Rivista Anarchica Online


Gaza

Logica militare di stato
di Andrea Papi

Perché è impossibile schierarsi con una delle due parti in lotta nel Medio Oriente.
Spunti di riflessione a guerra finita, ma con i problemi ancora tutti aperti.

 

La guerra di Gaza del gennaio 2009 è un avvenimento ormai sorpassato dall’attualità, che nel frattempo è riuscita a coinvolgere le nostre attenzioni su altri fatti di cronaca.
Nell’attuale contesto di fruizione mediatica il succedersi degli accadimenti travalica e trascende la partecipazione emotiva degli individui, utenti di un presunto “servizio” che più che servirli è un’arma usata oculatamente con lo scopo di tentare d’imbonirli. Ma la tragicità e la problematicità lontana da ogni soluzione a breve o media scadenza di quella situazione, allo stato delle cose all’apparenza immutabile, continueranno ad incombere e ad essere vive più che mai, lasciandoci attoniti e impotenti per l’irriducibilità insita del nichilismo estremo di cui è impregnata.
Il 27 dicembre 2008, senza preavviso, l’esercito israeliano inizia un bombardamento sistematico e dilaniante invadendo la striscia di Gaza. Dopo 22 giorni, dopo aver lasciato un cumulo di macerie incalcolabile, 1.300 morti e più di 5.000 feriti, lo stato d’Israele dichiara un cessate il fuoco unilaterale. Il giorno successivo anche Hamas dichiara il cessate il fuoco per una settimana, a condizione che le truppe d’invasione nemiche abbandonino definitivamente il territorio di Gaza. Cosa che l’esercito israeliano mette in atto prontamente, non certamente però intimorito da Hamas, ma per decisione propria dettata dall’opportunità politica del momento, in particolare per l’insediamento ufficiale di Obama alla Casa Bianca il giorno dopo e per la pressione delle diplomazie internazionali, che non avrebbero potuto sostenere ancora a lungo l’impatto delle immagini del massacro sistematico dei bambini e della popolazione palestinese.
È proprio con le interruzioni momentanee dell’uso delle armi da parte di entrambi che i due contendenti hanno mostrato il volto delle loro intenzioni, smascherando in parte i rispettivi allucinanti disegni guerrafondai. Sembrava di assistere alle dichiarazioni dei politici di casa nostra immediatamente dopo i risultati elettorali ai tempi della proporzionale, quando in diretta televisiva, suscitando lo stupore dei telespettatori, ogni leader di partito con gran faccia tosta dichiarava la soddisfazione per i risultati ottenuti, indipendentemente dai conteggi effettivi. Sembrava che tutti avessero vinto e nessuno avesse perso.

Criminale supponenza

Gli israeliani dichiaravano di aver raggiunto gli obbiettivi che si erano proposti mostrando la convinzione di aver debellato Hamas. Il che è chiaramente falso, dal momento che il lancio di missili contro il sud di Israele, seppur notevolmente affievolitosi, ha continuato imperterrito durante tutte le fasi del conflitto. Ma è stato stupefacente lo stesso Hamas che, per voce del leader integralista Haniyeh suo rappresentante ufficiale, ha trionfalmente dichiarato di aver conseguito una grande vittoria, dal momento che l’operazione “piombo fuso” si era dimostrata un fallimento. Vittoria difficilissima da credere ed accettare, dato il numero elevatissimo di perdite rispetto a quello esiguo dell’altra parte, oltre allo smantellamento subito di postazioni militari e all’enormità di distruzione sul territorio: 5.000 case, 20 moschee e 16 uffici governativi rasi al suolo, mentre altre 20.000 case seriamente danneggiate, per un ammontare calcolato di oltre un miliardo e mezzo di dollari, senza contare i danni alla rete elettrica, all’acquedotto, alle fognature e alle infrastrutture in genere. Parlare di vittoria perché non li hanno del tutto eliminati rasenta il delirio.
Di fronte a tanto cinismo di comica convenienza politica ci sarebbe da sganasciarsi dalle risate se, in tutta evidenza, non fossimo davanti ad una tragedia senza fine e senza sbocchi, che costa ogni volta la vita e la dignità di tanti poveri cristi, di donne, di bambini, di anziani, sistematicamente triturati con vile sagacia dalla criminale supponenza, da una parte e dall’altra seppur con ragioni contrastanti e contrapposte, di una pura volontà di dominio. Dietro tutto ciò c’è una cultura della violenza, dell’autoritarismo politico portato all’estremo, di un’irrazionale fede cieca abbarbicata a radicati fondamentalismi religiosi, che giudicheremmo del tutto obsoleti se non continuassero a riproporsi con tanta sfrontata sicumera e se non persistessero con tanta tenacia a far un tal volume di danni.
L’antimilitarismo che ispira i miei sentimenti ogni volta che guardo le cose del mondo qui impatta contro un muro di gomma e con gran difficoltà riesce ad identificare spiragli in grado di fenderlo, più che altro illusori. Da questo punto di vista, quella mediorientale è una situazione al limite della insopportabilità, banco di prova estremo di uno sviscerato bellicismo portato all’eccesso, a tratti elevato a misticismo, che non fa altro che alimentare ed ingigantire all’ennesima potenza le cause e le ragioni della sua solida installazione nel sentire e nel modo di essere comune e diffuso. Lì sembra esserci a tutti gli effetti una comunità sociale impregnata di sentimenti e di visioni del mondo fondate sull’ostilità permanente, che non hanno né la forza né la voglia di emanciparsi da tensioni e comportamenti all’insegna del più tenace e a tratti brutale militarismo.
C’entra ben poco con la classica interpretazione ottocentesca, che diede appunto origine ai movimenti antimilitaristi, secondo cui gli stati prelevavano i figli del popolo, li arruolavano e li mettevano al loro servizio per usarli come carne da cannone ai fini del potere centrale. Ne nasceva che il popolo era chiaramente solo asservito e obbligato, inquadrato in ranghi militari ed usato per scopi a lui del tutto estranei se non addirittura contrari. No! Qui abbiamo a che fare con una situazione coinvolgente, incancrenita dal reiterarsi costante delle ragioni storiche e religiose che le hanno dato origine, che ti seduce e tenta di costringerti a diventare partigiano dell’una o dell’altra parte. Così a destra come a sinistra vediamo continuamente che si è con Israele o contro, che si sta dalla parte dei palestinesi o li si ripudia, che se si è contrari ad Israele si è per forza con i combattenti palestinesi, che se li si difende, che lo si voglia o no, ci si trova facilmente complici del terrorismo. È una situazione allucinante, al limite del surreale.

Con gli ultimi

Ebbene, personalmente rivendico con forza il diritto, che eticamente sento come un dovere, di non schierarmi con nessuno dei due contendenti. Anzi! Mi correggo leggermente. Sono fermamente convinto che bisogna schierarsi con gli ultimi, con le popolazioni, al di là dei due schieramenti e contro di essi, perché entrambi, seppur in modi differenti e con motivazioni contrapposte, li vessano costantemente imponendo la loro tirannia dettata da contrapposte ragioni di stato.
Da una parte abbiamo Israele, all’apparenza strutturato sul modello delle democrazie occidentali come fosse uno stato laico, che però nei fatti agisce perseguendo il progetto originario di un’idea di derivazione religiosa, la terra promessa, che ha partigiana una grossa fetta della sua popolazione sorretta da un irriducibile fondamentalismo. Appoggiato dagli stati occidentali, che da diversi decenni lo considerano un proprio avamposto nel medioriente, lo stato israeliano è supportato da un esercito molto potente, sul modello anglo-americano, fornito di un armamento di tutto rispetto, come si è constatato diverse volte all’occorrenza devastante.
Dall’altra parte invece abbiamo un aspirante stato, che aspira a diventarlo in piena regola, ma che sistematicamente non riesce a compiersi fino in fondo. Combattuto al proprio interno tra una condizione cui è costretto, per l’ingerenza nel proprio territorio della presenza israeliana a un certo punto della storia, e tra la voglia indotta di non riconoscere la presenza d’Israele che lo obbliga a una condizione che non vorrebbe. Sembra più che altro una popolazione costretta a desiderarsi stato senza crederci fino in fondo, come invece aspirano le sue differenti elites dirigenti, alle quali è legata soprattutto per il collante del nemico comune, odiato fino al parossismo. Non possiede un vero e proprio esercito, ma è supportata militarmente da milizie legate alle diverse fazioni. Caratterizzata originariamente da una cultura che potremmo definire laica, da quando sta vivendo questa condizione di sottomissione quasi strutturale, contingente ma in realtà permanente, si sta spostando progressivamente verso una visione islamica, trascinata dai bisogni di autodifesa e di sopravvivenza cui è indotta.
Abbiamo così due eserciti permanentemente e dichiaratamente contrapposti, che per la forza delle cose e degli avvenimenti sono diventati il collante ineliminabile delle due società. Uno perfettamente efficiente secondo gli ormai consolidati modelli occidentali, l’altro più impostato su logiche di guerriglia perché costretto a tattiche non canoniche e “irregolari”. Ma entrambi, come le elites dirigenti da cui derivano e dipendono, ben impostati e strutturati secondo logiche e cultura solidamente militariste. Disposti ad ogni efferatezza al di là di ogni improbabile imperativo morale, dietro entrambi ci stanno una volontà e un desiderio consolidati e diffusi di eliminazione dell’avversario. Per questo sono costantemente in guerra, si alimentano della guerra, la vogliono, la organizzano e la perseguono senza sosta. La guerra è endemicamente diventato il paradigma di riferimento del loro senso di stato di necessità.
Sono sempre più fermamente convinto che, soprattutto in un caso come questo, al di là degli stimoli emotivi di superficie, bisogna abbracciare una posizione autenticamente antimilitarista, libertaria e anarchica, quindi contraria e oppositiva a tutte le logiche militariste, da qualunque parte si trovino. Senza indugi bisognerebbe contrastare ogni partigianeria. È indubbio, sacrosanto, ovvio e prioritario attaccare a fondo la politica bellicista del governo israeliano.

Per un nuovo umanesimo

Ma al contempo è profondamente errato e soprattutto incoerente un eventuale appoggio, anche solo minimamente teorico o di opportunismo politico, ad Hamas, Hezbollàh, Jihad e quant’altri si trovino impegnati nella stessa sponda con identica spinta nichilista e guerrafondaia, le cui scelte sono altrettanto criminali e antiumaniste, perché fondate con grande convinzione su logiche di guerra e militariste, con l’aggiunta aggravante di spinte pseudo-ascetiche al martirio. Al pari dei nemici dichiarati, se ne fottono bellamente di bambini, vecchi, donne ed esseri umani, massacrandoli all’uopo perché li considerano esclusivamente parte di un progetto teocratico, anche se a volte tenta di mascherarsi di un falso e molto labile laicismo. Senza poi considerare quale aberrante tipo di società potrebbero instaurare e imporre gli attuali miliziani palestinesi se ne avessero la forza; ora fanno meno danni degli altri semplicemente perché non ne hanno forza e capacità, mentre se fossero militarmente equivalenti al nemico non sarebbero da meno, come hanno dimostrato ogni volta che hanno potuto.
Gli uni e gli altri, non tenendo conto minimamente delle persone, i cosiddetti civili, i pacifisti, i non schierati (che ci sono e non sono pochi), sulla loro testa perseguono un identico progetto, ideologicamente all’apparenza contrapposto, di annessione e annichilimento dell’avversario. Dal mio punto di vista entrambi rappresentano il nemico vero, perché, pur con ragioni in conflitto tra loro, vogliono uniformare tutti alle rispettive ragioni di stato. La nostra opposizione non deve essere né contro l’uno né contro l’altro separatamente, ma contro tutti e due, condannando con grande determinazione culturale, etica e di pensiero la loro guerra e le loro logiche ed ogni tentativo, dichiarato o mascherato, di schieramento con una delle due parti contendenti.
Forse il problema vero è la volontà di costruire due stati, che sorgerebbero odiandosi già da molto prima di esser nati. Forse bisognerebbe trovare il modo e la forza di schierarsi e agire con gli ultimi, i non schierati e tutti coloro che subiscono la follia nichilista dei capi che li usano per i loro piani guerrafondai, per sviluppare la fratellanza delle diversità e superare, attraverso la solidarietà sociale, la logica degli stati contrapposti. Per un nuovo umanesimo che abbracci tutta l’umanità e rifiuti l’uniformità dall’alto.

Andrea Papi