1. Livio Fanzaga, il direttore di Radio Maria, è un famoso campione di cretinate. Ascolto spesso, in macchina, la sua rassegna stampa e di solito non riesco ad arrabbiarmi con lui, nonostante dica sovente cose inqualificabili. I professori della Sapienza (quelli che, a suo dire, hanno impedito al papa di parlare)? Indemoniati, di quelli che se gli spruzzi addosso l’acqua santa fumano “come nei peggiori esorcismi”. Margherita Hack? Una stupida. E giù con affermazioni offensive contro omosessuali, politici non allineati al vaticano volere, evoluzionisti, musulmani, buddisti, ebrei e induisti, con un particolare occhio di riguardo per tutto quello che, anche vagamente, potrebbe essere definito “di sinistra”. Eppure non ci si arrabbia, perché di solito Fanzaga fa ridere. Aiutato da una voce per la quale ogni mattina dovrebbe chiedere scusa al signore, Fanzaga scalpita, insulta, tenta l’arguzia, raffazzona reminiscenze teologiche alla bell’e meglio, ma gli riesce solo d’esser comico. Perché quella, la comicità, è la sua dote principale. E poco importa che, come sostengono i maligni, egli non ne sia consapevole.
Se fosse andata avanti così, tra un anatema per i gay e un sant’Agostino citato a cazzo e campana, Livio Fanzaga non meriterebbe la carica di “imbecille” più di quanto Pelè non meriti quella di “genio”. Se non che, nei giorni immediatamente successivi al terremoto che ha distrutto la città dell’Aquila e molti centri limitrofi, Fanzaga ha così commentato:
-
Il Signore ha voluto in questa settimana santa che in qualche modo anche loro [i terremotati, N.d.A.] partecipassero al mistero della sua passione. Vogliamo vedere qualcosa di positivo, anche in questa tragedia. In fondo il Signore quando vuol farci partecipare delle sue sofferenze vuol farci anche partecipare della gloria della sua resurrezione.
Queste parole trasudano cattiveria, punta considerazione per la vita, disinteresse per il dolore; e questo varrebbe a definire malvagio chi le pronuncia. Ma esse indicano anche pochezza intellettuale unita ad arroganza, e questo è lo stigma dell’imbecille.
2. Tuttavia, se proviamo a prendere sul serio quell’affermazione, da essa possiamo ricavare un’importante indicazione circa il modo di pensare diffuso presso certi ambienti. Se Livio Fanzaga fosse solo, se fosse uno di quelli che si mettono in piedi su una cassetta per la frutta al parco per arringare i divertiti passanti, quella sua affermazione, per quanto imbecille, sarebbe pressoché priva di rilevanza. Ma Fanzaga è il direttore di Radio Maria, la radio più ascoltata dai cattolici italiani, che la foraggiano con abbondanti donazioni in denaro perché, con tutta evidenza, la ritengono una radio meritevole di essere foraggiata. Per questo, ciò che dice Fanzaga, che siano o meno cose intelligenti (di solito, no), si presume sia sottoscritto dai tanti, tantissimi, che non si perdono una sua trasmissione. Infatti, escluso che lo ascoltino per via della voce (che è quello che è), si deve concludere che lo ascoltano perché condividono le cose che dice; il che, in questo caso, permette di far luce sull’idea che tanta gente ha del dio che venera come ineffabile, giusto e misericordioso.
Fanzaga dice che dio ha mandato il terremoto in Abruzzo durante la settimana santa per fare in modo che gli abruzzesi potessero partecipare al mistero della passione. Sapevamo che dio è uno capace di radere al suolo intere città e di comandare ai suoi di passare a fil di spada tutti gli abitanti, bambini compresi, in modo che non ne resti uno vivo (si pensi, per esempio, alla sorte riservata a Gerico). Sappiamo anche che dio non esita a sterminare gli innocenti, come i figli primogeniti degli egiziani dei quali ha fatto messe in una sola notte, raggiungendoli con la sua ira fin nelle culle dove dormivano il sonno che dormono gli infanti. Sappiamo, insomma, che dio non si fa scrupolo di calare nelle carni di migliaia di madri la spada del dolore sordo della morte di un figlio amato. Ma queste cose, dio le faceva ai nemici: agli abitanti di Gerico, agli egiziani, non al suo popolo. In realtà, non è proprio così, perché di cose brutte che dio ha fatto al suo popolo è piena la Bibbia. Si pensi, per tutti, al caso del povero Giobbe, uomo giusto e operoso, che si vede cadere addosso una tegola di castigo divino dopo l’altra finché, esasperato, fa i pugni al cielo e grida di avere il diritto, anzi di pretendere, di sapere perché tutto questo proprio a lui. Ottenendo da dio, come risposta, una filippica volta a mortificare Giobbe ancor di più: che cosa ne sai tu, Giobbe, dei piani miei? Come puoi soltanto aver la presunzione di immaginare di poterli comprendere? Sei tu in grado di prendere all’amo il Leviatano? E, per meglio tappargli la bocca, gli rende tutto ciò che gli aveva preso – moglie, salute, averi – in modo che sia chiaro che tutto ciò che per lui, Giobbe, è così importante da definire la sua stessa vita, per dio è un’inezia, meno che un’elemosina, men che la moneta lanciata allo zampognaro perché si compri un bicchiere di vino e si tolga da zampognare sotto alle nostre finestre.
In un suo libro di qualche anno fa, Domenico Corradini scriveva che la cosa peggiore tra tutte quelle che dio ha fatto a Giobbe è stato defraudarlo del diritto di lamentarsi. In effetti, se i piani di dio sono tanto misteriosi, tanto insondabili per le possibilità delle umane menti, lamentarsi non ha senso e, anzi, è in linea di principio sbagliato. Se si assume che dio sia benevolo, almeno verso il suo popolo e verso i suoi giusti, si deve anche assumere che ciò che dio fa sia sempre motivato da un disegno orientato verso il bene loro. Semplifico un po’, non me ne voglia il teologo di servizio, ma è solo per rendere l’idea: un medico non sottopone sempre il paziente a cure indolori; ma se il medico ha a cuore la salute del paziente, e se il paziente si fida del medico, pur essendo troppo ignorante per capirne le complesse strategie terapeutiche, avrà senso che il paziente si dolga del cauterio – perché ciò è inevitabile, dato che il cauterio brucia le carni – ma non avrà senso che gridi “Perché questo a me?”. Se troviamo difficile capire anamnesi e cura, quanto più opaco dovrà apparire il piano di dio, che conosce cose delle quali non sospettiamo neppure l’esistenza. Anzi, che conosce cose che ancora non esistono, se non nella sua mente.
Ma Fanzaga, queste cose insondabili, le sa. Almeno in questo caso: dio ha mandato il terremoto in Abruzzo perché ha voluto che gli abruzzesi partecipassero della sua passione. Proviamo a vedere l’enormità di questa dichiarazione: quasi trecento persone morte di morti atroci, schiacciate, dilaniate dalle macerie. Alcuni sul colpo, altri dopo ore di agonia. Parenti – padri, madri, figli, nonni, nipoti – straziati dal dolore e annichiliti dall’impotenza. Una regione intera terrorizzata da uno dei terrori più atavici: la terra che ti manca da sotto ai piedi, la casa – il tuo rifugio, la tua sicurezza – che ti diviene nemica e ti cade sulla testa. Diciassettemila persone rimaste senza tetto e proiettate dalla poltrona del salotto, dal tavolo della cucina, dalla rassicurante camera da letto, a una brandina in una tenda tirata su in fretta e furia dalla protezione civile, condivisa con decine di altri sventurati. Migliaia di persone e di famiglie ferite nel profondo negli amori e distrutte negli averi. Opere pubbliche crollate al suolo, ospedali franati, strade inagibili, ponti crollati. Una devastazione nelle cose che, ogni mattina, rinnova la devastazione nell’animo al solo posarci sopra lo sguardo. Tutto questo, perché gli abruzzesi potessero partecipare della passione della settimana santa. Andiamo bene, ci sarebbe da dire. Se non fosse che, invece, andiamo male, anzi malissimo.
|
Ferrara, la statua di Girolamo Savonarola |
3. La presenza del male e della sofferenza nel mondo è sempre stato un problema per le religioni che assumono l’esistenza di un dio onnipotente e benevolo. Il tentativo di evitare la contraddizione ha dato origine alla c.d. “teodicea” (così nella terminologia di Leibniz, ma il concetto è assai risalente), una dottrina che, appunto, cerca di conciliare il male che esiste nel mondo con la infinita bontà di dio e con la sua altrettanto infinita onnipotenza. La domanda “Perché dio non impedisce il male?” è di quelle da mettere in crisi l’intera credenza, perché un dio onnipotente e buono non avrebbe motivo di lasciare che le persone soffrano: se è buono non può volere il male, se è onnipotente non può non essere in grado di impedirlo. La teodicea, appunto, è un problema di quelli grossi, perché deve cercare di conciliare la fede nella benevolenza del dio onnipotente con l’evidenza della sventura, della mala sorte, della disgrazia e dei lutti che colpiscono, indifferentemente, il buono e il malvagio, il giusto e l’empio, il pio e l’infedele. E la soluzione, in maniera più o meno raffinata, ripercorre la via del libro di Giobbe: non hai modo di conoscere il disegno divino, ma sai che è per la tua salvezza; perciò, vivi il dolore sapendo che esso non è fine a se stesso, ma parte di un piano la cui grandezza non puoi afferrare.
Quindi, il dio di Fanzaga è qualcosa di diverso dal dio di Giobbe, che sottopone a una prova crudele il giusto al fine ch’egli sappia che il disegno divino è insondabile per la sua mente inchiodata nelle strettoie dell’umana razionalità. Il dio di Fanzaga non ha piani insondabili, tant’è che essi sono alla portata della mente del direttore di Radio Maria, che senza tema di incorrere nel peccato di superbia li palesa, a beneficio dei più o, per meglio dire, a vantaggio dei distratti. Non è un dio vendicativo, non è un dio dai piani a lungo termine, bensì un dio vezzoso, che rade al suolo paesi interi per amore di coreografia. Nel racconto evangelico, la passione di Cristo è dolore. E l’iconografia cristiana è tutta volta a magnificare il dolore patito dal salvatore nelle carni, in modo che il fedele ne abbia immagine il più possibile vivida e, di fronte alle meravigliose opere dei maestri del medioevo e del rinascimento, possa forse giungere a immedesimarsi, per avere la sensazione di provare un’ombra di quel dolore. Fanzaga, con la sua frase, ci dice che dio ha voluto far di più, una specie di opera d’arte animata, un happening, di quelli che usavano negli anni Settanta ma, essendo dio onnipotente, molto più in grande. Tutti dentro all’opera d’arte, insomma, in modo che la condivisione del messaggio sia massima. E dato che il messaggio è il dolore, più dolore si prova e meglio è.
Dei fanatici religiosi, degli esaltati di tutte le fedi, c’è da avere paura. Fanatici religiosi hanno raso al suolo grattacieli pieni di gente, fanatici religiosi hanno fatto saltare in aria col tritolo opere d’arte millenarie, hanno messo bombe nelle cliniche dove si praticano interruzioni di gravidanza, hanno sparato a ginecologi, hanno lapidato donne, hanno praticato esorcismi a bambini vittime di attacchi di peritonite. Fanatici religiosi negano alle figlie vaccini contro tumori (il vaccino contro l’Human Papilloma Virus, causa di altissime percentuali di tumori al collo dell’utero, è rifiutato da molti cattolici in quanto potrebbe suggerire la praticabilità di una vita sessuale dissoluta, come scrive la rivista dei medici cattolici Medicina e morale, n. 2/2007). Fanatici religiosi negano trasfusioni, trapianti, decapitano eretici, ammazzano omosessuali; e via, in una lista pressoché infinita di dolori e di prevaricazioni che, in nome di dio, vengono consapevolmente inflitti ad altri.
4. Quando si parla di fanatici è facile e immediato pensare ad attentatori suicidi o agli ayatollah e alle loro fatwe. Ma il fanatismo non è solo quello che causa morte e devastazione, bensì quel modo di pensare che riconduce ogni domanda e che spiega ogni problema con un catalogo di certezze granitiche date dalla fede, di risposte preconfezionate buone per ogni caso. Il fanatico che indossa una cintura di esplosivo e si fa saltare in aria in un autobus gremito di bambini che vanno a scuola non ragiona in modo diverso dal fanatico che pensa che dire “Cristo è la risposta” sia il modo corretto di affrontare ogni contingenza. Il fanatismo, infatti, è un modo di vedere il mondo da una prospettiva unica e inamovibile, che ha come conseguenza pratica il piegarsi del mondo reale alla propria visione del mondo. Del resto, come scrive Adolf Hitler nel Mein Kampf, “una visione fanatica del mondo” è il requisito indispensabile per ottenere quella “stabilità morale” necessaria per consolidare un potere, costruendo persone prive di “fluttuazioni e dubbi”. E, infatti, chi si fa saltare in aria tra la folla di un mercato, non ha dubbi né fluttuazioni; e, neppure, hanno dubbi o fluttuazioni coloro che negano cure necessarie per ragioni “etiche”, né li ha chi predica contro l’uso del preservativo nelle terre funestate dal terribile morbo dell’Aids, ben sapendo che ciò comporterà soltanto una diffusione ancor peggiore del virus.
Né ha fluttuazioni e dubbi Fanzaga, per il quale chiunque critichi la sua visione del mondo è un “fesso” e un“cretino”, per il quale chi esprime il proprio dissenso verso il papa è “un indemoniato”, per il quale la teoria dell’evoluzione è “una storiella” che “fa ridere i polli”, per il quale “l’ateismo riduce la vita a uno sbadiglio”, quello che gli atei “se fossi il padreterno li sterminerei tutti” e che, infatti, dichiara di ribattere a chi gli dice di essere ateo e felice: “Ti venisse un cancro”. Un pensiero semplice, direi manicheo, che separa il mondo in due: da un lato lui e quelli che lo seguono, da un lato tutti gli altri, mescolati nella massa indifferenziata di coloro che stanno dalla parte del torto. Poco importa che questi, l’uno rispetto all’altro, siano diversi; perché, comunque, sono accomunati dal discostarsi dalla “visione fanatica del mondo” che Fanzaga, giorno dopo giorno, ripropone sempre uguale a se stessa, come è giusto che sia.
Si fa bene ad aver paura dei fanatici, perché i fanatici non si fermano di fronte a nulla. Il fanatico non ha tentennamenti, non ha dubbi. La sua visione del mondo è data una volta per tutte e non può cambiare. Da essa, il fanatico riceve certezze, ragioni per l’azione e, con esse, potenti cause di giustificazione, tanto più assolute in quanto provenienti direttamente dalla verità. I fanatici musulmani che compiono attentati suicidi conquistano direttamente il paradiso, tanto è giustificato e legittimo il loro gesto; i fanatici cristiani che “affrontano il martirio” (cioè muoiono una morte tanto insensata quanto inutile) divengono santi, tanto il loro gesto “porta testimonianza della fede”. I fanatici si fustigano da sé in macabre processioni o nel privato delle loro stanze, rifiutano di leggere libri condannati dalle gerarchie che modellano la loro visione del mondo (e, ciò che è peggio, li censurano ai loro figli), infliggono ai figli mutilazioni genitali, e via così, in una successione di pratiche virtualmente infinita.
Ma se i fanatici, per dir così, classici, fanno paura questi – Fanzaga e i suoi sostenitori – dovrebbero farne altrettanta e, se non li temiamo abbastanza, è solo perché li stiamo sottovalutando. Costoro, infatti, hanno una fede fanatica in un dio incomparabilmente più cattivo di quello che ti comanda di andare a far strage di innocenti per ragioni che, anche se non comprensibili nell’immediato, sono intese nobili per definizione. Il dio di queste persone, il dio che induce pensionati poveri a sottrarre parte dei loro risparmi per finanziare la radio di Fanzaga con donazioni, contributi ed elemosine, è un dio talmente crudele da gettare migliaia di persone nella costernazione più profonda solo perché si avvicina la pasqua, cioè la sua festa. Dato che i giorni che precedono la pasqua sono giorni di penitenza, questo dio, nella testa di Fanzaga, ha provato il capriccio di mandare tanta sofferenza in modo che i destinatari del suo gesto di distruzione potessero soffrire ancor di più, a maggior gloria sua.
Di geni, in giro, ce ne sono pochi. È una cosa triste, ma non possiamo farci molto. Di imbecilli ce ne sono molti di più, e anche questa non è cosa della quale andare allegri. Fanzaga è un imbecille? Non lo so, forse sì, forse è addirittura probabile che lo sia. Ma liquidarlo così, sebbene questa scorciatoia sia molto allettante, non sarebbe una cosa saggia. Fanzaga e i suoi sodali, imbecilli o meno che siano, sono soprattutto persone che odiano il genere umano. Persone cattive che credono in un dio cattivo, e dalle quali è legittimo aspettarsi di tutto.
Persio Tincani
|