È strano, se ci pensate,
il clamore suscitato in questi giorni dalle opinioni del vescovo
Williamson, quello che ha festeggiato la revoca della scomunica
dalla quale era stato colpito in quanto esponente della comunità
scismatica tradizionalista di monsignor Lefebvre, dichiarando
che la Shoah, a suo avviso, non ha mai avuto luogo e che le
camere a gas a tutto potevano servire fuorché ad ammazzare
degli esseri umani. È un punto di vista ovviamente
abominevole e contrario a ogni evidenza storiografica, ma
piuttosto diffuso negli ambienti antisemiti e del fatto che
un membro di quella confraternita sia e si dichiari antisemita
non ci si dovrebbe stupire. Dal punto di vista giornalistico,
anzi, si tratta di una tipica non notizia, sul modello cane-morde-uomo.
Quella comunità – che non a caso è intitolata
alla memoria di papa Pio X, il feroce persecutore del modernismo
– è stata costituita per conservare e proseguire
la tradizione della chiesa preconciliare e la tradizione della
chiesa preconciliare, come ci è capitato di osservare
già parecchie volte, è appunto antisemita. Che
poi tra tutte le forme possibili di antisemitismo quei signori
abbiano uno speciale interesse per il negazionismo, come si
definisce, di solito, l’atteggiamento di chi mette in
dubbio il genocidio perpetrato dal nazismo, è altrettanto
ovvio. Quella dottrina (chiamiamola così) ha il vantaggio
per chi la professa di permettere di essere antisemiti in
modo, per così dire, implicito, senza compromettersi
con argomentazioni razziali o teologiche ormai preterite.
Sarebbe difficile, ormai, in tempi di genetica del DNA, sostenere
il concetto di inferiorità biologica delle popolazioni
non ariane o riesumare, come se nulla fosse, un’accusa
che la chiesa stessa ha lasciato cadere da un po’ come
quella di deicidio, ma sugli orrori della seconda guerra mondiale
si può sempre discutere e una certa discordanza di
opinione sul bilancio delle vittime, spostando il dibattito
su un piano, per così dire, non ideologico, come quello
dell’accertamento della verità storica, può
sembrare a prima vista accettabile. Il fatto che il negazionismo
sia considerato un reato dalla legislazione di un paio di
paesi europei non è particolarmente grave, visto che
è abbastanza evidente l’inopportunità
di considerare un reato una opinione, per quanto folle e pericolosa.
Sincero rammarico?
Naturalmente, la situazione è un poco più complicata.
Una volta dichiarato pubblicamente che la Shoah è una
invenzione propagandistica, bisognerà individuare e
denunciare chi l’ha elaborata e diffusa e questo offrirà
il destro di rimettere in auge quella leggenda della “congiura
degli ebrei” che, dai tempi di Filippo V di Francia
a quelli dei Protocolli dei savi di Sion, cioè dal
XIV al XIX secolo della nostra era, è servita da motivazione
più o meno occulta di ogni incitamento all’odio
antiebraico, ma questo non è necessario dichiararlo
in esplicito: basta darlo per sottinteso. È per questo,
dicevo, che si può parlare del negazionismo come di
un “antisemitismo implicito”: implicito, piuttosto
ipocrita e in quanto tale – se permettete – tipicamente
ecclesiastico. Come piuttosto ipocrite e molto clericali sono,
se ve le andate a rileggere, tutte le dichiarazioni di monsignor
Williamson, dalle sue prime esternazioni sul tema alla recentissima
lettera in cui esprime “sincero rammarico” per
aver creato “tante tensioni e problemi non necessari”
al Santo Padre con la tremenda tempesta mediatica” causata
da certe sue “imprudenti osservazioni”, ma si
guarda bene dallo smentirle in alcun modo.
Sembra che in Vaticano di queste parole ci si sia compiaciuti,
ma non accontentati e che all’ex vescovo scismatico
sia stato chiesto, espressamente da parte del cardinale Re,
prefetto della Congregazione dei Vescovi, di “fare chiarezza”
sul tema della Shoah. E questo è strano, perché
nelle dichiarazioni di Williamson e di quei suoi confratelli
che le condividono (compresi quei due o tre monsignori italiani
con cui i ministri Maroni e Calderoli amavano tanto farsi
fotografare e chissà cosa ne pensano oggi) l’unico
elemento che non ha mai fatto difetto è appunto la
chiarezza. Ha sempre detto apertis verbis che gli ebrei morti
nei campi di concentramento non sono stati più di due
trecentomila (dal suo punto di vista, evidentemente, una piccolezza)
e, specialmente “non nelle camere a gas”. Un problema
storico, come fa notare anche il cardinale Re, ma non dottrinale,
tale dunque da permettere a un vescovo di dire liberamente
la sua (perché la libertà di parola i tipi come
Williamson la negherebbero volentieri agli altri, ma per sé
la rivendicano, eccome) e ininfluente dal punto di vista della
revoca o del mantenimento di una scomunica, ma non esattamente
il biglietto da visita con cui ci si aspetterebbe che si ripresenti
un ex reprobo riammesso nel senso della chiesa. Onde tutto
il casino che ne è seguito e l’evidente imbarazzo
in cui, una volta tanto, si è trovata la Curia Romana.
Tecnica non nuovissima
In realtà, quella che si ricava da tutto il giro delle
dichiarazioni, delle accuse, delle controaccuse, delle scuse
e delle controscuse che si sono succedute è l’impressione
che un simile ambaradan in Vaticano proprio non se lo aspettassero.
Al papa interessava, per motivi suoi, chiudere lo scisma con
la “Fraternità San Pio X” e del fatto che
ai suoi vertici ci fosse un antisemita dichiarato non s’era
dato per nulla pensiero e le circostanze, per di più,
non gli sono state propizie, perché la revoca della
scomunica è arrivata proprio in coincidenza con la
Giornata della Memoria e il contemporaneo riaccendersi delle
polemiche sull’antisemitismo provocate dalle accuse
interessate dei sostenitori della politica del governo israeliano.
Tuttavia, si potrebbe ipotizzare che la “tempesta mediatica”
di cui sopra al Vaticano non sia stata del tutto inutile,
perché gli ha permesso, se non altro, di organizzare
una dialettica tra un corpo ecclesiastico “sano”,
stretto attorno al pontefice e mondo di qualsiasi colpa o
tentazione in quel senso, e una sorta di “scheggia impazzita”,
cui chiedere scuse e ritrattazioni in gran copia. È
una tecnica non nuovissima, ma funziona sempre. In questo
caso ha impedito che la gente si ponesse il problema del perché
fosse tanto importante per i vertici della chiesa inglobare
senza residui quella scheggia nella propria struttura. Ma
resta il sospetto che piuttosto che rispondere a questa domanda
il papa preferisca far finta di essere, come si dice, caduto
dal pero.