All’inaugurazione della mostra sulle bandiere anarchiche, nel Chiostro,
a Reggio Emilia, lo scorso 20 marzo, Massimo Ortalli – tra i responsabili
dell’Archivio storico della Federazione Anarchica Italiana (che con gli
anarchici reggiani ha organizzato la mostra) nonché nostro collaboratore
– ha voluto sottolineare il significato profondo della mostra e, naturalmente,
delle stesse bandiere.
In un’epoca di rimozione della memoria e della storia, questi pezzi di
stoffa non sono solo dei pezzi di stoffa…
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Anarchici e socialisti accostano spesso al motivo della fiaccola
quello del libro. Quando la diffusione delle idee
di emancipazione
comincia a penetrare fra i ceti popolari
ai quali l’accesso alla cultura
è storicamente negato,
l’iconografia del libro aperto è simbolo
di affrancamento dalla soggezione intellettuale e materiale.
E questo simbolo riproposero gli anarchici parmigiani,
quando
decorarono il loro vessillo alla caduta del fascismo.
Oggi appartiene al Gruppo “Antonio Cieri” di Parma |
È sempre con piacere che vengo a Reggio Emilia a partecipare a una iniziativa
della Federazione Anarchica Reggiana. Perché i compagni e le compagne
di Reggio non ne sbagliano una, e cercherò di spiegare cosa intendo dire.
Da tempo ormai, e lo vediamo tutti i giorni, nel mondo della politica “alta”
è in atto un gigantesco processo di rimozione di tutto ciò che
hanno rappresentato i partiti e i movimenti politici e sociali nel secolo scorso.
A destra come a sinistra, si cerca di cancellare, di far dimenticare la propria
storia e la propria appartenenza. Si cerca di ricrearsi una immagine “moderna”,
di rifarsi il look come è ormai di moda, a scapito di tutto ciò
con cui ci si è profondamente identificati fino a pochi anni orsono.
Immagini, colori, stemmi e simboli, tutti al macero, tutti nell’immondezzaio
della storia perché non più utili, anzi, destabilizzanti rispetto
a quel processo di “avvicinamento al centro” sul quale convergono,
è il caso di dire, i comitati d’affari della politica nostrana.
Non a caso parlo di rimozione, e non, come si potrebbe pensare, di rinnegamento
della propria storia. Rinnegare è una parola grossa, che presuppone,
comunque, un travaglio spirituale e umano che sicuramente non turba il sonno
dei rappresentanti dei partiti di oggi. Rimozione, piuttosto, cancellazione
pura e semplice, dimenticanza per far dimenticare. Evidentemente sono in molti,
fra coloro impegnati oggi in questo ipocrita processo, a doversi vergognare
dei propri “antenati”.
Ebbene, gli anarchici, nonostante quel che si può pensare e l’immagine
di comodo che il potere gli ha sempre cucito addosso, non hanno nulla di cui
vergognarsi, o da dimenticare, o da rimuovere. E questo, come possiamo vedere
oggi in queste bellissime sale così splendidamente allestite, le compagne
e i compagni di Reggio Emilia lo sanno benissimo. E ce lo vogliono ricordare.
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Questa bandiera del Gruppo comunista anarchico reggiano è una delle più antiche esposte nella mostra. Ricamata nel 1905 e dedicata a Spartaco, il gladiatore romano simbolo della lotta per la libertà, accompagnò le manifestazioni contro l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 e quindi sventolò sulle Officine Reggiane, occupate dagli operai nel biennio rosso. Sotterrata in un orto per vent’anni, per sottrarla alla vendetta fascista, fu in seguito recuperata da chi ne aveva conservato la memoria. Oggi è esposta nella sede della Federazione anarchica reggiana |
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La bandiera risale al 1898 e rappresenta il pezzo più antico e prezioso della mostra. Sventolò sulle barricate erette dal popolo milanese in rivolta contro i cannoni di Bava Beccaris, poi fu nascosta per anni da un muratore anarchico in Valsesia, e quindi ricomparve dopo la Liberazione per essere affidata al comandante partigiano Cino Moscatelli. Consegnata successivamente a Dario Fo, fu data da questi alla vedova di Giuseppe Pinelli, Licia, che volle donarla agli anarchici milanesi. Su un lato riporta la famosa frase di Giovanni Bovio, sull’altro espone, in cinque essenziali parole, il programma rivoluzionario dell’anarchismo ottocentesco |
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Questa bellissima bandiera illustra eloquentemente uno fra i motivi dominanti della propaganda anarchica: quello dell’affrancamento da tutte le catene: dello sfruttamento, dell’ingiustizia, del potere. Ricamata fra il 1919 e il 1920, appartenne poi all’anarchico perugino Brenno Tilli |
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Ricamata a mano dal sarto anarchico Ludovico Vergendo nel 1945, con il simbolo di una svolazzante fiaccola, la bandiera del Gruppo imolese “Errico Malatesta” (allora “sezione” della Federazione anarchica italiana) è ancora oggi il vessillo ufficiale degli anarchici imolesi, a significare la continuità dell’ininterrotta presenza libertaria nella cittadina romagnola |
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Significativamente dedicata dagli anarchici riminesi a Luigi Galleani, l’instancabile propagandista, in Italia e in America, di un anarchismo sanguigno e ricco di passione, questa bandiera risale ai secondi anni Quaranta, precisamente al 1946, quando il forte movimento anarchico riminese poté riprendere il proprio posto nella società dopo il tragico ventennio fascista |
È con emozione che vediamo tutte insieme queste nostre bandiere, quelle
nere dell’anarchia, quelle rosse del sindacalismo anarchico, quelle delle
associazioni e dei gruppi libertari che hanno affiancato il nostro movimento
nella sua lunga storia. È un colpo d’occhio particolare che colpisce
il visitatore, un colpo d’occhio non solo bello esteticamente, ma anche
emozionante. È una esibizione, al tempo stesso, di orgoglio e di amore.
Di orgoglio, perché sappiamo che queste continueranno a sventolare finché
ci sarà il desiderio di libertà; di amore, perché con queste
bandiere abbiamo affiancato le nostre lotte e accompagnato i nostri compagni.
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Dove, se non nell’anticlericale e razionalista Livorno, poteva sorgere un gruppo anarchico del Libero Pensiero, espressamente denominato “antireligioso”? Dedicato a Pietro Gori, il grande poeta dell’ideale, questo drappo risale al 1947 e ancora oggi lo vediamo sventolare nelle manifestazioni dei libertari |
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È del 1944 questo semplice vessillo del Gruppo
“Michele Bakounine” (alla francese,
come usava allora). Nella sua povertà
si riflette la ristrettezza materiale,
non certo morale, che attanaglia l’Italia
che sta faticosamente uscendo dalla guerra |
Tutte hanno una storia, hanno un “vissuto” anche se sono semplici
pezzi di stoffa, un vissuto che è quello di un movimento che da più di un secolo continua a credere che quel mondo nuovo che porta nel cuore sia
una cosa possibile e non una utopia. E cercheremo anche di ricostruire, per
ognuna di esse, tutte le vicende che le hanno contrassegnate e i gruppi e le
associazioni a cui fanno riferimento.
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Delle numerose bandiere giunte dalla provincia di Livorno, questa del Gruppo “Cittadini del mondo”, esprime con chiarezza la vocazione internazionalista del movimento anarchico, estraneo a ogni forma di patriottismo. Essenziale nella forma e nei colori, affida il suo messaggio alla sola intestazione |
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Prodotta sul finire degli anni Quaranta, la bandiera dell’Unione Sindacale Italiana, sezione dell’Association Internationale des Travailleurs, è una delle più emozionanti fra quelle esposte nella mostra reggiana. Le bianche cave di marmo sullo sfondo di fabbriche e officine rendono magnificamente l’idea dell’ambiente nel quale operano e lottano gli anarchici carraresi |
Ci sono, spesso, ricamati nomi di compagni, compagni noti in tutto il paese
ma anche compagni poco conosciuti, ma evidentemente particolarmente rappresentativi
delle realtà nelle quali hanno operato. E ci sono simboli, quali la fiaccola,
la più ricorrente, in quanto simbolo della ragione e della libertà,
o frasi capaci di racchiudere, nella loro brevità, l’essenza stessa
del progetto di liberazione dell’anarchismo. Tutte queste bandiere hanno
rappresentato, quando erano innalzate nelle manifestazioni, lo spirito del gruppo
e dei compagni che le sventolavano.
Molte di queste sono ancora i vessilli “ufficiali” dei gruppi locali,
in un significato di continuità non solo storica ma anche sentimentale
fra le generazioni che si sono succedute. Una continuità “garantita”
dalle nostre idee e dai nostri progetti di libertà. Idee e progetti che,
non c’è bisogno di dirlo, ma le compagne e i compagni Reggio hanno
comunque voluto sottolinearlo ancora una volta, non potranno mai essere né
rimossi né tantomeno rinnegati.
Massimo Ortalli
Reggio Emilia,
20 marzo 2008
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Ha una storia singolare e divertente, questa bandiera del Gruppo “Pietro Gori” di San Pietro in Trento, piccolo paese del ravennate. Distrutta dai fascisti intorno al 1925, a liberazione avvenuta gli anarchici costrinsero il fascista che l’aveva materialmente bruciata a “rifondere” il danno: e infatti fu proprio lui a ricamarla a mano e restituirla a chi di dovere. Forse è anche per questo che il rosso della scritta appare un po’ troppo rosato… |
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Come altri drappi tessuti prima dell’avvento del fascismo, anche questa fascia del Gruppo giovanile comunista anarchico di Imola ha una storia avventurosa. Per impedire che cadesse in mani squadriste, rimase nascosta per tutto il ventennio nella grondaia di un palazzo signorile della città. Rinvenuta casualmente nei primi anni Cinquanta durante lavori di ristrutturazione, il muratore che la ritrovò, che già aveva fatto parte del forte sindacato di categoria aderente all’Usi, la consegnò al Gruppo, dove tuttora è esposta, ben protetta da una teca di vetro |
Questo dossier esce come supplemento del n. 337
(estate 2008) della rivista mensile anarchica “A”. Direttrice responsabile: Fausta Bizzozzero. Registrazione al tribunale di Milano al n. 72 in data 24.02.1971. Grafica, ricerca iconografica e impaginazione: Erre&Pi – Milano. Stampa e legatoria: Officina Grafica – Milano.
Grazie a Massimo Ortalli, al fotografo Marco Caselli Nirmal e alle compagne e ai compagni della Federazione Anarchica di Reggio Emilia che hanno organizzato – insieme con l’Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana (Imola) – la mostra delle Bandiere Anarchiche in coincidenza con il 23° Congresso della Federazione Anarchica Italiana svoltosi a Reggio Emilia dal 23 al 25 marzo 2008.
“A” esce regolarmente 9 volte l’anno dal febbraio 1971. Non esce nei mesi di gennaio, agosto e settembre. È in vendita per abbonamento, in numerose librerie e presso centri sociali, circoli anarchici, botteghe, qualche edicola, ecc.. Se vuoi una copia/saggio, chiedicela.
Una copia di “A” costa € 3,00, l’abbonamento annuo € 30,00, l’abbonamento estero € 40,00, l’abbonamento sostenitore
a partire da € 100,00.
Oltre alla rivista, abbiamo realizzato numerosi dossier, cd, dvd, vhs e altre cose ancora.
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