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Quando un anarchico scopre Dio

Quando Oreste, l’anarchico diciannovenne protagonista del racconto La rigenerazione d’un anarchico (Sac. P. Paolo Valle salesiano, Torino, SEI, 1923), varca la soglia del carcere, è convinto che i compagni rimasti liberi, e per i quali si è sacrificato facendosi arrestare al posto loro, siano consapevoli della sua abnegazione e ne ammirino la coerenza rivoluzionaria. Ahimé, poveretto! Quegli infami cialtroni e fior di farabutti, là fuori, se la ridono, anzi, lo sbeffeggiano per l’ingenuità con la quale si è fregato con le sue stesse mani. Con questo illuminante incipit ha inizio la “rigenerazione dell’anarchico”, un lento processo che porterà il protagonista alla conversione e al definitivo e consolatorio rito della confessione. Sicuramente questa operetta morale prende le mosse da alcune rumorose conversioni verificatesi in quegli anni – di queste parleremo più avanti – ma, a dispetto delle apparenze e dell’argomento apparentemente risibile, non si tratta affatto di un testo banale. Anzi, è un lavoro ben strutturato e poco incline al sensazionalismo, nel quale la “conversione” viene descritta come un percorso naturale che può fare persino un anarchico, allorché sia capace di liberarsi dai “cattivi pensieri”.
Ma veniamo alla trama, tutta finalizzata alla descrizione dell’edificante pentimento dell’anarchico che si accosta a Dio. Nato a Parigi nel 1892, Oreste viene messo a balia in Alta Savoia dove farà il pastorello nelle amate montagne fino ai quindici anni quando, morta la nutrice, torna a Parigi. Qui, di fronte all’impatto con la miseria della metropoli, si sensibilizza alla questione sociale, smette di prendere messa, si indigna di fronte alla ipocrita emarginazione delle cosiddette donne “disonorate”, fa attività sindacale ed entra nella Gioventù Rivoluzionaria, dove conosce l’anarchia. Dopo una parentesi londinese, interrotta dalle attenzioni poliziesche, è costretto a lasciare l’Inghilterra per riparare in Belgio dove incontra Octave Garnier, componente della Banda Bonnot, con il quale inizia la pratica illegalista. Durante una “operazione” nel cuore della notte – sembra essere solo questa, per l’autore, l’attività degli anarchici — viene arrestato mentre fa il palo e sbattuto in prigione. Dopo un anno di carcere, quando c’è finalmente il processo, il povero Oreste confida in una pena mite, vista l’effettiva entità del reato. Ma proprio in quei giorni c’è stato il sanguinoso epilogo della Banda Bonnot con relativo assedio e sparatoria, per cui la giuria, spaventata dal péril anarchiste, lo condanna a 15 anni. Ma non bisogna arrabbiarsi, perché l’arresto, la condanna e il lungo isolamento saranno le condizioni necessarie a far maturare la conversione. Segno tangibile della Divina Provvidenza, le cui intenzioni sappiamo essere, per definizione, imperscrutabili.
Nella solitudine della cella Oreste passa il tempo leggendo, osservando la natura (che altro fare, poveretto?), tenendo un diario nel quale annota le proprie desolate riflessioni, ma soprattutto ricevendo le frequenti visite del cappellano (interessanti le riflessioni dell’autore su questa figura del mondo concentrazionario), e del direttore del penitenziario, un bravo cristiano altrettanto determinato nel facilitare la conversione di Oreste. E se questi simpatici avvoltoi non fossero sufficienti, ci si mettono anche due amorevoli gesuiti che, adocchiata la ghiotta preda, si ingegnano per non farsela scappare. Come se fosse poi necessario un altro aiuto, ecco aggiungersi alla brigata un carceriere reduce, pare incredibile, dagli esercizi spirituali. Davvero un concentrato di bravi e onesti cristiani questa galera dove langue un individuo condannato a quindici anni di isolamento per…aver fatto il palo durante un furto!
Come è facile prevedere, la storia non può che avere un lieto fine – del resto vista l’armata scesa in campo non ci potevano essere dubbi – e il povero Oreste, pressato dalle continue attenzioni di tutta quella brava gente, ritrova la fede e con essa la pace dell’anima. Ah, dimenticavo, per renderla completa, alla combriccola si era associato, in dirittura d’arrivo, un altro detenuto anarchico, tale M., che troverà pure lui la fede grazie alle conversazioni con Oreste. A questo punto l’ex anarchico convertito potrebbe pure ritornare in società, ma dato che di amnistia non se ne parla proprio e quindi non può essere liberato, ecco l’escamotage finale: Oreste, che ormai vive quasi solo di vita spirituale senza più interessarsi a quella materiale, trascura la salute, si ammala e, molto opportunamente, muore. Non prima però di una ultima preghiera sul letto di morte con M. perché altri detenuti possano, come loro, trovare la fede. Cosa che, miracolosamente, non tarderà a verificarsi e, anche se non ci viene detto se sono anarchici pure loro, possiamo ragionevolmente supporre di si.
Come detto il libro, nonostante una trama abbastanza ingenua, non è affatto banale, anzi, riesce a proporre alcune riflessioni di carattere sociale per nulla reazionarie ma animate da una intelligente riflessione sul rapporto che può correre tra l’anarchico mosso da un profondo senso di giustizia sociale e il cristiano mosso dall’amore universale per l’umanità. Del resto, come accennato all’inizio, non mancarono in quegli anni alcune conversioni che dettero argomenti all’ottimismo del sacerdote. Quando l’autore cita alcuni dei libri che Oreste legge nella solitudine della cella, non manca un best seller dell’epoca, quel Dal diavolo a Dio nel quale l’autore, il noto poeta francese anarchico Adolphe Retté, narra la propria conversione al cattolicesimo. Se quella fu la più famosa, e anche la più strumentalizzata dalla Chiesa – sei furono in pochi anni le edizioni e le ristampe – altre conversioni di anarchici italiani non mancarono di portare acqua al mulino del prete. Basterà citare Umberto Bambini, organizzatore di sezioni del Libero Pensiero che nel 1914 pubblicherà l’autobiografico Dall’anarchia alla chiesa, oppure il più noto Gino Del Guasta, il medico pisano autore di accesi libelli antireligiosi, già autore di un significativo Da Cristo all’anarchia, che, in conseguenza del fatale innamoramento senile per tale Suor Paola, compie il passaggio inverso diventando uno dei più accesi bigotti della sua città. Certamente nessuno dei neo convertiti era personaggio di spicco dell’anarchismo, eppure questi “cambiamenti d’umore” significarono qualcosa di più delle scelte individuali di alcuni anarchici. Soprattutto quando la facile retorica di un anticlericalismo superficiale e di maniera impediva di dare risposte serie e non scontate agli insinuanti sofismi del clero, minando così la capacità di mantenere la propria intelligenza libera dalle trappole del dogma.
Del resto la Chiesa non lesinava attenzioni nei confronti dell’anarchismo, il più combattivo e irriducibile vessillifero del laicismo e dell’ateismo militante. Gli episodi che stanno a dimostrarlo sono numerosi e qui ci limiteremo a riportarne alcuni, fra quelli meno conosciuti ma non per questo meno significativi. Pochi anni prima di questo libro, il vescovo di Fano aveva pubblicato un racconto altrettanto edificante, Il figlio dell’anarchico, nel quale il pargolo del maturo mangiapreti non solo si accostava alla fede nonostante i malvagissimi insegnamenti paterni, ma riusciva anche, da bravo cristiano militante, a portare in grembo alla Chiesa il reprobo genitore. Gli anarchici fanesi dovettero indire una sottoscrizione per pubblicare uno spigolosissimo libretto di risposta che rimettesse, come dovuto, le cose a posto. Con lo stesso titolo la popolarissima Carolina Invernizio narrava una vicenda altrettanto esemplare, ovviamente condita, visto il suo target, da una fosca storia di amore e tradimenti. Qui non ci fu una risposta diretta degli anarchici, anche perché scendere sul terreno dell’Invernizio non sarebbe stato né utile né decoroso. A ribattere alle mene clericali fu invece Elena Melli, la compagna di Malatesta, che fece togliere dalla sua tomba la croce che il bigotto nipote dell’anarchico vi aveva proditoriamente apposto, credendo forse, così, di poterlo annoverare, seppure post mortem, nelle schiere dei convertiti.
Non si pensi, però, che lo scontro fra il libero pensiero degli anarchici e la fede dei cristiani si combattesse solo con gesti simbolici o nelle pieghe dello spirito. La lotta, come sappiamo, era ben più estrema, e la Chiesa, quando non poteva blandire ciò che non si lasciava attratte nelle sue spire, ricorreva spesso e volentieri alla più dura repressione. Soprattutto là dove regimi clericali erano pronti ad obbedire alle direttive, per quanto feroci esse fossero, di vescovi e cardinali. Se in Italia la tradizione liberale risorgimentale e antipapalina riusciva a limitare la prepotenza clericale impedendo le infamie più vistose, in altri paesi, come ad esempio la Spagna, la volontà del clero diventava immediatamente quella del governo. Come verificò a sue spese, quando i preti lo fecero fucilare a Montjuich, il povero Francisco Ferrer. Se ci si riusciva con le buone a convertire un qualche anarchico, bene, altrimenti si potevano sempre utilizzare altri mezzi…

Massimo Ortalli


Povero illuso!
E qui il suo pensiero volava a’ suoi compagni, sopratutto ai più scalmanati ed ai dirigenti; e si figurava di udirli a fare la sua apologia; si compiaceva nel suo interno, perchè l’avrebbero tenuto come gloria perenne della loro fede e valido sostegno della loro causa. Povero illuso! Tranne qualche giovane amico, fuorviato ed illuso come lui, i suoi compagni di fede se la ridevano del suo caso; e lo giudicavano come un inesperto, un codardo che non ha saputo eludere la polizia, un novellino, vittima della sua semplicità. Ma sì: noi amiamo illuderci, e, d’altra parte, occhio non vede, cuore non crede. Presto conosceremo i nomi di tali compagni.

 

Pensieri crudeli
Oreste, avvicinato da Octave Garnier, che passava per uno dei maggiorenti del partito anarchico belga, ben presto ne divenne ammiratore ed amico. Egli non sospettava che quel perfido covasse dei pensieri crudeli; e, siccome il suo parlare si volgeva sempre sulle ingiustizie e scabrosità sociali, sulle palesi iniquità di certuni che passavano per galantuomini e non lo erano, il giovane anarchico parigino lo considerava come un apostolo dei tempi nuovi, come uno dei precursori di quella rivoluzione sociale che era il termine dei suoi sogni. Più tardi, quando, già nella solitudine della prigione, venne a sapere le criminali gesta del suo ipocrita maestro, Oreste ne detestava la malvagità e scrisse nel suo diario intimo: – « Una profonda tristezza mi ha veramente trafitto al sapere gli atti facinorosi di Garnier e compagni: ecco come si corrompe la natura di un anarchico! Rivoluzionario lo sono anch’io, è vero, ma tutti gli sforzi miei tendono piuttosto a far maturare una rivoluzione completa nello spirito di ciascuno, anzi che addestrare un branco di belve.

O religione o anarchia
Un pensatore di nostra parte, cattolico convinto e praticante, severo nella vita e nelle massime, scrisse che due cose sole trova coerenti nella vita degli uomini: la dottrina cattolica e le teorie degli anarchici. Ed è vero: o religione o anarchia. Quando sia da noi bandito ogni principio soprannaturale, quando la spiritualità sia un sogno, quando si voglia materializzare l’uomo e fare della terra la sua residenza definitiva, egli non potrà finire che nell’anarchia che è la riscossa contro ogni autorità. Se non si riconosce l’autorità di un Dio, creatore dell’universo, e giusto retribuitore della virtù e punitore del vizio, perchè si dovrà riconoscere la superiorità di un nostro simile, forse meno intelligente di noi, solo posto in alto dalla fortuna o dal capriccio di circostanze cieche e casuali?
Ecco in qual modo anche l’anarchia è una prova indiretta della verità della nostra santa Religione.


Onda di felicità
Nella stessa prigione vi era un detenuto di nome M. complice di Oreste, anarchico, arrestato con lui e amico fedele di lui. M. non volle mai recarsi alle istruzioni e nessuno pensava a ciò che avvenisse nell’anima sua, che invece era, non meno di quella di Oreste, attratta dalla grazia. Il fatto si è che nella Settimana Santa chiese di parlare col Padre H. che aveva predicato gli Esercizi Spirituali e, dopo diverse conferenze, concluse con una fervente confessione, il Venerdì Santo, l’opera della sua conversione!
L’onda di felicità che provò allora M. fu tanta che bramò farne parte all’amico. Scrisse un breve bigliettino e pregò il buon Padre che si degnasse di portarlo a Oreste colla nuova della sua conversione. Il Padre H. che capiva come il Cuore di Gesù l’avesse destinato a compiere le sue meravigliose misericordie, si munì delle debite autorizzazioni e si portò alla cella di Oreste. – Mio buon amico – gli dissi – ho il piacere di portarvi i saluti cordiali di M. e una notizia interessante: egli si è confessato!


Se Dio esistesse...
Che cosa avvenne allora dentro di me? Sentii un brivido serpeggiarmi per le vene: quindi cominciai a tremare con tutto il corpo. Il libro mi sfuggì dalle mani e dovetti appoggiarmi al tronco di un faggio. Ero come abbagliato da una luce interiore. Mi parve che si dileguassero i cupi nembi, che sopprimevano la fosca atmosfera dell’anima mia. Un non so quale splendore, doloroso a forza d’essere intenso, mi mostrò i miei vizi, rannicchiati come rospi nel pantano del cuore. Un rimorso e una gioia ineffabile mi solcavano a un tempo dalla testa ai piedi.
Ecco le parole precise, che pronunziai allora: – Che! Potrebbe dunque darsi che un’ispirazione tanto sublime fosse la prova esplicita della verità? Potrebbe darsi che la religione cattolica, così derisa da me, avesse ragione, quando afferma che un peccatore che si pente ed accetta con gioia la penitenza delle proprie colpe, diventa per ciò stesso degno di salire al Cielo?… Ma se in questi versi vi fosse qualche cos’altro, oltre una splendida fantasmagoria – posso dunque lavarmi dalle mie sozzure ed essere salvo?… Ma allora, allora sarebbe vero che Dio esiste? …
Rimasi alcuni minuti come trasognato; quindi ripresi: Oh! Se Dio esistesse, che fortuna per me!

Francisco Ferrer

Il 13 ottobre 1909
Nella bastiglia catalana
Francisco Ferrer
Educatore e pensatore
Cadde sotto il piombo del re
E dei gesuiti di Spagna
Con guardo fiso nei secoli
Che benediranno quel sangue
Da un meriggio radioso
Di verità e di giustizia


Le macchinazioni dei gesuiti
Così nel caso Ferrer il pretesto era l’ordine pubblico e la pubblica incolumità manomessi e violati; come in quello Dreyfus era stata la difesa della sicurezza nazionale dallo spionaggio minacciata.
I gesuiti Francesi, non potendo mettere a morte con un buon auto-da-fè l’aborrito giudeo (responsabile, come si sa, dell’uccisione di Cristo, commessa… dai suoi proavi) e per la architettura reità del quale si volevano riaccendere le lotte confessionali, avevano rimescolata tutta la poltiglia legittimista e clericale delle caserme galliche, per insozzarne il malcapitato. Ed erano, in realtà, riusciti a renderlo antipatico anche alle folle.
Le stesse macchinazioni i gesuiti di Spagna avevan posto da tempo in opera contro Francisco Ferrer e contro gli istituti di educazione e di istruzione razionalista da lui fondati.


Chiese, non Chiesa
Ma io dico bensì di quella profonda notte della ragione, che si assopisce nei versetti del Sinai, e si addormenta nei funebri salmi per la conquista del paradiso; parlo di quel pauroso impero sulle anime, che fu nei secoli dannazione del pensiero di questo infaticabile artigiano di verità e di progresso; e come fu catena alle menti, fu tortura, strazio, perdizione dei corpi. E chi può ridire nell’impeto di questa rievocazione commossa dell’ultimo martire, tutto il martirologio enorme in questa contesa spietata tra la Chiesa e le scoperte della scienza, e le insurrezioni del libero esame? …
Notate, o cittadini, che dissi Chiese, non Chiesa. Giacché se quella di Roma ardeva, per la sua eresia filosofica, il fiero Nolano – di rimando la Calvinista Ginevra inceneriva Serveto, un frate cattolico dotto e coraggioso. Giacché a dispetto della mansueta parola di Cristo, le confessioni cristiane si emularono nella intransigenza e nella sopraffazione reciproca.

Massimo Ortalli