La dico così: l’ago della bilancia sullo stato delle cose presenti è orientato più sui vizi privati che sulle pubbliche virtù. Si sa, nei percorsi mistici queste e quelli decadono dal giudizio moralistico: l’essere si smarca dal dover-essere. In quella lingua ritrovata con il lavoro dell’autocoscienza e a prescindere dalla logica del discorso dialettico, Carla Lonzi chiama l’insorgenza d’essere e di non-essere autenticità.
Non so attraverso quali improbabili connessioni mi sia giunta l’immagine che sto per mettere in parole, ma dal titolo di un articolo sul Manifesto (Ida Dominijanni, 9 Luglio), «The Guardian» Italiani adatti a un premier inadatto, ho colto una verità. E, al contempo, torna alla mente un’affermazione della filosofa Luisa Muraro: l’Italia è sempre stata una fucina di invenzione politica.
A ridosso di questa constatazione e a partire da quel titolo, mi sento investita da un’ondata di ottimismo. Lungi dal considerarlo offensivo o lusinghiero, l’azzeccato gioco di parole fa luce nel turbinio delle letture possibili e invera il dettato di quella osservazione. Alla lettera dell’adatti all’inadatto, l’ossimoro si staglia come la più appassionante delle figure retoriche. Poeticamente fertile perché deludente aspettative sul reale e appiattimenti sul sociale, forma sempre ridefinibile del simbolico, l’ossimoro in questione mi fa pensar bene.
Senza troppo esagerare, essere “adatti all’inadatto” mi consente deviarlo su una sorta di funambolica capacità di stare all’incapacità, in grado di vivere e creare malgrado e forse proprio grazie all’inadatto. È impensata capacità quella di sopportare una certa follia che dischiude l’orizzonte degli inizi… La scrittrice Clarice Lispector la condensa in un lampo aforistico: …una madre è talmente folle che da lei nascono figli.
Non si tratta di un passo avanti o un passo indietro, in linea con i punti di vista conformi e secondo le opinioni assodate; si tratta piuttosto di una ridente, ridanciana per meglio dire, movenza di equilibrio bilanciata tra insorgere al mondo, esserci e fare mondo adombrando un’afona risonanza caotica. A delineare spazi dove il possibile strappa un po’ di terreno mentale-simbolico all’impossibile.
Differenza
d’autorità
Il vento dell’ispirazione e la passione politica inducono, per un vago trasporto, alcune domande. Starci e non starci alle misure del mondo, esserci e non fare secondo schemi prefissati è rasentare la follia e l’efficacia? Il politicamente scorretto dischiude impensati percorsi che già viviamo? La delega, la rappresentanza, l’agognata governance della democrazia elettiva sono davvero indispensabili alla convivenza umana? O si ergono piuttosto come muri a difesa del potere che si difende arroccandosi? Le vaghezze del sogno, che li riformula statue dai piedi di argilla, fanno tremare i sistemi di potere addobbati con ricorrenti ideologie?…
All’ombra di piccole-grandi capacità viventi, operanti e sognanti sembra che le certezzedi uomini incapaci a sostenerne le pubbliche caducità perdano corpo quanto più si irrigidiscono.
Lo stare all’inadatto del mio sogno anarchico è il miraggio di sguardo che conforma luoghi politici nell’al di qua di relazioni vive, che tessono mondo senza monumentalismi.
Ci è voluto del tempo per riconoscere, con reiterati annacquamenti, di essere state le dichiarazioni della moglie del presidente ad aver aperto la crepa nelle stanze del potere: «…è un uomo malato… voi che gli siete vicino, aiutatelo… comunque gli voglio bene…».
Nessuna alternativa programmatica di partito all’opposizione, né le strategiche coalizioni per la candidatura del personaggio “vincente” (per sostituirsi all’avversario, ma in sostanza del tutto simile per scalzare il potere che sostiene entrambi) sono arrivate là dove una donna, refrattaria alle frequentazioni di luoghi e rituali deputati al «ciarpame» politico, in fedeltà a se stessa riesce semplicemente a dire l’essenziale delle cose. Essenziale delle cose svelato dalla ragazza-immagine che invita il premier, che l’ha invitata ad accompagnarlo, rassicurarlo e abbellirlo con la di lei bellezza, a discutere pubblicamente «delle nostre vicende specifiche, del rapporto uomo donna, delle tecniche di conquista e di sesso e potere».
È questa differenza d’autorità in atto e in parole che va riconosciuta e ascoltata. La politica delle donne la pretende e non la confonde con la richiesta di un po’ di quel potere che la misconosce.
Libertà di un differente desiderio
Sarà anche perché il momento è caduto nel solstizio d’estate, quando lo scarto tra l’ora del giorno e quella della notte raggiunge il suo massimo, ma le parole di Lia Cigarini, avvocata che di desiderio e politica parla e scrive, riguardo alla differenza, tra donne e uomini, che sta alla base del primo e che nutre la linfa dell’altra, (mi) hanno detto ancora una volta la preziosità simbolica di tale asimmetria, evocata nel perenne conflitto tra i sessi.
Chi ha paura del vuoto (di potere) che lo scarto delinea? La distanza, seppur minima, è sempre infinita. Essa apre al vuoto quale «mezzo di trasporto» e, in contatto analogico, rimanda il movimento politico in sé. La libertà non si appaga in una struttura di potere. Segnata invece da un di più di godimento, essa àgita sommovimenti interiori – da subito anche esteriori – che leggono la futilità del giudizio morale a fronte della necessaria interpretazione delle cose che sono, che avvengono; essa descrive politiche prime che crepano l’uniformità consensuale del già detto, pensato, fatto.
È libertà di un differente desiderio che non si attacca all’oggetto, fallico e fallace, della conclusione realistica: lo lascia, lo abbandona. È una sorta di spoliazione presente tra reale realizzato e ideale ricorrente, come avverte e insegna la passione politica di Simone Weil:
«Un futuro del tutto impossibile come l’ideale degli anarchici è molto meno degradante che non un futuro possibile. Anzi non degrada affatto se non per l’illusione di possibilità. Se è concepito come impossibile, trasporta nell’eterno. Il possibile è il luogo dell’immaginazione, e quindi della degradazione. Bisogna volere o ciò che precisamente esiste, o ciò che non può affatto essere, meglio ancora ambedue. Ciò che è e ciò che non può essere sono ambedue fuori del divenire».