Con l’appropinquarsi delle tornate elettorali, questa volta amministrative ed europee, in ogni cittadino avente diritto al voto si ripresenta puntualmente il dilemma cosa fare. Essendo da sempre un anarchico, personalmente mi regolerò come, secondo me, debba scegliere un anarchico in piena coerenza. Mi asterrò dall’andare a votare perché sono convinto che la struttura giuridica elettorale e la delega del voto vigenti rappresentino l’esatto opposto di ciò che dovrebbe essere una sana possibilità di partecipazione politica agli espletamenti della cosa pubblica. Nelle pagine di questa rivista più volte ho già esposto ampiamente le motivazioni della mia scelta ed ora non ho intenzione di ripetermi.
Ciò che invece questa volta m’interessa è il provare a ragionare su scelte diverse dalle mie, sapendo che la questione in campo anarchico non è affatto risolta. E per fortuna! Come sarebbe noioso infatti se, al di là di qualsiasi evento o contingenza, la scelta comportamentale fosse stata definitivamente codificata, in un certo senso “istituzionalizzata”, nell’illusione di aver trovato la soluzione definitiva in grado di stabilire dove stia il bene e dove il male. Secondo libertà, qualunque scelta meditata nell’integrità del proprio io, anche quando si contrapponga alla mia, in quanto tale è degna di rispetto e considerazione, quindi bisogna confrontarcisi lasciando perdere le pregiudiziali ideologiche e gli atteggiamenti giudicanti.
Muro di omertà
Conosco diversi compagni di area libertaria, alcuni dichiaratamente anarchici, che vanno a votare. Alcuni lo fanno quasi nascostamente ai presunti “anarchici doc”, forse per paura di subire reprimende di cui non hanno giustamente nessuna voglia, altri lo fanno capire tra le righe, altri ancora si limitano ad ammetterlo. Nessuno cerca di porlo come tematica da dibattere ed approfondire sul piano del confronto politico, forse perché in realtà non esiste né l’ambito né lo spazio, né la volontà generale per poterlo fare. Come del resto, almeno è mia impressione, da tempo nel nostro movimento c’è gran difficoltà ad affrontare a fondo problematiche di pensiero e d’azione che ci riguardano strettamente, facendo quasi finta che esista già bello e definito un progetto di lotta e d’azione in cui riconoscersi e che rappresenti la luce del cammino. In realtà manca quasi del tutto, oltre ad apparire assente la voglia di concordare insieme metodi e strategie d’intervento.
In assenza della possibilità di un aggancio serio a un dibattere comune, ognuno di questi compagni sceglie così di partecipare al voto elettorale per motivazioni personali, convinti come sono, almeno mi è sembrato di capire, di cogliere un’opportunità pur vivendo la cosa in modo critico. Dal momento che non c’è mai stata occasione di un approfondito scambio d’idee, sempre per quel che m’è sembrato di capire nessuno di loro nega validità alle argomentazioni anarchiche classiche di critica alla delega di potere, mentre ritengono che in questa fase, in cui la società alternativa è lontana da venire, può risultare utile politicamente partecipare al voto, magari sostenendo o personaggi o formazioni che ritengono meno autoritari di altri. Insomma la motivazione di fondo resta sostanzialmente di voler cogliere opportunità politiche contingenti.
Rispetto a ciò vorrei tentare di rompere questo muro di omertà intellettuale che nel tempo si è eretto su una problematica che ritengo estremamente importante, ed anche qualificante, non solo per gli anarchici, ma per tutti. Votare o non votare, infatti, in qualche modo è parte della rappresentazione immaginaria del partecipare alla vita politica che tutti ci riguarda. E vorrei riuscire a farlo completamente al di fuori di logiche dirimenti e giudicanti, secondo una casistica inesistente di un presunto buono o cattivo comportamento. In proposito non mi sogno lontanamente di stabilire che si sia o non si sia anarchici se si va o no a votare. Nell’attuale assetto sociale è impossibile riuscire ad esserlo in modo compiuto al di là di legittime aspirazioni, le quali sono le uniche vere a tenerci insieme ed a qualificarci. Come pure trovo non congruente dare indicazioni di astensione alla stessa stregua dei politicanti che invitano a votare per il proprio simbolo. Se qualcuno per caso fosse malauguratamente convinto che potremmo presentarci come il “partito” dell’astensionismo, dal mio punto di vista dimostrerebbe di aver capito ben poco dell’etica nostra. Ognuno dev’essere libero di espletare le scelte in cui si riconosce senza trovarsi indotto a farne, come pure chi non vuole farlo dev’essere libero di manifestarlo e propagare le ragioni del proprio astenersi.
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Nell’entrare nel dettaglio della questione vorrei perciò riuscire a farlo affrontando il senso delle problematiche sul tappeto, cercando al contempo uno sguardo che sia il più possibile pragmatico. Dev’essere però chiaro che il mio argomentare avrà come riferimento il punto di vista della coerenza anarchica e libertaria, perché è quella che m’interessa più d’ogni altra.
Veniamo così al dunque partendo proprio dalle ragioni che dovrebbero giustificare la pratica più o meno dichiarata di questo non/astensionismo anarchico e libertario. Cerchiamo di vedere se è vero che noi astensionisti, col nostro fare, perdiamo un’importante opportunità che la nostra supposta cecità politica non ci farebbe cogliere. Innanzitutto vorrei subito chiarire bene una cosa. Spero che non ci sia nessuno che sotto sotto tenti di avanzare la folle ipotesi che si possa pervenire all’anarchia per mezzo di un’azione di tipo riformista, per cui si potrebbe avanzare verso la libertà sociale cercando di promulgare leggi dello stato favorevoli alle nostre tesi. Una simile opzione sposterebbe completamente il tipo di discussione e bisognerebbe risalire alle origini, addirittura fino a Godwin. Non è qui il caso. Basta evidenziare il fallimento storico della socialdemocrazia, la quale si era illusa di instaurare il socialismo attraverso la democrazia borghese. L’anarchismo l’ha sempre combattuta e la sua critica radicale si è dimostrata puntuale.
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Quando in Spagna...
Penso invece che i partecipazionisti votanti libertari (1) intendano riferirsi a voler contribuire individualmente a far si che vengano elette persone di cui hanno fiducia o, al limite, favorire forze in lizza che ritengono, un domani elette, possano esserci di aiuto. Penso questo perché, proprio per essere pragmatici, non credo che nella fase attuale sia riproponibile la scelta della CNT spagnola del ’36, quando sottobanco votò per far vincere le elezioni alla sinistra (2), la cui vittoria poi fu tra le ragioni per cui Franco aggredì militarmente la Spagna per fare il golpe. La CNT era un sindacato di massa, milioni di persone, e la sua capacità d’incidenza era notevole. Cosa ben diversa dai quattro gatti libertari che scelgono di votare oggi, i quali, dato l’esiguo numero, non hanno alcuna possibilità di incidere in alcun modo. Ritengo perciò una simile motivazione del tutto astratta, perché al momento non ha consistenza. Ma ammesso anche, e non concesso, che lo potesse avere, le rare persone di fiducia elette si troverebbero imbrigliate in meccanismi istituzionali tali per cui di fatto potrebbero fare ben poco, se non deludere le aspettative di chi li avrebbe votati.
Ma la situazione, come sempre, non è univoca. Per capire bene non si può non tener conto dei diversi tipi di elezione. Per quelle politiche, dato come da tempo si stanno conformando i giochi e i meccanismi che le distinguono, le speranze di una capacità d’incisione, anche infima, sono veramente una pia illusione. È sufficiente pensare alla fine che ha fatto la cosiddetta sinistra radicale che, da sempre ossequiente al gioco parlamentare, è stata di fatto estromessa dal parlamento, resa silente e inesistente dal sistema, costretta nolente a diventare ex ed extra parlamentare. Figuriamoci per singoli individui che non hanno neanche quella appartenenza, né di schieramento né militante. Non riesco proprio a capire a cosa potrebbe servire un tale voto, dal momento che non può che sperdersi nel marasma autoritario della politica politicante.
Almeno teoricamente, invece, le elezioni amministrative sembrano offrire un’illusione maggiore. Siccome si riferiscono a rappresentanti dei governi locali, possono far supporre di potersi insediare con una certa autonomia nelle istituzioni territoriali. Non è un caso che, in seguito alle continue disillusioni cui da decenni vengono sottoposti i sostenitori della sinistra, concetto sempre più vago e dilatato che ormai non fa altro che cercare d’inseguire un’identità sempre più evanescente, sembri sempre più di moda formare liste locali indipendenti (dai grillini ai girotondini, ecc.). A quest’amo sembrano abboccare anche alcuni anarchici. Sinceramente, proprio su un piano pragmatico, faccio fatica a capire a cosa potrebbe servire. Ammesso e non concesso a priori che riescano ad eleggere qualcuno, difficilmente più di uno o due, il ruolo di questi “poveri pellegrini” nei maneggi e nei corridoi del palazzo non potrebbe poi che essere del tutto marginale e inconsistente, quindi impossibilitato a portare avanti ciò che avevano promesso e di cui avevano illuso.
A proposito dei referendum
Per il caso dei referendum la questione è molto più complicata e controversa. Le varie propagande di regime e d’opposizione li presentano come una forma applicata di democrazia diretta. In realtà, le tecnologie istituzionali applicative ne annullano del tutto una tale potenzialità. In particolare in Italia, dove sono ammessi solo quelli abrogativi, cioè per eliminare leggi esistenti, a differenza per esempio della Svizzera dove se ne fanno anche di propositivi, cioè per proporre leggi che non ci sono, l’abrogazione che conta e per cui si chiama a votare si riferisce alla stesura formale della legge, non al senso del suo contenuto. I votanti sono invece più o meno tutti convinti di esprimersi per il senso, anche perché durante la propaganda preelettorale i propugnatori contendenti danno a intenderlo. Ma il fatto più grave è che poi a stendere la nuova stesura formale sono sempre i soliti addetti, per cui potrebbe anche succedere che, cambiando qualche virgola, si può lasciare intatto il senso della legge che magari la volontà espressa dei votanti aveva abrogato. Volendo essere pignoli, questa ha così tutta l’aria di una truffa. Inoltre rimane intatto il meccanismo di delega di potere, dal momento che a decidere veramente rimangono i “soliti noti”.
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Nonostante queste consapevolezze, mi sono convinto che in fondo poi avesse ragione Berneri quando sosteneva che sarebbe stato importante partecipare come anarchici a referendum in cui si doveva scegliere tra monarchia o repubblica, come fu, lui già morto, nell’immediato dopoguerra. Come pure potrebbe avere una notevole capacità di cambio dell’immaginario agire per far sì che valga votare per il senso e non per la stesura formale. Ma anche per proporre regole, non solo per abrogare leggi. Il tutto però con una chiarezza propagandata che non si tratta di strumenti per una vera alternativa sociale, perché non lo sono, bensì di momenti di una diversa incisività atti ad aumentare il livello di una partecipazione che ha l’intento di ridurre la discrezionalità degli strapoteri vigenti.
Ma per far questo in modo incisivo e produttivo per quello che ci attiene e a cui teniamo, non ci si può limitare ad apparire nei momenti di chiamata al voto, cioè ad essere presenti solo rispetto agli effetti delle cose. Bisognerebbe soprattutto esserci rispetto alle cause. E qui c’è la vera immane manchevolezza. Qui c’è il vuoto e la vera assenza. Per agire politicamente in modo efficace e conseguente bisogna mettere in campo ipotesi credibili e chiarezza d’idee. Per l’anarchismo, ne sono sempre più convinto, non può che essere nell’ambito della società, nel tentativo della costruzione dell’alternativa dal basso, non a contatto o all’interno dei meandri dei palazzi del potere costituito. Senza questo tipo di messa in opera, che ora è di fatto inesistente, ha praticamente poca importanza che si vada a votare o no, o che si inviti a forme di partecipazione che intendano erodere l’efficacia del potere esistente. Senza una strategia complessiva che tenda ad autocostruire una società alternativa e sovvertitrice del presente stato di cose, non si può che rimanere ai margini, reclusi nella cripta di un’endemica inconsistenza. Rimane solo, quando c’è, la nobile testimonianza individuale. Sempre lodevole, per carità, ma del tutto insufficiente, simbolicamente relegata nel limbo dell’eremitaggio politico.