Rivista Anarchica Online


Lega Nord

L’epopea leghista, una farsa tragica
di Maria Matteo

Breve (e istruttiva) storia del partito di Bossi.


Non ricordo bene quando tutto sia cominciato. Gli anni ’80 stavano declinando e così pure la prima repubblica. Questi autonomisti del Nord parevano una cosa così, una nuvoletta di passaggio, folclore da fiera paesana con smanie politiche. Fastidiosi, razzisti, però ridicoli con il loro dialetto esibito, la volgarità spetacchiante dei discorsi pubblici, così simili alle fesserie da bar, alle chiacchiere di quelli che l’hanno sempre con il governo ma sono sempre governativi.
No, non era roba che si potesse prendere sul serio. Specie a sinistra, dove l’intellettualismo è un vezzo esibito, una medaglia da portare con la spocchia di chi sa tutto, di chi crede nei Lumi anche quando cala il buio e i piedi affondano nella melma.
Poi, un giorno, sono andati al governo la prima volta. E tutti lì a non crederci ancora, a pensare che era l’incazzatura di un momento: chi li votava domani sarebbe tornato indietro, tra i partiti “normali”, magari destri ma “normali”. Questi, tra una sparata e l’altra su fucili secessionisti e minacce insurrezionali, si inventano una roba ancora più ridicola, una piccola patria del nord che tiene dentro le varie anime autonomiste e litigiose della loro galassia. Le trovano un bel nome accattivante, “Padania”, e fanno anche la cerimonia di fondazione alle sorgenti del Po e poi giù sino a Venezia.
E qui, forse, i furbetti dei salotti di sinistra avrebbero dovuto cominciare a preoccuparsi, perché uomini e donne adulti che giocano a fare i celti e tirano su l’ampolla, o fanno carnevale o si preparano a fondare una nuova epoca. Se la gente la butta sul ridere è buona la prima, altrimenti sono guai. I rivoluzionari, quelli veri, hanno bisogno di miti che diano senso al passato e al futuro, roba che disegni il tempo nuovo che comincia, con radici profonde e fronde verso il cielo. I nuovisti – roba da vecchio Novecento – mescolano il passato con il futuro: la Roma imperiale proietta la sua ombra lunga sino all’Italia miserabile e sanguinaria di Vittorio Emanuele III re e imperatore. Nel 1789 i rivoluzionari piantavano gli alberi della libertà e si davano un nuovo calendario: era il segno che un’epoca si apriva.
I leghisti parlano e pensano come quelli del bar sport di un nord ricco che, poco a poco, diventa un po’ meno ricco. Allora, il rancore, quello mai messo da parte per i terroni di oggi e di ieri, viene su, gorgogliando per il gargarozzo, ed esplode sordo. Chi sa prestare voce a questo rancore, chi riesce a rappresentarlo, dandogli dignità politica, è destinato a durare.
Chi ancora pensa che una risata li seppellirà dimentica che i Nibelunghi, Brunilde e Crimilde, le tedesche dei film e delle parate naziste con le treccione come le eroine delle saghe nordiche, erano risibili come i lombardi con Alberto da Giussano in cotta e spadone.
Ci sono farse destinate a finire in un lago di sangue.

Milano, manifestazione di immigrati

Serve un nemico

In una società frantumata le identità si giocano nei non luoghi della merce, dove tutto, dalle scarpe ai frigoriferi, dal biberon allo zainetto di scuola è pregno di senso. Senso usa e getta, buono una stagione, ma già irrimediabilmente “passato” la prossima. Se poi, a fine mese, i soldi sono meno, il mutuo si gonfia, la scuola del figlio costa sempre più, in fabbrica c’è la cassaintegrazione, tuo cugino vuole vendere la bottega perché le tasse se lo mangiano, diventa difficile stare a galla. Materialmente e non solo.
Serve un nemico. L’uomo nero dei babau infantili, il turco della memoria dei nonni, il moro cattivo, il cinese infido, il sudamericano crudele… Un manifesto leghista di qualche anno fa riproduceva graficamente questa macchietta razzista; roba che sembrava sepolta negli armadi scuri di un passato da archiviare. Invece no. Eccolo lì.
Una mattina qualcuno si sveglia e pensa di essere circondato, assediato, attaccato.
Riemerge il sogno perverso del recupero della purezza originaria, l’incubo in cui si radicano i miti della razza e della nazione, miti potenti capaci di innescare conflitti devastanti. È un paradosso: l’individuo “senza qualità”, la cui dignità si celebra nel rito dello shopping, ritrova un’identificazione comunitaria nel rifiuto dello straniero, dell’immigrato che è la vivente testimonianza delle immense masse di diseredati che premono alle porte dell’occidente ricco e sviluppato.
Il desiderio di identità e appartenenze di stampo nazionalista ed intrinsecamente razzista è connesso al fallimento del progetto d’autonomia dell’individuo che è il senso profondo della storia di questi ultimi due secoli. Il cittadino è mera astrazione giuridica: l’individuo cosciente e creativo una promessa costantemente disattesa.
Uguaglianza, solidarietà, libertà sono scatole vuote, incapaci di forgiare la ruvida materialità delle relazioni sociali. Questioni, queste, che la sinistra dei salotti e delle poltrone relega nel ciarpame ideologico, condannandosi irrimediabilmente all’inattualità. O, peggio, alla mimesi sfrontata ed ineffettuale dei propri avversari.
Così, anche se qualcuno fa come se non fosse vero, quelli del bar sport al governo ci sono tornati altre due volte e ci resteranno per un pezzo. Oggi il ministro di polizia è uno di loro.
Roba da spavento ovunque accada. Ma non qui. Tutti a pensare che il potere addomestica, che le poltrone ingrassano il culo, che Roma ladrona si mangia tutti.
Quelli del bar sport però, piano piano, le loro matterie razziste le stanno portando a casa tutte. Non tutte assieme, ma tante e tante.
Uno come lo sceriffo Gentilini, tutto pappa e ciccia con Forza Nuova, magari fa folclore ma non fa certo ridere. Anche Mussolini faceva ridere il mondo con la sua retorica gridata e il mascellone ma allora, in Italia, ridevano in pochi. E di nascosto.
Chi invece strilla che il fascismo sta tornano punta l’indice sulla deriva autoritaria e populista del sistema politico ma spesso non coglie che è sul piano sociale che si stanno consumando le fratture più brutali. In questi anni sono passate leggi e regolamenti che, passo dopo passo, hanno cancellato un sistema di tutele e libertà, che rispecchiava ben altri rapporti di forza tra capitale e lavoro, tra governo e opposizione sociale.
La verità, tremenda, è che il male è banale. Banale come la vita che scorre al di là del filo spinato dei lager, banale come il vicino di casa, bravo ragazzo che prende una tanica di benzina a da fuoco all’immigrato senza casa che dorme all’aperto, banale come gli impiegati che vogliono le ronde, banale come quelli che se ne fottono se il mare si mangia i disperati. Banale come il fatto che quelli della Lega hanno uno sulla poltrona di ministro dell’Interno perché tanti, troppi, i lager li vogliono. Eccome se li vogliono.
Viviamo tempi terribili, segnati dalla paura e dall’indifferenza. La paura genera mostri, l’indifferenza rende normale e banale il male.

Bestie voraci

Gli orrori del nazismo e del fascismo trovano spesso una spiegazione rassicurante, che relega il male tra pochi, cattivissimi, criminali, assolvendo i più, schiacciati dalla dittatura, obbligati all’obbedienza, abbindolati dalla propaganda.
Eppure, quando i deportati sono centinaia, poi migliaia, poi milioni; quando la gente sparisce e non torna più, quando si prendono gli ebrei perché sono ebrei, i rom perché sono rom, nessuno può dire di non aver saputo, di non aver capito, di essere stato ingannato. Anche il silenzio è complicità.
I mostri che hanno fatto il successo della Lega Nord sono bestie voraci, che non si accontentano mai, puntando direttamente a soluzioni sempre più radicali, il cui esito ultimo potrebbe essere terribile. Anzi no. È già terribile. Si fa fatica a rendersene conto, perché la resistenza necessaria appare comunque inadeguata alle continue emergenze innescate dalle politiche xenofobe nel nostro paese. Si fa fatica a capire, perché il mito democratico nega una svolta autoritaria in un ordinamento liberale. Niente di più falso. Una scatola fatta di regole formali si può trasformare smontandola molto poco.
Uno come Borghezio, che la gavetta l’ha fatta tra la Legione e Ordine Nuovo, queste cose le sa bene. L’ultima volta si è fatto beccare con le mani nella marmellata in Francia, ad un convegno della destra identitaria. Oltralpe ne hanno parlato i maggiori quotidiani, mentre qui da noi tutti zitti a far finta di niente. Il video dove spiega, a margine del convegno ufficiale, ai suoi camerati la via per il potere è stato prodotto e mandato in onda da un’emittente come Canal Plus: dalle nostre parti, chi lo vuol vedere deve andare su youtube. In un discorso fuori dal palco Borghezio argomentava che “Occorre insistere molto sul lato regionalista del movimento. È un buon modo per non essere considerati immediatamente fascisti nostalgici, bensì come una nuova forza regionalista, cattolica, eccetera eccetera… ma, dietro tutto ciò, siamo sempre gli stessi”. Inutile scandalizzarsi: gia da tempo quelli come lui hanno reso normali comportamenti criminali. Vale la pena ricordare alcune delle sue più celebri imprese.
Nel 2000, a capo di un robusto e bellicoso manipolo di camicie verdi, sale sull’intercity Torino Milano. In uno scompartimento occupato da ragazze nigeriane fa partire una vera “pulizia etnica” spruzzando i sedili e le malcapitate con il disinfettante.
Il primo luglio dello stesso anno capeggia una ronda, durante la quale prende fuoco il ricovero di alcuni immigrati rumeni sotto un ponte. Per un pelo non ci scappa il morto. Dopo un’iniziale condanna a 8 mesi, se la caverà in Cassazione con una multa.
Chi spera che la Lega venga in parte disinnescata, puntando sulla pervasività di Roma ladrona sa che il partito di Bossi, nel non facile passaggio dalla contestazione all’azione, dall’opposizione al governo, ha cambiato un po’ pelle. La polemica contro i meridionali, cavallo delle ruspanti battaglie della prima ora, è oggi messa in sordina, così come, sia pure in modo più sfumato, il tema della rivolta antifiscale. Se lo Stato sei tu le tasse diventano meno antipatiche.
Si tratta, a mio avviso, di aggiustamenti di tiro necessari, nel passaggio dal sovversivismo secessionista alla conquista legale del potere. La spinta ad una sorta di guerra civile permanente resta tuttavia il carattere più marcato della parabola leghista.
Una farsa grottesca che si sta volgendo, poco a poco, in tragedia.

Maria Matteo