1. Ci si trova sempre più spesso di fronte a comunicazioni furbescamente ambigue, fino a rimanere incerti circa il loro significato. A volte – come in certe pubblicità –, capita di trovarvi associati due prodotti diversi – un film ed un automobile, per esempio, o un orologio ed un aperitivo, o, per venire al sodo, una linea di insetticidi ed un programma politico.
2. Ci passo più volte e ogni volta è più nitida la sensazione che qualcosa non mi torni. Allora ci torno apposta e me lo guardo per bene.
C’è uno sfondo nero nero che non promette niente di buono, una scritta in giallo in caratteri di minacciosa fantasia orientaleggiante, altre scritte in caratteri spigolosamente squadrati bianchi dai perimetri rossi, sei fotogrammi che inscatolano altrettanti insetti – per un complessivo risultato che potremmo definire “neo-espressionistico”. La scritta in giallo è un nome che mi è noto fin da bambino, il nome dell’eroe delle mie prime letture, Sandokan, che qui, però, risulta immediatamente strappato al suo contesto salgariano. Più che combattere contro gli inglesi, a metà Ottocento, per la libertà della sua isola di Mompracem, qui Sandokan, anche a giudicare dalle immagini riprodotte in quei fotogrammi, combatte contro zanzare, acari, ragni, formiche e vespe – è un insetticida o, meglio, a giudicare dall’ampiezza della gamma dei suoi nemici, è una linea di insetticidi. Le altre due scritte, infatti, dicono rispettivamente “insetti clandestini?” – ed è una domanda –, “ferma l’invasione”, sottinteso tramite Sandokan, ed è la risposta. L’estate è vicina, le zanzare stanno già affilando i loro pungiglioni, ragni, acari, formiche e vespe ci stanno accerchiando prima di dare il via alla loro soluzione finale. Il minimo che si possa fare è difendersi.
Il messaggio è chiaro e, pertanto, sarei tentato di archiviarlo in via definitiva correndo dall’insetticidivendolo più vicino a far incetta di Sandokan. Ma non ci vado.
3. Non ci vado perché ho capito cosa non mi torna. Fino ad oggi – sessantaquattro anni di competenza linguistica più e meno espressa –, non ho mai categorizzato un insetto come “clandestino”. Perché non ho mai visto un insetto con tanto di passaporto o di carta d’identità e perché l’insetto, in quanto tale, nella sua minuscolità intrinseca, se Dio vuole è sempre clandestino – se ne avessimo l’ampia percezione che ce ne offre il manifesto di Sandokan non vivremmo più. Come sempre, la ridondanza è sospetta. Di “invasione”, poi, a dire il vero, ne potrei aver parlato a proposito di formiche – qualche anno fa, al mare, mi ricordo una sciagurata vacanza in cui potrei aver usato questa espressione –, ma ad un’invasione di acari e soci, sinceramente, non ho mai assistito. L’invito, infine, è troppo perentorio – sa di imperativo. Se, invece, rivolgessi le mie attenzioni, non alla sfera semantica dei miei rapporti con gli insetti, ma alla sfera semantica dei rapporti di altri con altri, ecco che quello che poteva sembrare un messaggio chiarissimo e univoco, all’improvviso, diventa oscuro e polivoco o, meglio, chiarissimo in tutt’altro significato. Nell’apparato retorico di alcune forze politiche – alcune di quelle impegnate in questa campagna elettorale –, infatti, figurano spesso sia termini come “clandestino” e come “invasione”, e ciò mi induce a non poter considerare del tutto casuale né innocente il messaggio perché surrettiziamente consigliante un’analogia in merito alla quale “insetto” non designerebbe più quella particolare specie animale ma un essere umano.
Qualcuno potrà rimanere in dubbio tra la prima, la seconda e la terza interpretazione – indeciso se trovarsi di fronte alla pubblicità di un insetticida o ad un programma elettorale razzista, o a tutte e due – e il principio di tolleranza insito in ogni relazione comunicativa (mai pretendere che la propria interpretazione sia l’unica giusta) glielo consentirebbe, ma a me, sinceramente, riuscirebbe difficile giustificarlo. Non solo se fosse certezza – come di fatto è –, ma anche se rimanesse al solo stadio del dubbio, ce ne sarebbe più che a sufficienza per preoccuparsene seriamente – come se ci accorgessimo all’improvviso che qualcuno vicino a noi è gravemente malato e che lo stadio di questa malattia non consentirà più in alcun modo una serena convivenza.
4. Ci andrei cauto con Sandokan. Prima di scegliere i nomi occorre pensarci bene. Le analogie reggono bene fin che reggono e, a volte, possono mostrare crepe paurose. È vero che Sandokan difende la propria isola, Mompracem, dagli invasori inglesi. È vero che, pur con molti alti e bassi, in questa sua opera risulta micidiale, è vero che ne fa secchi stecchiti parecchi – e fin qui diciamo che nel suo nome possiamo sentirci più forti nella sempiterna nostra lotta contro le zanzare e gli altri insetti molesti. Ma è anche vero che, alla fine, nella vana speranza di far fuori gli inglesi, fa saltare l’isola intera. Non so se mi spiego.
5. Fuor di metafora o, almeno, fuori da questa metafora, gli insetti tornano ad inquietarmi nell’ultimo libro di Guido Ceronetti. Autoproclamandosi “filosofo ignoto”, Ceronetti fonda Insetti senza frontiere, “un’associazione senza fini di lucro che si propone la salvaguardia e dov’è possibile la promozione di ogni specie di insetti in tutte le parti e i luoghi del mondo”. Denunciando come “ingiuriose e lesive per la dignità della condizione di insetto locuzioni correnti come ‘noioso peggio di un insetto’, ‘ti schiaccerò come un insetto’”, etc., Ceronetti, caustico e amaro, pone il mondo umano di fronte alla sua paura della diversità e lo fa scegliendo come termine di confronto la diversità più drastica. “Facile è amare insetti che troviamo bellissimi, rari, figli del musicale ronzare lontano dai Tristi Tropici”, dice al 230esimo aforisma, “difficile l’amore per le mosche, scarafaggi, zanzare. Se li ami, se gli concedi un angolo della tua carne perché si sfamino, sei già rinato Buddha”.
5. Tuttavia, al 23esimo aforisma, Ceronetti dice anche che “Se c’è una parola che non comprendi, che ti sembra oscura, perché rimproverarlo a chi l’ha scritta o pronunciata, perché sforzarti inutilmente di capire e arrabbiarti se non penetri in quella parola? Semplicemente quel messaggio non era destinato a te, ma ad altri. Il messaggio, là dove deve arrivare, arriva”. Il che – sono fin spiacente di doverlo tacciare di ottimismo – è, per l’appunto, quel che purtroppo accade, temo, con la pubblicità della linea di insetticidi. Io mi arrabbio anche se ne comprendo il messaggio, capisco che non è per me e capisco che è destinato ad altri e, ahinoi, sono anche convinto che – senza che io possa farci granché – “là dove deve arrivare, arriva”. Come difenderne coloro cui è destinato?
Felice Accame
Nota
Insetti senza frontiere di Guido Ceronetti è pubblicato da Adelphi (Milano 2009).
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