Non sta male il presidente Berlusconi
con il berretto da ferroviere con la visiera, come si è
fatto fotografare sulla prima pagina di tutti i quotidiani
italiani mercoledì scorso. Quel copricapo non serve
soltanto a occultare l’imbarazzante spettacolo di una
capigliatura troppo ostensibilmente artificiale per tinta
e consistenza, ma portato così, sulle ventitré,
conferisce al leader del centro destra un che di allegro e
di sbarazzino, un aria, con rispetto parlando, di ragazzotto
in vacanza che piacevolmente contrasta con le espressioni
patibolari di coloro con cui tanto spesso è costretto,
sia pur controvoglia, ad accompagnarsi – la seriosa
cavallinità del volto di Fini, la smorfia irrigidita
del povero Bossi, il finto sorrisetto ipocrita di Cicchitto,
la truce maschera di La Russa, i tratti davvero un po’
troppo sfuggenti di Bondi... Lui, invece, guardatelo, è
tutto un sorriso. Si capisce che calcarsi quell’oggetto
sul capo non è soltanto un gesto di convenienza, un
rituale quasi d’obbligo, ma qualcosa che genuinamente
gli piace, che mette in luce la presenza nella sua psiche
di un lato ludico, di una sorta di natura infantile, che di
questo genere di esibizioni si compiace e si rallegra, un
po’ come il bambino che si dipinge i baffetti sul viso
con un tappo bruciato o la bambina che viene, una volta tanto,
autorizzata a mettersi il rossetto della mamma. Ne esce confermata,
in definitiva, l’immagine di un uomo di stato che, nonostante
i gravi impegni e le molte responsabilità che l’affliggono,
specie in questi tempi difficili, riesce ancora a trovare
la voglia e l’energia di giocare e che quando non dispone
di una cancelliera tedesca cui fare il cucù o di un
ministro spagnolo alle cui spalle alzare le dita a guisa di
corna riesce ad arrangiarsi benissimo da solo. Può
sembrare una sciocchezza, ma è anche questa una prova
di vitalità.
Che poi l’uomo di Arcore abbia approfittato dell’occasione
– si trattava, se ben ho capito, del viaggio dimostrativo
su un nuovo percorso ferroviario, sul quale i treni potranno
coprire il tragitto tra Milano e Roma in poco più di
tre ore, almeno quando c’è a bordo lui –
per ribadire alcune delle sue idee fisse più viete
(inveire contro i giudici, spiegare che la crisi almeno in
Italia non esiste, dare del bugiardo al leader dell’opposizione...)
e smentire se stesso, sostenendo di non avere mai detto o
scritto quello che tutti gli avevano sentito dire e visto
scrivere, non è cosa che possa stupire nessuno. La
vita sotto Berlusconi non è un pranzo di gala e il
soggetto può essere simpatico, talvolta, ma è
infido sempre. Eppure va detto che, anche nella sua mancanza
di affidabilità, riesce a sfiorare delle vette che
ai più restano precluse, come quando ha disconosciuto
la prima bozza del suo “piano casa”, ancorché
fosse già stata inviata ai presidenti delle regioni
e alla commissione europea con tanto di intestazione e di
firma. Smentire una frase sfuggita per caso in una conversazione
privata è cosa che possono fare tutti: per far sparire
dalla circolazione un documento ufficiale, completo di timbri
e sigilli, bisogna essere un autentico professionista.
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Silvio Berlusconi |
Il popolo delle villette
D’altronde cosa poteva far d’altro, poveruomo?
Gli era venuta un’idea bellissima, o che tale almeno
gli era sembrata, quella di combattere la stretta economica
incrementando l’attività edilizia, con l’annesso
corollario per cui l’attività edilizia la si
incrementa eliminando quanti più controlli pubblici
è possibile. Alla mente un ex palazzinaro come lui,
si capisce, entrambe le proposizioni si impongono con la spontaneità
di un riflesso condizionato, assumono spontaneament lo statuto
di una verità rivelata. Ma poi, quando ormai dell’idea
si era convinto e se n’era fatto bello a destra e a
manca, pur senza entrare, com’è suo uso, nei
particolari, gli avevano spiegato che no, non si poteva, c’erano
dei vincoli da rispettare e i vincoli spettava porli, pensate
un po’, alle regioni: un’ipotesi che, per uno
che come lui nutre una sincera ripugnanza per le minutiae
costituzionali, probabilmente non gli aveva sfiorato neanche
il vestibolo del cervello. E allora? Allora si fa come sempre:
si smentisce e nell’attesa che qualcuno ci metta una
pezza (o che l’intera faccenda finisca nel dimenticatoio)
si improvvisa liberamente sul tema. Anche in questo genere
di giravolte, si sa, il nostro è bravissimo.
A me, tra le varie improvvisazioni ferroviarie e postferroviarie
nelle quali si è esibito il presidente del consiglio
in questi giorni, è particolarmente piaciuta quella
con cui ha precisato che il suo piano non si sarebbe applicato
agli edifici urbani, in cui pure vive la maggioranza di noi
cittadini, ma alle abitazioni isolate, mono o bifamiliari,
alle villette, insomma. L’affermazione gli è
stata fatta passare senza commenti, ma qualche analisi, forse,
avrebbe meritato. In fondo, quella della villetta è
una tipologia abitativa rispettabilissima, ma abbastanza minoritaria,
nel senso che non sembra abbastanza diffusa nel paese per
giustificare l’improvvisa trasformazione di un piano
casa in un piano villetta. Eppure è al popolo delle
villette, come a dire alla piccola borghesia extraurbana,
che Berlusconi, stando al queste sue ultime dichiarazioni,
affida il compito di rimettere in moto l‘economia nazionale,
nella convinzione che anche facendo sopraelevare il garage
o trasformando il bovindo in veranda si creino lavoro e ricchezza.
Chissà come gli sarà venuto in mente. È
difficile – certo – che il berretto che inalberava
orgoglioso sul capo gli abbia ricordato che alcuni tra i pochi
quartieri di villette che spezzano graziosamente l’addensamento
dei palazzoni nella sua e nostra città sono stati creati,
ai primi del ’900, per volontà delle cooperative
di ferrovieri, ma non è impossibile che abbia colto
in quel modo di organizzarsi sul territorio una qualche affinità
ideologica e sociologica. Lui, si sa, è domiciliato
in Brianza, anche se non esattamente in una villetta. Ma,
forse, nella sua mente di abitatore di lussuose dimore di
campagna ha sentito scattare una sorta di feeling per coloro
che, pur su un diverso piano dimensionale, hanno scelto il
suo stesso modello di insediamento, per quanti alle dimensioni
del condominio, collettivizzante e potenzialmente socializzante,
hanno preferito l’individualità della villetta,
sia pure a schiera. Si tratta, in fondo, di quel genere di
individualità uniforme e disciplinata in cui maggiormente
si rispecchiano gli ideali dell’elettore berlusconiano
medio e quindi, un po’, anche i suoi. Abitare in un
villa (o, come nel caso, in due, più quelle in Sardegna)
non fa di te automaticamente un Thomas Mann o un Bernard Berenson:
se sei un Berlusconi è più probabile che la
tua grande villa non sia, alla fin fine, molto di diverso
da una grossa villetta.