Se lo potessero, farebbero ardere nelle piazze i roghi per bruciarvi gli infedeli;
se lo potessero, riesumerebbero i tribunali dell’Inquisizione per trovare occupazione a monaci invasati disposti a praticare la tortura e condurre alla morte gli eretici e i miscredenti.
Ma di che pasta sono fatti questi personaggi in cappa rossa che, ipocritamente, inneggiano alla vita e praticano la morte?
Ormai il papato, specialmente questo papato, non è più, neppure formalmente, il custode del Vangelo. Qualunque sia il colore della tonaca che vestono, dai balconi del Vaticano al chiuso delle parrocchie, una folla di esaltati coniugano il Verbo del Cristo come una mannaia sulla testa di quella umanità che non si riconosce nelle loro verità e si rifiuta di praticare i loro riti.
Non vi è alcuna differenza tra costoro e gli integralisti di ogni credo e di ogni latitudine che, in nome di un Dio che pretendono a loro immagine e somiglianza, seminano la morte di innocenti e la chiamano giustizia divina.
Per la verità una differenza esiste: il modo di vivere le proprie credenze, per demenziali che possano essere: gli uni, i portatori della loro morte insieme a quella cui destinano un’umanità inerme, mostrano almeno la dignità di vivere sino in fondo il loro credo; gli altri, i ministri della cattolicità – fatte le doverose eccezioni – impongono agli altri le conseguenze estreme dei loro deliri, dormendo sonni tranquilli al riparo accogliente delle loro chiese.
Noi, lo abbiamo scritto più volte, sulla scia della profonda umanità che anima il pensiero anarchico, rispettiamo il credente, nella misura in cui esprime, con la preghiera, un bisogno umanamente comprensibile di credere in un futuro che proietti la vita al di là dei confini conosciuti dell’esistenza terrena. Non abbiamo alcun rispetto per quanti, istituzioni religiose o laiche, governi della Chiesa o degli Stati, pretendano di imporre i loro valori a tutti gli altri universi che di questi valori ritengono di potere – e di dovere – fare a meno.
Al di fuori di questo nostro atteggiamento, rispettoso ma fermo, riteniamo domini la barbarie. Riteniamo che dagli integralismi di ogni natura e colore, comunque motivati e praticati, abbiano origine tutti i sistemi di sfruttamento e di morte che affliggono gran parte dell’umanità che popola il nostro pianeta.
Per venire al nostro sfortunato Paese, il caso della povera Eluana Englaro è paradigmatico di quanta irresponsabile ferocia siano capaci le gerarchie ecclesiastiche e i baciapile che popolano il nostro mondo politico.
Della sofferenza silente della vittima e di quella dignitosa ma non placata del genitore e dei parenti, al popolo carnascialesco delle rutilanti processioni o dei sacconi di melma che infestano gli scranni del nostro Parlamento non importava proprio niente: coltivavano soltanto la loro vanità di grilli parlanti, con la volgarità che è propria, non soltanto del loro linguaggio, ma dell’infimo livello dei rispettivi contenuti umani.
Rattrista che gli uni e gli altri – quelli che pontificano con raffinati calzari di seta e gli altri, che sono soliti trasformare le aule parlamentari in bivacchi – nelle cadenze calendariali si occultino dietro il Cristo dolente sulla croce che, nell‘immaginario popolare, vero o meno che sia il dato storico, personifica tutti i dolori dell’esistenza.
Costoro non sanno cosa sia la sofferenza e, quando l’ineluttabile scorrere della vita presenta anche a loro il conto, con disinvoltura tentano di esorcizzarla collocandosi al di sopra di ogni legge, al di là del bene e del male declinati dalle loro stesse credenze.
Così, ad un pontefice come Woytila fu risparmiato l’accanimento terapeutico al termine della sua parabola terrena; così il massimo esponente del governo in carica non esitò a far abortire la propria donna al settimo mese di gravidanza per evitare il parto di una povera esistenza da disabile.
È insopportabile vivere in un contesto in cui pochi neodeliranti dispongano della sorte, di vita e di morte, di un’intera popolazione, per quanto gran parte di questa popolazione mostri di essere incapace di reagire o addirittura si disponga a sostegno del permanere di questo stato di cose.
È insopportabile che, da destra o da sinistra – la dignità non discrimina tra gli schieramenti – non ci sia un sussulto di orgogliosa riappropriazione della propria esistenza.
La breccia di Porta Pia non fu solo un atto politico che ratificava il prevalere di qualcuno. Più o meno consciamente, fu lo scrollarsi da dosso la coltre di un lugubre medievalismo antistorico e, almeno in quel momento, il popolo fu chiamato a celebrare i valori della vita contro i pestiferi miasmi della morte.
Così sia anche adesso. Adesso che dalla Chiesa e dallo Stato si tenta di riseppellirci sotto la palude dell’irrazionalismo e della superstizione.