esperienze a confronto
Potenzialità e limiti dei comitati locali
di Stefano Boni e Andrea Pirondini
Non ci sono solo no-Tav, no-Ponte e no-Dal Molin. Sono centinaia i comitati locali, nati su specifici obiettivi. Dentro ci sono compagni, tanti. Proviamo a rifletterci su un attimo.
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Non c’è nulla di rivoluzionario, in tutto ciò, e questo lo si vuole sottolineare a scanso di equivoci. Siamo comunque interessati a descrivere ed analizzare un fenomeno non certo nuovo ma in crescita su tutta la penisola: quello dei comitati. Oltre ai noti No TAV e No Dal Molin, esistono una miriade di comitati locali più o meno incisivi e militanti, sempre comunque ben radicati sul territorio per contrastare decisioni calate dall’alto e vissute come ingiuste.
Forse oggi i comitati sono la forma di partecipazione politica più comune, sicuramente quella in più in rapida espansione, e mostrano tratti che dovrebbero destare interesse anche tra gli anarchici: la conduzione è tendenzialmente autogestionaria e la protesta è in genere improntata ad una critica decisa, che non si accontenta di mediazioni o promesse. Caratteristiche queste che dovrebbero stimolare la nostra attenzione almeno per cercare di capire l’espressione spontanea di persone che non subiscono supinamente ma che anzi alzano la voce.
Proviamo, allora, attraverso il racconto di alcune esperienze, ad analizzare i pro ed i contro di tale partecipazione sforzandoci di trovare le caratteristiche comuni che, pur nell’assoluta eterogeneità delle diverse situazioni, si ripetono come costanti. Anche perché, a quanto pare, non sono pochi i compagni, anarchici, libertari e non, che vedono con simpatia o collaborano, come singoli o gruppi, o sono membri attivi all’interno di un qualche comitato.
Chi scrive questo articolo ha scelto di provare a partecipare, con più o meno convinzione e tenacia, alle attività dei comitati il cui percorso trovate raccontato in questa pagina.
Aspetti positivi
Tra gli aspetti più positivi, segnaliamo:
Adesione e composizione. L’adesione è traversale all’interno degli orientamenti politici, delle professioni e dell’età: i comitati spesso danno la parola a chi è estraneo ai palcoscenici politici ufficiali e hanno la capacità di parlare, interessare, coinvolgere la cittadinanza nel suo complesso, anche quella che per buona parte della sua esistenza è stata ostinatamente indifferente. È pressoché impossibile identificare un ‘militante tipo’: partecipano indifferentemente studenti e pensionati, operai e insegnanti, mamme e nonni più o meno moderati o incazzati. Quello che conta è unire gli sforzi per l’obiettivo comune, il mettersi insieme viene percepito, nel sentire condiviso, come la risposta più convincente alle perverse scelte istituzionali.
Forma e capacità organizzativa. La forma di mobilitazione è tendenzialmente autogestionaria. In genere si tratta, almeno nella prima fase della vita dei comitati, quella di costituzione e avvio, di una forma organizzativa orizzontale e sostanzialmente egualitaria nei rapporti interpersonali. L’organo deliberativo è in genere l’assemblea di gestione settimanale o mensile aperta; può essere presente un tavolo di coordinamento ma le decisioni passano necessariamente al vaglio assembleare, dopo una discussione in cui c’è la possibilità di intervenire e di spostare l’orientamento prevalente. I fondi dei comitati derivano da sottoscrizioni, attività di autofinanziamento e, di conseguenza, le loro attività sono improntate al contenimento delle spese e all’utilizzo delle competenze presenti tra gli attivisti. La capacità organizzativa, a volte davvero notevole, si basa sulla spontanea adesione delle persone e avviene su obiettivi, delimitati, circoscritti, chiari ed avvertiti come un pericolo a cui opporsi.
Assunzione di responsabilità individuale. Informarsi, approfondire, documentarsi viene vissuto come una necessità dal momento che non ci si può fidare delle rassicuranti notizie erogate da questa o quella istituzione sempre tese a tranquillizzare. Per rafforzare le ragioni della protesta, all’interno dei comitati, ci si confronta durante le assemblee e nelle feste di auto-finanziamento; si cerca di capire, rintracciando documenti; si organizzano per la cittadinanza incontri informativi con esperti; si organizzano proteste e manifestazioni, anche di grande impatto; si organizzano volantini, giornalini, manifesti per informare la popolazione. Attraverso l’assunzione di responsabilità verso obiettivi comuni, si rigenerano reti di convivialità comunitaria e un tessuto sociale attivo, in grado di esercitare un peso politico.
Rapporti con partiti e istituzioni. Nei comitati ha il sopravvento lo scetticismo e la voglia di distanza nei confronti della politica ufficiale. Il rapporto dei comitati con le istituzioni politiche è frustrante perché si constatata direttamente l’assurdità delle procedure burocratiche e la distanza tra ciò che viene detto dai governanti e ciò che fanno; perché si smaschera con chiarezza la sete di potere e gli intrecci perversi tra i politici dei vari livelli e tra questi e gli imprenditori; perché ci si rende conto in prima persona dell’arroganza istituzionale e dell’impermeabilità delle istituzioni alle critiche, alle richieste di trasparenza, alle osservazioni che vengono dal basso. In questo contesto subentra, inevitabile, il disincanto prima e lo scontro con le amministrazioni poi. Lo scetticismo verso le istituzioni cresce man mano che la lotta dei comitati procede e si capisce sempre meglio le dinamiche perverse del funzionamento delle istituzioni. Spesso si rimane sorpresi nell’ascoltare giudizi radicali, senza appello, provenire da persone, aderenti ai comitati, che per tutta la vita hanno creduto, sostenuto e votato quel “sistema” che ora così fermamente condannano.
I comitati nascono quindi da una critica alle politiche su scala locale e si nutrono della consapevolezza che i governi locali sono incapaci di offrire una soluzione alle questioni sollevate. Lo scetticismo investe le amministrazioni e l’opposizione, con cui si stringono relazioni limitate per obbiettivi strategici (un’interrogazione al consiglio comunale, ottenere un documento). Un coinvolgimento più stretto con un partito alienerebbe buona parte degli attivisti; di conseguenza, molti comitati si dichiarano apartitici. I partiti sono tenuti fuori dalle assemblee, le adesioni dei singoli rappresentanti di partiti sono su base individuale. Diversi comitati chiedono ai partecipanti alle manifestazioni di non portare bandiere di partiti.
Comunicazione, mezzi e fini. Nonostante l’ostinata ricerca di rapporti costruttivi con i mezzi di comunicazione ufficiali, i comitati acquistano consapevolezza che ne sono esclusi e che l’informazione libera è una chimera: solo chi possiede giornali, radio e televisioni, o chi li controlla, ha la possibilità di esprimersi, con buona pace della democrazia. I comitati sviluppano un atteggiamento di forte critica rispetto ai mezzi d’informazione egemonici. Nel momento in cui TV, giornali locali e nazionali, parlano di eventi (manifestazioni, dichiarazioni di politici, situazione ambientale) di cui il comitato ha informazioni dettagliate di prima mano, cresce la rabbia perché emerge la consapevolezza della sistematicità della manipolazione mass-mediatica; appare evidente che i giornalisti svolgono una funzionale di occultamento delle criticità (inquinamento, affari loschi, contraddizioni istituzionali), di legittimazione a priori delle scelte dei potenti, e di criminalizzazione di chi oppone resistenza. Il fatto che i comitati non abbiano spazio sui mass-media (non sono i comitati che si raccontano ma i giornalisti che raccontano i comitati) favorisce la diffusione di un sapere circolare in netta contrapposizione sia perché propone contenuti sostanzialmente diversi sia perché l’informazione viene forgiata dalla e nella società piuttosto che delegare la gestione e diffusione della conoscenza a giornalisti professionisti o tecnocrati. In genere i comitati, anche facilitati da rapporti di prossimità, cercano un contatto diretto con le persone (volantinaggi, mailing lists, banchetti, incontri informativi, manifestazioni) che hanno un buon successo, sebbene ci si renda conto che non basta e che purtroppo sono i mezzi d’informazione a fare opinione.
Aspetti
negativi
Gli aspetti che destano maggiore perplessità sono i seguenti:
Interessi limitati. La forza dei comitati, cioè raccogliere il consenso e organizzare la protesta su obiettivi circoscritti e limitati, è anche il maggior punto di debolezza: difficilmente si passa da un problema locale ad una proposta politica complessiva. Intendiamoci, spesso emerge la consapevolezza che le cause dei vari problemi sono esterne e riguardano i temi più ampi della politica, spesso c’è una sensibilità ecologica generalizzata, che trascende il particolare campo di lotta e che si traduce in forme di coordinamento regionale dei vari comitati e nell’appoggio a forme di agricoltura biologica e a filiere corte tra produttore e consumatore; quello che manca è la volontà di una trasformazione radicale e d’insieme. Le analisi più generali cozzano con l’eterogeneità dei partecipanti ai comitati, persone con un retroterra culturale e politico molto differente ed inevitabilmente inconciliabile.
Comitati reazionari. Alcuni comitati sorgono su posizioni difficilmente accettabili, reazionarie, cattoliche, xenofobe come ad esempio i numerosi comitati di quartiere per la sicurezza. La richiesta di aumentare i controlli, il numero degli agenti di polizia e via dicendo nasconde un’idea di società militarizzata non condivisibile. D’altra parte è risaputo che il risultato che spesso si ottiene è semplicemente quello di spostare il problema in altre zone della città o del territorio. Curiosamente, sono proprio questi comitati ad avere un rapporto più costruttivo con le istituzioni.
Tendenza legalista. Il distacco dalle istituzioni e dai mezzi di comunicazione è parziale. I comitati si preoccupano di agire all’interno dei canoni della legge e di non compiere azioni che potrebbero essere strumentalizzate dai mass-media. Queste preoccupazioni portano diversi comitati a rinunciare all’azione diretta, al sabotaggio, allo scontro. Le attività del comitato si limitano, quindi, a quelle concesse dalle istituzioni (raccolte di firme, propaganda, colloqui più o meno formali con esponenti politici, esposti, ricorsi al TAR). In definitiva i comitati hanno un atteggiamento contraddittorio, le istituzioni vengono aspramente criticate ma vengono anche ritenute l’unica risoluzione possibile.
Soluzione elettorale. Alcuni comitati, in genere quelli meglio organizzati e con più esperienza alle spalle, ad un certo momento tentano l’avventura elettorale, costituendosi in liste civiche a volte sponsorizzate da partiti infiltrati, in modo più o meno occulto. Il processo di istituzionalizzazione e accentramento del potere prevede la costituzione di una associazione, di un gruppo dirigente ed infine della lista civica, trampolino di lancio elettorale per protagonisti ambiziosi e carismatici. Nonostante le poche speranze di eleggere anche un solo consigliere, per alcuni le elezioni rappresentano l’unico sbocco possibile per dare continuità e incisività alla lotta intrapresa. Il ragionamento che muove verso tale scelta è grosso modo il seguente: “Dal momento che i politici legati ai partiti sono compromessi ed inaffidabili, allora eleggiamo i nostri candidati che sono persone pulite e di fiducia”. In altre parole si ritiene che a non funzionare siano le persone e non il sistema. Basta cambiare i volti ed il gioco è fatto. Evidentemente si tratta di una semplificazione dal fiato corto perché la realtà delle cose è spesso più complessa. Molti dei problemi contro cui si battono i comitati sono generati da scelte orchestrate da un sistema economico-politico-istituzionale di cui i politici di turno sono solo meri esecutori. Le buone intenzioni inesorabilmente si infrangono contro questo blocco di potere.
Fallimento e dissoluzione. La maggior parte dei comitati non ottengono gli obbiettivi prefissati. In definitiva la sorte della lotta non dipende tanto dalla capacità di mobilitare consenso quanto dalle decisioni dei potentati politico-finanziari che possono decidere di interrompere i progetti contro i quali il comitato si era costituito. Con qualche eccezione (Val di Susa, Scansano) di comitati che non si sono limitati a forme di lotta istituzionalizzate ma che hanno usato il consenso per innalzare il livello dello scontro fin a far retrocedere lo stato, la sorte dei comitati è decisa,in definitiva, dalle mosse di governanti, giudici e imprenditori. Spesso, nonostante scempi ambientali, danni per la salute pubblica e dubbi sulla legalità delle operazioni, i progetti vanno avanti. Una volta respinti i ricorsi e constato il fallimento della lista elettorale, i comitati, spaesati, devono accettare il fallimento della strategia di lotta adottata. Raramente si sviluppano immediatamente forme di attivismo più efficaci; più spesso rimane una cittadinanza frustrata che in futuro potrebbe assumere forme di lotta più coerenti e radicali.
In ogni comitato coesistono aspetti positivi e negativi e a priori non è scritto da nessuna parte quali diventeranno predominanti. Solo la partecipazione, la presenza, in altre parole esserci con i nostri contenuti, offrendo il nostro contributo ed un punto di vista diverso può, forse, modificare in positivo queste esperienze.
Stefano Boni, Andrea Pirondini
esperienze a confronto
Comitato Modena
Salute ed Ambiente,
Modena
L’inceneritore di Modena, costruito nel 1980, dista solo 4 km dal centro storico della città. Sorto per bruciare 60.000 t/anno di rifiuti, nel 1993 subisce un primo raddoppio che lo porta a 120.000 t/anno. Nel 2005 viene deciso un nuovo raddoppio, portandolo ad essere l’inceneritore più grande di tutta la regione, con le attuali 240.000 t/anno. Questa situazione è stata voluta dal Comune di Modena allorché controllava al 100% la multiutility locale Meta. Tre anni dopo la quotazione in borsa (2003), Meta confluisce nel colosso bolognese Hera spa, inserendo il raddoppio di Modena nel piano di potenziamento di altri 4 inceneritori (Bologna, Ferrara, Forlì e Rimini).
La lotta del Comitato Modena Salute ed Ambiente contro al raddoppio dell’inceneritore, portata avanti con una serie di iniziative di protesta e sensibilizzazione (presidi, banchetti informativi, dibattiti, ecc.) ha ottenuto un primo risultato evidenziando la mancata adozione della migliore tecnologia in fatto di filtri catalitici. Filtri che Hera ha dovuto adottare in fase di progettazione. Il riesame dell’iter autorizzativi (AIA) ha poi indotto il Comitato a presentare un ricorso al TAR di Bologna. La sentenza a favore del Comitato è stata impugnata da Hera e dalla Provincia di Modena di fronte al Consiglio di Stato. Nel frattempo la stessa Provincia di Modena ha avviato una nuova AIA per sopperire alle mancanze della prima, annullando di fatto quest’ultimo ricorso.
Comune e provincia di Modena hanno sempre opposto una chiusura totale alle richieste del Comitato, nonostante la presa di posizione dell’Ordine provinciale (2006) e regionale (2007) dei medici. La maggioranza del consiglio comunale (area PD) ha addirittura bocciato una Delibera di Iniziativa Popolare che intendeva estendere il sistema di raccolta differenziata porta a porta su tutta la città. Nelle recenti consultazioni elettorali il Comitato si è dichiarato apartitico sostenendo chi è favorevole alla lotta contro l’inceneritore.
Contatti: www.modenasaluteambiente.it
Andrea Pirondini |
esperienze a confronto
Il comitato “Bene Comune” di Lasino,
Valle dei Laghi, Trentino sud-occidentale
Il comitato “Bene Comune” è nato nel dicembre 2008, quando, la popolazione di Lasino è venuta a conoscenza, in una accesa assemblea pubblica, che l’amministrazione comunale aveva intenzione di localizzare un impianto di smaltimento rifiuti organici – detto biodigestore – con lo scopo di servire tutto il Trentino sud occidentale.
Il comitato fin da subito si è posto in modo critico rispetto a un progetto per molti versi negativo. I motivi sono sintetizzati in questi punti:
- l’area che è stata proposta dal comune per la costruzione dell’impianto è solamente a 600 metri in linea d’aria dalle case di un altro comune, Calavino, scelta che va in contrasto con una norma provinciale che impone una distanza minima di 1000 metri dall’abitato;
- la costruzione dell’impianto avrebbe portato in valle più di mille camion all’anno per il trasporto dei rifiuti;
- la grandezza dell’impianto (25 mila tonnellate anno), richiedeva una gestione del progetto di tipo sovra comunale, vista anche l’imminente nascita di una “Comunità di Valle” e non poteva essere decisa da un solo comune;
- l’iter attraverso il quale questo progetto è stato portato avanti dal Consiglio comunale di Lasino è piuttosto discutibile sia in termini di coinvolgimento di alcuni membri della maggioranza stessa, sia dal punto di vista della relazione e della partecipazione con la popolazione del paese.
Il “Bene Comune” per più di cinque mesi ha portato avanti un’interessante esperienza: fissando appuntamenti settimanali che hanno coinvolto in assemblee, nei momenti topici, più di quaranta persone per volta; raccogliendo 1300 firme per la sospensione del progetto; organizzando una manifestazione e due serate informative che hanno interessato centinaia di persone.
Oltre che battersi per impedire la costruzione del mega impianto, il Comitato ha provato a fornire anche una soluzione alternativa come quella del compostaggio domestico dei rifiuti organici che, sicuramente, avrebbe un impatto più dolce sull’ambiente.
I soggetti che hanno animato questa esperienza hanno portato avanti soprattutto nella fase iniziale, quando non c’ era ancora un portavoce fisso all’interno del gruppo pratiche di autogestione tendenti all’orizzontalità. Il Comitato specialmente nell’ultimo periodo, avendo acquisito più visibilità, si è relazionato e ha dialogato anche con partiti politici che hanno – spesso per ragioni opportunistiche – sposato la causa.
Le relazioni con partiti e con i loro rappresentanti – Consiglieri Provinciali – possono aver dato forza alle ragioni del Comitato (che sembra per ora aver vinto la battaglia), ma al tempo stesso hanno fatto rientrare nelle consuete dinamiche “partitiche” un percorso nato dal basso che aveva messo in luce i limiti di una politica incapace di rispettare il territorio e le ragioni di chi lo vive.
Contatti: http://officinambiente.blogspot.com/
Jacopo Zannini |
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Comitato contro l’ampliamento
dell’aeroporto di Ampugnano,
Sovicille, Siena
Il Comitato contro l’Ampliamento dell’Aeroporto di Ampugnano nasce nell’estate 2007 in risposta ad una operazione promossa dal Banca Monte dei Paschi (MPS), il potere finanziario dominante nella Provincia di Siena, e il PD locale. Il progetto di ampliamento dell’aeroporto di Ampugnano che fino ad oggi rimane un piccolo aeroporto di provincia, non è mai stato esplicitato con esattezza dai proponenti: sono circolate diversi piani di allargamento ma l’intera operazione è stata caratterizzata da un denso silenzio istituzionale. E’ comunque evidente che nel Marzo 2007 il MPS, in sodalizio con il PD locale, aveva già stretto accordi con il fondo di investimenti Galaxy, senza passare per un appalto pubblico, per ricapitalizzare l’aeroporto ed ampliarlo sostanzialmente (si farà una gara solo nel settembre 2007 e la vincerà… Galaxy). In sostanza, il progetto combina avventurismo imprenditoriale, menefreghismo ambientale e speculazione politico-finanziaria.
A luglio 2007 si costituisce il comitato che raccoglie il variegato malcontento dei cittadini preoccupati della devastazione ambientale (cementificazione, contaminazione del suolo e delle falde acquifere, obbrobrio paesaggistico, inquinamento acustico) e del danneggiamento alle attività turistiche nelle immediate vicinanze della sede aeroportuale. Il comitato organizza banchetti informativi, da vita ad assemblee a cui assistono diverse centinaia di persone e arriva a raccogliere quattromila adesioni. Ad ottobre 2007 un’assemblea organizzata dai proponenti (politici PD e Galaxy) per legittimare il progetto si trasforma in protesta popolare: i discorsi dei politici sono sommersi da fischi e la gente prende la parola per dichiarare una contrarietà irriducibile. Nel novembre 2007 il Comitato organizza la più grande manifestazione a Siena dagli anni Settanta. Nel febbraio 2008 esponenti del comitato occupano la sala consigliare del comune per impedire l’approvazione del piano strutturale che sancisce l’ampliamento. Da quel momento il Comitato, preoccupato dagli attacchi della stampa locale, fa prevalere la moderazione: si esclude qualsiasi forma di azione diretta e si rinuncia a chiedere un referendum municipale.
Le delibere che privatizzano l’aeroporto e consentono l’ampliamento sono approvate a marzo. Il comitato intensifica gli incontri con i politici; presenta esposti e ricorsi al TAR; cerca organi di stampa amici; si da una veste legale costituendosi in associazione; tratta con la Regione un programma ‘partecipativo’ per discutere dell’ampliamento. L’entusiasmo e l’adesione scema man mano che il comitato viene monopolizzato in maniera sempre più invadente da pochi personaggi carismatici ed aumenta l’influenza di associazioni e partiti politici (liste civiche senesi, Rifondazione e Lega). Infine, la spaccatura annunciata alle elezioni locali del giugno 2009: la maggior parte dei membri carismatici presenta una lista civica che raccoglie l’adesione del centro-destra ma si ferma al 33%; altri si candidano con Rifondazione (13%); confermato il sindaco PD pro-aeroporto (54%).
Contatti: http://www.comitatoampugnano.it
Stefano Boni |
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