Nel numero precedente di A, ho sollecitato una riflessione collettiva e un dibattito sui temi economici, finalizzato ad articolare una possibile posizione anarchica su questi aspetti. Ho accennato ad una proposta/modello di economia alternativa al capitalismo detta Parecon, ideata da Michael Albert e Robin Hahnel negli Stati Uniti nei primi anni ’90 e perfezionata attraverso un processo collettivo di discussione durato fino ai giorni nostri (1), citando alcuni riferimenti per approfondire la questione (2). Non vorrei essere considerato un partigiano della Parecon: riconosco però molti meriti agli ideatori e al movimento che la sostiene. Infatti, si propone una visione piuttosto dettagliata di come potrebbe funzionare un sistema alternativo al capitalismo, e la si sottopone ad un processo di revisione a livello internazionale per identificare possibili aree di miglioramento e strategie d’intervento pratico condivise.
Il modello Parecon nasce per superare sia il capitalismo che il socialismo reale (di stampo sovietico) che Albert chiama Coordinatorismo (3) poiché ha garantito il dominio di una classe di coordinatori (che da noi è stata spesso chiamata tecnoburocrazia) sul resto della società. Albert ha ribadito più volte che la Parecon ha un debito particolare nei confronti dell’anarchismo e del socialismo libertario e di tutti i movimenti che hanno storicamente lottato per l’eliminazione del dominio di una classe sociale sulle altre. Tra i pensatori che hanno influenzato la nascita della Parecon, in quanto proposta volta a raggiungere una società senza classi, sono stati citati Bakunin, Kropotkin, Rocker e Pannekoek (4). La Parecon risponde al desiderio di “un’economia equa ed efficiente, che promuova l’autogestione, la solidarietà e la diversità nel mondo reale” (5).
Il modello di economia partecipativa ha lo scopo di materializzare la domanda di una nuova economia alternativa al capitalismo e di fornire un obiettivo che ci può aiutare ad orientare le nostre scelte verso un atteggiamento positivo/costruttivo, piuttosto che alla sola opposizione allo stato di cose presente. Il modello è stato creato per immaginare un’economia alternativa al fine di aiutarci a lottare per raggiungerla in un futuro, si spera, non troppo distante.
Scopo di questo articolo è quello di analizzare gli aspetti principali del modello di economia partecipativa basato sui lavori di Albert e Hahnel (6), al fine di agevolare le compagne ed i compagni interessati e mettere le basi di una futura discussione più approfondita ed allargata ad altre proposte sull’argomento economia-anarchia. Ovviamente, molti dei concetti sono solo accennati in questa sede e sono trattati in modo più approfondito nella vasta letteratura dedicata alla Parecon alla quale rimando per approfondimenti.
Il Consumo partecipativo
Considerato che il consumo – ovvero il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini – dovrebbe essere il principale obiettivo di un sistema economico, partirei da qui per analizzare la Parecon.
In un sistema capitalistico, quando facciamo acquisti, abbiamo ogni sorta di incentivo a pensare solo a noi stessi ignorando l’ambiente, quelli che ci stanno accanto, e soprattutto i lavoratori che producono ciò di cui beneficiamo. La verità è che, nel capitalismo, è ridicolo prendere in considerazione gli altri. La prospettiva della Parecon ribalta questa alienazione del consumo e riporta questa attività fondamentale dell’essere umano alla sua dimensione collettiva e sociale.
Il consumo partecipativo sarà organizzato mediante un sistema di Consigli di Consumatori a loro volta organizzati in federazioni di livello territoriale più aggregato. Esemplificando, in una grande città, un individuo potrebbe appartenere al Consiglio dei consumatori del suo condominio, del quartiere, del comune e della provincia. A loro volta i consigli provinciali saranno federati a livello regionale e a livello di macroregione e così via. La partecipazione diretta dell’individuo sarà richiesta a livello regolare per garantire il funzionamento del Consiglio di livello inferiore – dove si gestirebbero la maggior parte delle scelte relative ai consumi privati come cibo, vestiario, viaggi, etc – mentre nei Consigli di livello geografico superiore, si ipotizza un coinvolgimento a livello di delega revocabile o partecipazione diretta, a seconda delle preferenze individuali e dei casi specifici. Soprattutto nel caso di decisioni importanti che coinvolgano consigli provinciali o regionali (per esempio in relazione a consumi di tipo pubblico come l’organizzazione di un grande evento o le scelte d’investimento come la costruzione di un teatro) è probabile che gli individui siano interessati a partecipare in maniera diretta e la tecnologia, oggi, consente di poter gestire eventi partecipati da migliaia di persone, anche online, senza grandi problemi logistici.
All’interno di ciascun consiglio, i consumatori prenderanno decisioni collettivamente utilizzando una procedura di scelta individuale che rispetti il diritto di ciascun individuo a non subire la prepotenza della maggioranza e l’importanza di promuovere la diversità. Una comunicazione trasparente tra i consigli permetterà una supervisione collettiva non autoritaria e in cui non vi siano violazioni di privacy: per esempio le scelte collettive a livello di Consiglio sarebbero espresse in forma anonima garantendo la segretezza delle scelte di consumo individuali e potrebbe essere garantita la possibilità alle persone che lo desiderano di decidere di agire come consiglio di consumatori composto al limite di una sola persona. Ciascun individuo deciderà ciò che vuole consumare tenendo conto delle implicazioni delle proprie scelte di consumo sul sistema produttivo e sulla società in generale, grazie ad un collegamento informativo ed interattivo con i produttori e gli altri consumatori e, di conseguenza, formulerà le proprie richieste di consumo che saranno aggregate in una richiesta collettiva effettuata dal Consiglio di appartenenza.
Le unità più ampie prenderanno decisioni sui consumi collettivi per prime, perché le loro scelte spesso hanno implicazioni sui bisogni che potrebbero avere le unità più piccole o gli individui stessi. In questo modo, le scelte sui consumi privati potranno tener conto delle scelte operate dagli stessi consumatori ad un livello geograficamente superiore, al fine di ottimizzare il risultato. Per esempio, se viene decisa la costruzione di una biblioteca pubblica nel consiglio di quartiere è probabile che il consumo privato di libri in quella zona diminuisca di conseguenza.
In sintesi, le decisioni di consumo saranno normalmente effettuate in modo collettivo, con un processo di verifica incrociata che assicuri a ciascun attore in campo (individuo o consiglio) di poter consumare a piacimento nel rispetto della propria privacy e del principio di equità nella distribuzione del consumo tra tutti i soggetti (7). L’equilibrio tra le richieste di consumo e la capacità produttiva verrà affrontato più avanti (8), ma anticipiamo che viene proposto un meccanismo di iterazioni successive di proposte di produzione e di consumo che permetterà il confronto e il successivo allineamento per mezzo del sistema di pianificazione partecipativa in modo che siano mantenute l’equità e l’autogestione collettiva, e promuovendo allo stesso tempo un utilizzo efficiente delle risorse.
Questa modalità di consumo, basata sul confronto collettivo e sulla stretta interazione fra produttori e consumatori al di fuori dei mercati capitalistici e della ricerca del profitto, è molto lontana dalle esperienze attuali e quindi richiederebbe un approfondimento che esula dalle nostre possibilità in questo articolo (9). Comunque, chiunque appartenga ad un Gruppo d’Acquisto Solidale ha affrontato le tematiche della pianificazione del consumo in senso collettivo e penso si riconosca almeno in alcune delle attività sommariamente descritte in questo paragrafo. Benché una maggiore partecipazione dei cittadini richieda che essi dedichino più tempo alla gestione dei consumi collettivi, occorrerà meno tempo per prendere parte a queste pianificazioni di consumo collettivo rispetto a quanto ne occorreva prima per compensare la mancanza di servizi sociali, indotta da decisioni motivate dal profitto nella logica dei mercati.
Proprietà collettiva,
produzione partecipativa, ecc.
La Parecon presuppone la proprietà collettiva o sociale di tutti i mezzi di produzione. La proprietà collettiva da sola non è però in grado di assicurare il raggiungimento di uno dei punti fondamentali della proposta pareconiana: la società senza classi. L’assenza di classi o uguaglianza viene garantita dalla nuova organizzazione del lavoro.
Uno strumento per eliminare la gerarchia nei luoghi di lavoro è costituito dai Consigli di Lavoratori autogestiti di tutto il personale coinvolto. Anche questi consigli saranno articolati in senso federale a partire dal gruppo (ufficio, squadra) al reparto, divisione, stabilimento, regione e saranno federati a livello di settore industriale. Ogni consiglio e federazione principalmente si occuperà di questioni inerenti al proprio livello e darà contributi a decisioni prese a livelli più alti, proporzionalmente a quanto risulta coinvolto sulla base del principio dell’autogestione. Le decisioni verranno prese con meccanismi decisionali flessibili ed autogestiti all’interno dei consigli, per ottimizzare il funzionamento degli stessi, rispettando il principio che a ciascun lavoratore dovrà essere garantito di poter esercitare un’influenza sulla decisione proporzionale all’impatto della decisione stessa sul proprio lavoro.
Ma benché necessari, consigli formalmente democratici non sono sufficienti per promuovere una reale partecipazione autogestita. In presenza di una divisione del lavoro di tipo tradizionale, gli addetti a lavori esecutivi non potrebbero mai avere la stessa capacità di influenza dei lavoratori addetti a mansioni manageriali così, anche in consigli democratici, coloro che fanno un lavoro che conferisce loro maggior conoscenza delle varie problematiche lavorative, più tempo per approfondimenti individuali e maggior sicurezza, finiranno col dominare il processo decisionale.
Per questo motivo, viene previsto che ciascun lavoratore dovrà effettuare una prestazione lavorativa complessiva composta di una combinazione bilanciata di mansioni. Ciascun individuo svolgerà quindi un complesso di mansioni corrispondenti ad una gamma di responsabilità in grado di garantire ai lavoratori condizioni confrontabili, in modo da ottenere un’equa divisione degli incarichi. Oltre al bilanciamento in ciascun luogo di lavoro, occorre tener conto delle differenze tra vari luoghi di lavoro. Quando una persona ha un sistema di mansioni in un particolare posto di lavoro le cui caratteristiche sono meno desiderabili della media, passerà una parte del suo orario lavorativo a fare un lavoro più piacevole da qualche altra parte e viceversa. In alcuni casi, si prevede una rotazione degli incarichi che completi i meccanismi sopra descritti. Questi concetti cercano di rispondere in pratica all’analisi di Proudhon, Bakunin e Kropotkin riguardo all’effetto della separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale sulla divisione del lavoro, al fine di pervenire ad una società senza classi (10).
Per quanto riguarda la remunerazione del lavoro la Parecon propone di remunerare l’impegno ed il sacrificio spesi per un lavoro utile alla società. In questo contesto, la proprietà, il potere contrattuale, il contributo personale al prodotto o la produttività non incidono sulla remunerazione del lavoratore. L’obiettivo è la retribuzione in funzione dell’impegno e del sacrificio – o secondo il bisogno quando non si possa contribuire (bambini, anziani, invalidi, etc) oppure quando il bisogno sia eccezionale a causa di malattie o altri problemi particolari. Si può osservare che la Parecon, nella sua formulazione attuale, si ferma prima di raggiungere il principio base del comunismo ovvero “da ciascuno in base alle proprie possibilità a ciascuno in base ai propri bisogni” anche se garantisce una remunerazione media a chiunque non sia in grado di contribuire alla vita economica della società (11).
Assumendo che il principio di equità nel bilanciare le mansioni di ciascun lavoratore venga rispettato a livello dell’intera economia, il numero di ore lavorative potrebbe servire come una grossolana misura del contributo di ciascuno, nel senso della disponibilità offerta, o del sacrificio personale a cui si è sottoposti per il beneficio di altri. Se si vuole “lavorare di più“ per poter poi “consumare di più“, si avrebbe solo bisogno di lavorare delle ore in più. Equità e solidarietà rimarrebbero assicurate.
Ipotizziamo che tutti gli adulti idonei lavorino un numero di ore sociale medio, ad un sistema di mansioni medio al fine di consumare beni, servizi o di effettuare investimenti per la propria crescita futura sacrificando una parte del proprio tempo libero: tutti avranno diritto ad un insieme di beni di consumo (e ad eventuali risparmi nel caso in cui si sia consumato meno di quanto si è lavorato) (12) il cui valore sia uguale alla media sociale. Stesso trattamento sarebbe garantito agli inabili al lavoro. Coloro che vogliono consumare di più hanno la possibilità di prendere un prestito sui consumi futuri, riscuotere i passati risparmi, riscuotere del lavoro straordinario, o chiedere agli altri il permesso di consumare più della media per ragioni particolari.
Le richieste di consumo ragionevoli sono immuni dal veto da parte degli altri consumatori assicurando quindi libertà individuale e diritto di sperimentazione. Inoltre, quelli che vogliono lavorare meno possono farlo, entro certi limiti, e se trovano dei posti di lavoro che gli permettono di farlo, acconsentendo però a consumare meno.
Ruolo dei prezzi e della moneta
Il sistema economico deve fornire informazioni che permettano a produttori e consumatori di ragionare efficacemente sui propri bisogni e sul modo con cui possono essere adattati a quelli degli altri soggetti. Un compito centrale dell’allocazione partecipativa è, quindi, quello di fornire informazioni sufficienti all’autogestione, senza rendere i processi decisionali eccessivamente dispendiosi in termini di tempo. Uno strumento per ottenere questo è modificare l’uso dei prezzi e della moneta, alterando la loro definizione.
Nell’economia partecipativa, si ritiene infatti che i prezzi e la moneta come unità di conto possano offrire dei vantaggi, ma occorre depurarli da quelle caratteristiche negative ereditate dal capitalismo. I prezzi partecipativi dovranno, quindi, riflettere in forma sintetica attraverso il processo di pianificazione partecipativa, il costo ed i benefici sociali reali dei prodotti, incluso l’eventuale scarsità delle risorse utilizzate, gli altri beni necessari per produrli, la pesantezza del lavoro, e gli effetti positivi e negativi del prodotto come l’inquinamento, lo scambio di competenze tra consumatori e produttori, la personalità e le relazioni sociali. Inoltre, ai prezzi partecipativi dovranno essere associate tutte le informazioni qualitative utili a comprendere gli effetti della produzione e del consumo di un determinato bene sulla società.
D’altra parte, il denaro dovrà perdere le sue caratteristiche legate all’accumulazione capitalistica e mantenere soltanto i vantaggi di unità di misura che agevoli gli scambi e la flessibilità delle attività di consumo e produzione. Per questo la “moneta” viene chiamata “conto monetario” e corrisponde ad una misura del lavoro impegnato e non (ancora) consumato da ciascun soggetto. Il conto monetario non rappresenta denaro contante ma è il diritto a ricevere una parte delle risorse, attraverso la pianificazione partecipativa, per produrre quello che si desidera consumare.
Sistema allocativo:
la pianificazione partecipativa
Uno dei propositi dell’economia partecipativa è quello di favorire la crescita di rapporti fra le persone basati sulla solidarietà e sul mutuo appoggio. Il mutuo appoggio presuppone un rapporto interattivo fra i produttori e i consumatori, in modo da agevolare la conoscenza reciproca e la conseguente valutazione delle implicazioni delle scelte operate da ciascuno sugli altri soggetti. I consigli democratici con sistemi di mansioni bilanciate possono agevolare il raggiungimento di questi obiettivi solamente nella misura in cui le altre caratteristiche dell’economia promuovano gli stessi valori. Poiché né i mercati né la pianificazione centralizzata promuovono valori solidali, abbiamo logicamente bisogno di elaborare un nuovo sistema di allocazione partecipativa che si accordi alla produzione e al consumo partecipativo.
Sotto il capitalismo, i mercati riducono l’informazione ad una pubblicità tesa alla manipolazione e i prezzi travisano i costi e i benefici sociali reali (a causa per esempio delle cd esternalità) (13) disincentivando in tutti i modi la solidarietà: nell’ottica di mercato l’unico atteggiamento razionale è, infatti, la ricerca del massimo profitto. Nelle economie a pianificazione centralizzata, non c’è una democratica circolazione di informazioni, sia dal punto di vita quantitativo sia da quello qualitativo poiché le autorità centrali sovraintendono e controllano tutto il processo e tutte le decisioni vengono prese da burocrati.
Nella Parecon si prevede la creazione di diversi Comitati di Assistenza che forniscano un supporto alla pianificazione partecipativa e, in generale, alla vita sociale delle persone (14). Questi Comitati verranno gestiti all’interno del sistema lavorativo con mansioni bilanciate e, considerata l’importanza degli stessi, viene ipotizzata la necessità di una rotazione degli incarichi che non favorisca la formazione di burocrazie di esperti.
In forma estremamente sintetica, il processo di pianificazione partecipativa si basa su un meccanismo di proposte di consumo e di produzione per un dato periodo futuro, gestite attraverso i rispettivi consigli di produzione e di consumo, che vengono confrontate fra loro in iterazioni successive fino a raggiungere l’equilibrio complessivo tra domanda e offerta. Lo scambio interattivo di informazioni qualitative, associate a prezzi indicativi che variano al variare dell’eventuale disequilibrio fra domanda ed offerta, permettono di avvicinarsi gradualmente alla posizione di equilibrio più compatibile con i desideri della collettività nel suo complesso. Nessuna agenzia centrale redige il piano finale di produzione e di consumo. Nessuna competizione dei mercati genera il piano finale. Un processo di comunicazione decentralizzato, sociale, iterativo permette e tutti gli attori di formulare democraticamente il piano finale e di adattarlo in corso d’opera, nei casi in cui sorgano degli imprevisti dal lato della produzione o dal lato del consumo. Allo stesso modo si gestirebbero le spese per investimenti in un orizzonte di medio periodo.
Malgrado questo processo iterativo – specie se non sufficientemente spiegato come in questo caso – possa costituire inizialmente un grattacapo per chi si avvicina allo studio della Parecon, soprattutto perché esula dalle esperienze quotidiane e richiede quindi un certo sforzo d’immaginazione, vale la pena di sottolineare che la pianificazione partecipativa è, allo stato attuale, pienamente realizzabile grazie all’ausilio di semplici computer collegati alla rete internet. Inoltre, embrioni di pianificazione partecipativa sono riconoscibili anche nell’economia attuale ogni volta che un gruppo d’acquisto effettua una serie di ordini a diversi fornitori cercando di arrivare ad un equilibrio tra disponibilità di beni e richieste di consumo dei singoli. Considerando che gran parte delle istituzioni ed imprese capitalistiche sarebbero inutili ed obsolete nel contesto pareconiano, si ritiene comunque che le risorse liberate potrebbero agevolmente fornire un supporto adeguato al processo di pianificazione autogestito.
In ogni caso, suggerisco di leggere descrizioni del processo di allocazione partecipativa ben più complete ed approfondite con vari esempi sul sito italiano della Parecon (15).
Perché la Parecon oggi
In una fase storica improntata al cinismo e all’inevitabilità di un capitalismo sempre più discreditato e parassitario, dobbiamo lottare per costruire alternative che possano catalizzare attenzione anche al di fuori dei movimenti politici. La crisi ha acuito una sensibilità nel corpo sociale e sarebbe miope non approfittarne per avanzare tempestivamente proposte concrete di cambiamento.
La proposta pareconiana rappresenta, al momento, l’unico modello di cambiamento radicale coerente, dettagliato e completo per costruire un sistema economico alternativo al capitalismo di stampo libertario. L’investimento volto a sviluppare una critica costruttiva che possa ulteriormente migliorarla, anche tenendo conto di altre idee, può essere portato avanti soltanto a livello collettivo e spero che sorga un interesse in tal senso nel movimento libertario in senso allargato.
Inoltre, la Parecon promuove un sistema di valori libertari: remunerazione equa basata sullo sforzo e sul sacrificio e supporto adeguato a chi non è in grado di contribuire, solidarietà e mutuo appoggio, diversità sociale, autogestione ovvero la possibilità di influire sulle decisioni in proporzione a quanto ciascuno è influenzato dalla decisione stessa, cura dell’ambiente, efficienza nel senso di soddisfare i bisogni e sviluppare i potenziali in accordo con scelte autogestite senza sprecare risorse o incorrere in costi evitabili lungo la strada. Questi sei valori fondamentali insieme richiedono un sistema pienamente ugualitario ovvero l’assenza di classi, visto che la presenza di classi privilegiate violerebbe questi valori (16).
I promotori della Parecon stanno lottando da anni per costruire una rete plurale a livello internazionale che possa costituire una base di lotta per l’implementazione di cambiamenti radicali e rivoluzionari a partire da oggi. Come affermato da Michael Albert, per sfuggire il punto di vista qualunquista che “non c’è alternativa” e per trascendere dalla visione di molta parte della sinistra che, anche se ci fosse un’alternativa, non sarebbe così urgente definirla chiaramente, richiede duro lavoro per produrre una visione pragmatica e convincente. Solo la sostanza può vincere il cinismo. Solo ipotizzando gli aspetti di un futuro [desiderabile] possiamo incorporare i semi [del cambiamento] nelle nostre strutture presenti. Infine, solo conoscendo dove vogliamo arrivare possiamo percorrere i passi capaci di portarci alla meta (17).
Mi sembra una sfida molto urgente ed appassionante e mi piacerebbe che in Italia si riuscisse a dire la nostra in merito.