nostri cuori è destinato ad essere costruito col concorso di tutti i diseredati che ora soffrono, non è altro che un atto d’amore verso l’umanità e verso se stessi, perché per gli anarchici autentici il vero godimento e la vera attuazione ci potranno essere solo se ciò che si riuscirà a realizzare sarà goduto e condiviso in pienezza e in armonia con tutti.

Andrea Papi


L’affascinante
segreto di Leda

Per quanto si possa dire di conoscere tutto o quasi di Leda Rafanelli, la sua eclettica e imprevedibile personalità ci rammenta insistentemente che la sua è una figura sostanzialmente inafferrabile e difficilmente descrivibile. Forse solo questo libro, che raccoglie gli atti dell’interessante convegno di studi organizzato dall’Archivio Famiglia Berberi-Aurelio Chessa e tenutosi a Reggio Emilia il 27 gennaio 2007 (Leda Rafanelli tra letteratura e anarchia, Atti della giornata di studi, a cura di Fiamma Chessa, Reggio Emilia, 2008), può, nella varietà e complessità degli interventi, offrire un contributo definitivo alla comprensione di una delle figure più affascinanti e interessanti della vita letteraria e sociale del Novecento.
Leda Rafanelli, infatti, riunisce, nella sua agitata esistenza, molti dei luoghi topici della cultura del secolo scorso, dall’impegno sociale a fianco del proletariato all’idea di emancipazione femminile, dalla attività editoriale a quella pubblicistica nei fogli sovversivi, dalla scrittura impegnata a descrivere una realtà non edulcorata, alla ricerca interiore di un esotismo che preannuncia, in un certo senso, lo spiritualismo che coinvolgerà, dopo le passioni ideologiche, parte della gioventù degli anni della contestazione. E di tutti questi aspetti ci viene offerto un quadro che ci permette di affrontare con un nuovo sguardo la storia di Leda e, anche, a tratti, di chi più le è stato vicino.
Nella giornata reggiana dedicatale, si sono susseguite, infatti, numerose relazioni, che hanno permesso di intraprendere un bel viaggio nella vita di Leda, non solo passando per la sua autobiografia, compiutamente ripercorsa nella bella relazione introduttiva di Alessandra Pierotti, ma anche per le possibili, o più propriamente impossibili, relazioni e contiguità fra religione, in questo caso islamica, e anarchia, fra ateismo e agnosticismo conclamati e spiritualità mediata attraverso le costrizioni logiche del dogma. Luca Scarlini, nella sua colta relazioni ricca di spunti e raffinate suggestioni intellettuali, ha cercato di creare una sorta di genealogia per l’anarcoislamismo della Rafanelli, nobilitando quella scelta accostandole esempi di altre “conversioni” che hanno segnato la vita artistica di un periodo fortemente influenzato dalla ricerca dell’esotismo. Stimolante e avvincente senza dubbio, anche se l’anarchismo da lui proposto a paradigma, non è certamente l’anarchismo classico che siamo abituati a conoscere. Anche nell’intervento di Gabriel Mandel Khân si possono cogliere alcune contraddizioni rispetto all’assunto originario, e infatti l’accostamento che propone, dell’intenso spiritualismo di Leda al sufismo, pur poggiando su alcuni aspetti convincenti, non riesce comunque a spiegare fino in fondo la natura e la coerenza di quella “conversione” anomala e contraddittoria.
E su questa supposta contraddittorietà, è intervenuto, e penso con ragione, Enrico Ferri, che ha spiegato come quella convinzione fosse più un prodotto della temperie culturale tipica dei tempi, che vedeva nell’Oriente, nella idea di Oriente, una utopia di libertà intellettuale e di evasione da una società ferocemente costrittiva, che non una accettazione assoluta della religione mussulmana. Adesione emotiva, dunque, fortemente spirituale e ideale, piuttosto che la piena sottomissione a un sistema di regole, credenze e imposizioni assolutamente tassativo per tutti i “credenti”. Del resto, contestualizzando questa scelta che risale a un secolo fa, non possiamo non considerare come l’immagine dell’Islam, in questa epoca di rinascita integralista e di forte emigrazione islamica in Europa, sia profondamente mutata, caricandosi di segni spesso negativi e comunque inimmaginabili ai tempi della Rafanelli. Leda, quindi, da buona anarchica, si fa mussulmana più per abitare un suo mondo nel quale sentirsi libera e irraggiungibile, che non perché confidasse davvero in una entità superiore immanente e depositaria dei nostri destini. Del resto anche l’attività di chiaroveggente e chiromante, che affermava essere coerente conseguenza della propria religiosità, non poteva essere assolutamente in linea con l’ortodossia che avrebbe dovuto osservare. Vista così, dunque, per noi anarchici atei e materialisti che continuiamo a pensare che “fede e ragione” non possano incontrarsi seriamente, ci viene da sentirla ancora più vicina e affascinante.
Ma Leda Rafanelli non fu solo l’eccentrica chiaroveggente, strega e maga di cui si è detto, ma anche una protagonista della vita culturale e intellettuale della Milano di inizio secolo, sapientemente capace di diversificare la propria attività a seconda dei soggetti ai quali si rivolgeva. Attivissima propagandista e militante libertaria, ha pubblicato una vera e propria messe di opuscoli e libelli di propaganda spicciola destinati al proletariato; fine scrittrice, con un ruolo molto più importante di quello che le viene comunemente assegnato nel panorama letterario, ha scritto romanzi e bozzetti sociali ancor’oggi affascinanti; attenta alla forme di espressione artistica che venivano mutando il panorama culturale italiano, ha saputo stringere rapporti e liasons con l’effervescente ambiente “controculturale” e anticonformista dell’epoca; conscia dell’importanza della diffusione delle nuove idee e riflessioni che offrissero eclettici strumenti di conoscenza all’inquieta società uscita dalla Grande guerra, ha contribuito, assieme a Giuseppe Monanni, alla nascita e alla vita di una delle più innovative editrici italiane, quella Casa Editrice Sociale della quale ha tratteggiato i contorni Franco Schirone, senza dubbio il maggiore “esperto” italiano sull’argomento.
Alberto Ciampi, che già in altre occasioni si è occupato di Leda con un affetto che “solo amore e luce ha per confine”, ha mostrato come la sua evoluzione artistica e culturale ha risentito non solo delle sue travagliate esperienza di vita, laddove coniugava il proprio innato senso estetico all’amore e alle suggestioni dell’Oriente, ma anche dei riflessi degli ambienti artistici dell’avanguardia milanese. Mattia Granata, infine, ripigliando precedenti studi quanto mai interessanti, facenti capo al lungo carteggio fra Leda, Carlo Molaschi e Maria Rossi, ha messo in relazione i passaggi della vita personale e privata di Leda con l’evoluzione ideologica e organizzativa dell’anarchismo individualista milanese, che negli anni a cavallo della guerra, maturava gradualmente dalle tipiche posizioni superomistiche e stirneriane a una concezione dell’anarchia, e dell’azione anarchica, più organizzativa e solidale. Mostrando così quanto fosse organico il rapporto della mussulmana anarchica con l’anarchismo organizzato e militante.
In appendice al volume, dopo l’utile cronologia curata da Fiamma Chessa, un prezioso e inedito repertorio fotografico, attraverso il quale si può ripercorrere, dall’infanzia alla vecchiaia, tutta la vita di Leda, accompagnata dalle immagini dei suoi cari e di quanti le furono vicino. Ed è uno sguardo, il suo, avvolto in un’aura di mistero. Uno sguardo che la rende ancora più seducente e che spiega, nella sua penetrante profondità, il perché delle sue scelte, quelle che ancora, nonostante tutto, rimangono l’affascinante segreto custodito nel suo cuore.

Massimo Ortalli

Bollettino
dell’Archivio Pinelli

È uscito il Bollettino n.32 dell’Archivio G. Pinelli.

Il costo è 6,00 euro spese di spedizione comprese

Per richieste
c/c postale n. 14039200 intestato a
Centro studi libertari, Milano
o bonifico bancario sul conto
IT53M0760101600000014039200

Indice Bollettino 32

*Cose nostre*
• Una scultura per Pinelli
• A vele spiegate con il pirata Misson
• Ruben Prieto (1930-2008)

*Tesi e ricerche*
• Note introduttive per una storia dell’anarchismo milanese
di Fausto Buttà
• Anarchismo e governamentalità
di Nildo Avelino

*Memoria storica*
• La Comunidad del Sur
di Ruben Prieto
• García Lorca e i banderilleros
anarchici
di Pietro Masiello

*Biografie*
• Fabrizia Ramondino, scrittrice, educatrice, compagna libertaria
di Giovanna Gervasio Carbonaro
• Kurt Wafner, il cacciatore di farfalle
di Hans Müller-Sewing

*Informazioni editoriali*
• Il milieu anarchico nella Belle époque
di Stefano Boni


• Virus Editorial: breve
autopresentazione
a cura di Andrea Staid

*Storia per immagini*
• FBI VS. CAE
di Mauro Garofalo

*Cover story*
• Ricordando John, ovvero Vincenzo
di Paolo Finzi

*Incontri*
• Il dono della libertà: Albert Camus e i libertari
di Alec Mandic
• Convegno di studi dell’Anarchist Studies Network

*Varie ed eventuali*
*CURIOSITÀ*
• Mountain bike e bandiera rossonera
di Patrizio Biagi
• La tredicesima prova della inesistenza di dio
• Anarchino abita qui

*EFFERATEZZE*
• Blob anarchia

*Centro Studi Libertari*
via Rovetta 27, 20127 Milano – tel. 02 28 46 923 fax 02 28 04 03 40
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