1. Per indurre a riflettere sul rapporto tra cioccolata e cattolicesimo sarebbe
più che sufficiente un brano estorto ai capisaldi delle patrie lettere. Racconta Alessandro Manzoni, ne I promessi sposi, che la mattina in cui la povera Gertrude doveva esser sbolognata via dalla famiglia per divenir “sposina” in Cristo e andar reclusa a vita fra le mura del convento – dopo essersi vestita in fretta e dopo essersi lasciata pettinare –, “fu fatta sedere sur una sedia a braccioli, e le fu portata una chicchera di cioccolata: il che”, nota Manzoni, che di cioccolata se ne intendeva, “era quel che già presso i Romani il dare la veste virile”. Manzoni se ne intendeva perché, a quanto risulta da una lettera della madre, datata 1 febbraio 1820 e inviata, da Parigi, al vescovo di Pavia, monsignor Luigi Tosi, oltre ad alzarsi prima dell’alba ed andare tutti i giorni a Messa, preparava la cioccolata: “per lui e per me”.
2. Nella composizione chimica del caffè, del tè e del cioccolato figurano tre alcaloidi dalla struttura molto simile – rispettivamente, la caffeina, la teofillina e la teobromina. Presumibilmente ignaro della cosa, un re d’Inghilterra di cui parla Honoré de Balzac nel suo Trattato degli eccitanti moderni propose a tre condannati a morte un esperimento nel quale contava di appurare quale delle tre sostanze fosse la più benefica. Scegliessero – veniva loro risparmiata la vita –, purché ciascuno di loro si fosse nutrito da lì in avanti soltanto di caffè, soltanto di tè e soltanto di cioccolata.
3. Ampia risonanza di media in media sembra aver meritato una recente ricerca sul rapporto tra i comportamenti sessuali della femmina della nostra specie e la cioccolata. Il 60% – non si capisce bene in che quantità, perché un conto è un rettangolino e tutt’altro conto è la tavoletta intera – la preferisce al rapporto sessuale sempre e comunque, mentre, nei giorni che precedono il ciclo mestruale, la percentuale delle insofferenti passerebbe al 68% per attestarsi all’83% nei giorni del ciclo. Il 97% di costoro dice che la cioccolata migliora il loro umore e il 50% dice che favorisce l’eccitazione – quando, dico io, è presumibilmente tardi, perché il partner, rifiutato prima, avrà già programmato altrimenti il proprio palinsesto o, per parlare in termini più opportuni nella circostanza, si sarà già rivolto a qualche surrogato.
4. Niente di nuovissimo, storia alla mano. Non è mancato un teologo che, battezzando la cioccolata “incendio delle passioni”, ne abbia proposto il divieto nei conventi e neppure è mancato chi ne abbia enfatizzato una funzione analoga a quella svolta oggigiorno dal viagra. Nel Messico della conquista spagnola, suppergiù a metà del Seicento, l’interesse dell’aristocrazia femminile nei confronti della cioccolata giunse fino al punto di farsene portare una tazza dalle proprie domestiche direttamente in Chiesa, durante la funzione religiosa. Dalla documentazione delle denunce pervenute al tribunale dell’Inquisizione di Guatemala si trovano storie di suore colte in flagrante assunzione di cioccolata al riparo del confessionale, storie di pratiche sessuali in cui la cioccolata veniva usata per dominare il maschio e fin come gusto di copertura nella preparazione di intrugli più o meno magici.
5. La maggior parte di queste notizie le ricavo da Il Papa Nietzsche e la cioccolata di Claudio Balzaretti, una storia del cioccolato anche, ma, soprattutto, una storia critica delle storie del cioccolato; puntigliosa, fin pedantuccia ma istruttiva. Prende le mosse dall’anno 2000 – quando la Commissione Europea ha emanato una direttiva che avrebbe sconvolto l’orizzonte ontologico e semantico della cioccolata, obbligando gli Stati membri a chiamare “cioccolata” il prodotto che, abitualmente, in Italia veniva chiamato “surrogato” – e torna indietro nel tempo per ricostruire le modalità con cui l’uso della cioccolata si è diffuso nei vari Paesi europei e, soprattutto, in Spagna, Francia e Italia, soffermandosi su alcuni punti critici, come il rapporto dei cattolici con la cioccolata, i dubbi relativi al considerarla bevanda o cibo – da cui gli annosi dibattiti conseguenti, per esempio, tra gesuiti e domenicani: berla, interrompe o no il digiuno ecclesiastico? –, come sulla cioccolata siano stati investiti valori socialmente significativi o come, più in generale, sia proficuamente analizzabile il rapporto fra alimenti e morale cattolica – problemi che non esisterebbero, peraltro, se i filosofi cattolici e i filosofi non cattolici non confondessero il categoriale con l’empirico.
Il biologo svedese Carl von Linné, a noi meglio noto come Linneo, battezzando il cacao “theobroma” – ovvero “bevanda degli dei” –, non si sbilanciava tanto in questioni di gusto quanto in questioni di classe – avvicinando a Dio, more solito, i pochi fortunati ricchi e potenti che potevano permettersene il consumo nonché, secondo il Mantegazza, le crisi emorroidarie successive..
6. Non tutto mi torna di questa ricerca ben condotta e indubbiamente approfondita. Nel confutare tesi e nel rinfacciare omissioni a questo e a quest’altro storico del cioccolato, Balzaretti ha per evidente scopo di portare un po’ d’acqua al mulino di una storiografia cattolica sagacemente relativista. Infatti, al momento di tirare le somme dice: “questa ricerca sulla cioccolata, da una parte, ha confermato la diffusa abitudine di servirsi dei lavori di seconda mano, dall’altra, ha mostrato il peso delle teorie e della propria visione della società costruite indipendentemente dalle fonti”, aggiungendo prontamente che “non vorremmo che la conclusione venga intesa in senso scettico”. Per evitare, allora, uno scetticismo che gli sarebbe apparso moralmente eccepibile, non trova di meglio che rifarsi all’autorità di Popper: “non dell’instaurazione di verità vive la scienza, ma della correzioni di errori” – come se un criterio in base al quale definire qualcosa “errore” non fosse comunque indispensabile.
Curiosamente, tuttavia, il difetto più preoccupante del libro sta quasi tutto nel titolo. Balzaretti dice di aver seguito “tre strade”: “l’interpretazione di un dibattito di teologia morale che costituiva un episodio della storia dell’alimentazione”. Ora, mentre l’episodio della storia dell’alimentazione è costituito dal cioccolato e mentre il dibattito di teologia morale è rappresentato, diciamo così, dal Papa, l’interpretazione relativa – o il “senso”, come amano dire i cattolici dandosi l’aria di dir qualcosa di molto profondo – sarebbbe rappresentato da Nietzsche. Che, se no, nel libro c’entrerebbe come i cavoli a merenda. Implicito è, allora, un paradossale riconoscimento: come se il senso per antonomasia si identificasse con il suo nome e con il pensiero. Basta dire “Nietzsche” e si capisce che si sta dando un senso profondo alle cose di cui si sguazza. Un filosofo irrazionalista e reazionario, presumibilmente alieno da ogni theobroma di sorta, viene adottato dai cattolici, all’ennesima esibizione di una immensa capacità digestiva – esattamente paradossale quanto il fatto che il medesimo sia stato adottato – e digerito – da una sinistra imbelle e dalla memoria corta.
7. Il prigioniero cui, per propria scelta o per scelta di chi lo precedeva, toccò di nutrirsi di sola cioccolata morì dopo otto mesi, quello cui toccò il caffè morì dopo due anni e quello cui toccò la dieta a base di solo tè morì dopo tre anni.
Balzac, che beveva quaranta caffè al giorno e che infatti non è andato molto lontano (1799-1850), sospetta del committente della ricerca: la compagnia delle Indie, importatrice di tè – che, ai suoi tempi, già cominciava quel declino inesorabile che, nel 1860, farà sì che passi sotto il controllo diretto della Corona inglese e che, dunque, aveva bisogno di incentivare i consumi del proprio prodotto di punta. Balzac sospetta. Come noi possiamo sospettare dei dati scientifici sulla preminenza del cioccolato sul sesso nel momento in cui veniamo informati del fatto che questo sapere, così modernamente neuroscientifico, è stato sciorinato a Perugia – patria di una nota azienda di cioccolato – il cui prodotto più famoso è costituito da quei Baci che, con il sesso, avrebbero dovuto averci a che fare, se non fosse che – nel pieno rispetto della morale cattolica – proprio del sesso il cioccolato si è rivelato un ottimo surrogato.
8. Il paragone del cattolico Manzoni, ovviamente, è un insulto alle disgrazie di esser nate femmina in una società del sopruso maschile. Nell’antica Roma, il ricevere da parte dei giovani maschi la veste virile significava essenzialmente l’ingresso in società. Tutto un “tirocinium” alla maschilità ed al suo potere che, un tempo, veniva assegnato allo scadere del diciassettesimo anno di età, mentre, più tardi, la rilassatezza dei costumi dei primi anni della Repubblica indusse ad anticipare – a maggior ragione se il figlio maschio era figlio di un’autorità. Non dell’ingresso in società, invece, si trattava per Gertrude, ma dell’uscita.
Felice Accame
Note
Il Papa Nietzsche e la cioccolata di Claudio Balzaretti è pubblicato dalle Edizioni Dehoniane, Bologna 2009. Il fatto che si diverta – e ci diverta – nello scoprire che il concetto popperiano era stato espresso dal “formalista” russo Boris Michajlovic Ejchenbaum quaranta’anni prima, non lo rende più sensato. Altre informazioni le ho ricavate da H. McGee, Il cibo e la cucina, Muzzio, Padova 1989 e da P. Mantegazza e Neera, Dizionario d’igiene per le famiglie, Scheiwiller, Milano 1985. L’edizione de I promessi sposi da cui traggo la citazione (capitolo 10, pag. 197) è quella che fu data in dono a mia moglie e a me nel giorno del nostro matrimonio – una “gentilezza” letteraria del Comune di Milano. È una riproduzione fotolitografica dell’edizione del 1840 della tipografia Guglielmini e Redaelli in Milano realizzata dalla Mondadori nel 2004. Sulle anticipazioni relative alla veste virile, cfr. l’opera del nobile svizzero Jean-Rodolphe D’Arnay, Della vita privata dei romani, Stamperia e Fonderia G. G. Destefanis, Milano 1810, pag. 228.
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