Febbraio 2009, tra Torino e la Val Susa. L’aria è cambiata. Fredda e cattiva.
Tra il 27 gennaio e il 9 febbraio i carotaggi per il Tav vengono sospesi. Il commissario straordinario per la nuova linea ad alta velocità tra Torino e Lyon, nonché, siamo nel paese delle meraviglie, presidente dell’Osservatorio, l’organismo di mediazione tecnico/politica sull’opera, si dichiara soddisfatto per il “buon” esito della campagna di sondaggi. La faccia di bronzo è una delle caratteristiche richieste a chi fa il mestiere dell’imbonitore e, Virano, sia pure con uno stipendio da manager, è il pataccaro incaricato dal governo di vendere la favola della sconfitta del movimento No Tav. La stampa e i politici, tutti schierati con la lobby si tav, amplificano le storielle della gang Virano.
In realtà il movimento ha messo in seria difficoltà la controparte, resistendo alla militarizzazione, agli attentati ai presidi, ai media che gettavano fango. In gennaio tutti i sondaggi erano stati contrastati, notte dopo notte, giorno dopo giorno con quieta ma ferma determinazione. Era tempo per il governo di cambiare tattica. Le elezioni sono vicine e il Tav è una brutta gatta da pelare. Nel 2005 si rivelò un vero boomerang per Berlusconi e Lunardi.
Una città in stato d’assedio
Il primo segnale arriva da Torino. Le truppe dello Stato – molti i contingenti spostati in Piemonte da Lazio e Campania – finita la prima parte della campagna sondaggi, sono pronti alla partenza. Ma il prefetto Padoin prende due piccioni con una fava e li schiera a Torino. In tre giorni, tra il 25 e il 28 gennaio vengono sgomberati tre posti occupati: il Velena Squat, La Boccia, Lostile.
Il dispiego di forze è impressionante. Intere strade chiuse da decine di mezzi e centinaia di uomini in armi per impedire presidi e manifestazioni.
Ogni protesta viene soffocata sul nascere. Persino chi ci abita non può entrare con l’auto nel tratto di corso Vercelli, che la polizia, dopo lo sgombero de Lostile, ha chiuso con decine di blindati. A chi per protesta aveva occupato l’ufficio elettorale di Bresso pensa il servizio d’ordine del PD, vecchi stalinisti ora in giacca&cravatta che rompono teste e spezzano dita, assalendo a freddo con bastoni e spray urticanti alcuni anarchici armati di striscione. Poi le truppe se ne vanno e qualcuno coltiva la breve illusione di una tregua elettorale.
La parola passa al manganello
Susa 9 febbraio. Tornano le trivelle. Non più in due o tre posti ma una per volta. Così la questura riesce a garantire la militarizzazione senza dover chiedere rinforzi. D’altra parte l’Italia è a i primi posti per numero di poliziotti/carabinieri/finanzieri in rapporto alla popolazione. E, quando serve, mettono in strada anche militari e forestali.
La trivella la piazzano di notte a circa 500 metri dal presidio No Tav di Susa.
Intorno alle 17 parte un corteo sull’autostrada. Nevica e fa un freddo cane, tanti battono sul guardrail con un ciocco preso dalla catasta di legna. Un frastuono assordante, il pacifico grido di guerra dei No Tav.
A comandare la piazza c’è il vicequestore Spartaco Mortola, uno che la carriera se l’è costruita nel mattatoio del G8 di Genova 2001. Dopo un po’ quelli dell’antisommossa si schierano davanti al corteo. Subito alzano i manganelli e colpiscono: uno alla testa, altri alle braccia. Un ragazzo disabile, un anarchico torinese, viene sbattuto giù dalla carrozzina. Ma il corteo non sbanda né indietreggia. I poliziotti lasciano sull’asfalto un paio di scudi ormai inservibili. Dopo un po’ i poliziotti si tirano indietro e il corteo prosegue sino alla statale 25. Decine e decine di lampeggianti blu bucano la notte. Davanti alla recinzione uomini in divisa si agitano forsennatamente. La battitura aumenta di ritmo. Poi si torna in autostrada, davanti alla trivella. Il blocco va avanti per oltre mezz’ora. Grida indignate e fischi accompagnano l’arrivo di un mezzo della ditta che per quattro soldi si è schierata con i si tav.
Tutti capiscono che il gioco di fa più duro: la posta è alta e il ministero dell’Interno è deciso ad imporre a tutti costi le trivellazioni. Le manganellate distribuite ne sono il segno.
Nelle due sere successive l’autostrada viene bloccata ogni sera. Una volta viene giù una recinzione. La resistenza è forte ma il momento è comunque difficile. C’è chi contesta le battiture, chi non apprezza la resistenza alle botte o il taglio della rete. Il borbottio diventa parola quando un imbecille venuto da fuori, subito allontanato con decisione dal presidio e dalla Val Susa, rompe il vetro di un’ambulanza sull’autostrada. La tensione tra nonviolenti – specie quelli che confondono la non violenza con il rispetto delle leggi - e chi ritiene doveroso difendersi, latente nel movimento No Tav sin dalle origini, si fa più forte di fronte alla violenza dello Stato.
La riflessione sul fare non è facile: in fondo nessuno vuole che la resistenza ai sondaggi si riduca e mera testimonianza e nessuno vuole che prevalga un piano militare impossibile da reggere.
Per poco non ci scappa il morto
A risolvere ogni dubbio ci pensa il ministero dell’Interno. È il 17 febbraio. La notte precedente hanno piazzato una trivella a Coldimosso di Susa.
Vale la pena di fare una cronaca puntuale.
Il corteo partito dall’autoporto arriva alla trivella. Qualche palla di neve e la polizia carica più volte. Cariche feroci. Nei boschi, al buio. Chi cade viene massacrato. Un ragazzo, Simone, viene più volte colpito. I poliziotti infieriscono su di lui mentre è a terra. Vomita sangue, non riesce più a muovere le gambe. Una ragazza riporta numerose ferite al capo. A Marinella, una donna di quasi cinquant’anni, spaccano la faccia infierendo ripetutamente sul volto. Il referto è da paura: naso a pezzi, orbita spaccata ed incrinata, fattura scomposta della mascella. E, per non farsi mancare nulla, un’ovaia sfondata a calci. Molti altri guadagnano lividi ed escoriazioni.
Un No Tav accusa i poliziotti di aver puntato in modo esplicito a Simone e loro gli dicono “sì, quello lo conosciamo”. Già è normale: Simone è anarchico e gli anarchici facilmente si guadagnano le attenzioni delle forze del disordine statale.
I tre feriti vengono portati all’ospedale di Susa. Marinella viene ricucita ma non basta: dovrà essere operata nei giorni successivi. Il più grave è Simone: ha un’emorragia cerebrale, non sente le gambe, vomita. Viene deciso il trasferimento alle Molinette a Torino.
Il tam tam No Tav scandisce presto la notizia dei gravi pestaggi di Susa. L’appuntamento è alla rotonda di Chianocco. I No Tav bloccano la statale 24, la statale 25 e l’autostrada. Sulla A32 i poliziotti vengono sommersi di urla quando arriva la notizia che sta per arrivare l’ambulanza che porta Simone alle Molinette. In breve spariscono. Una colonna di poliziotti e carabinieri viene intercettata sulla 25 e non gli viene permesso di passare: l’indignazione per quanto è accaduto è altissima. Vola qualche pietra. Un uomo urla “per andarsene di qui dovranno passare dal Sestriere!” I poliziotti sono bloccati: per tornare a Torino distribuiscono manganellate e sparano lacrimogeni. Alla stazione di S. Antonino, dove resiste il presidio contro le trivelle, i No Tav hanno fermato per una mezz’ora il TGV. I blocchi, durati diverse ore, terminano intorno a mezzanotte e trenta.
Simone nelle ore successive migliora. Se la caverà ma c’è mancato un pelo.
Nel successivo coordinamento comitati si discute a lungo di mezzi e fini. I più sostengono la necessità di moltiplicare le iniziative sul territorio, alternando l’assedio alle trivelle con azioni di disturbo e blocco.
Nuova offensiva mediatica
I torinesi, da sempre, la chiamano la “busiarda”, la bugiarda. È il principale quotidiano cittadino, La Stampa. Le falsità diffuse sui No Tav sono state uno dei cardini di una guerra senza esclusione di colpi, che vede il giornale schierato in prima fila con i signori del Tav. Ci sono palle e palle. Le palle di neve tirate ai poliziotti di guardia alle trivelle in Val Susa e le solenni palle che racconta, giorno dopo giorno, senza un briciolo di vergogna, senza neppure una punta di bon ton, di ipocrita eleganza subalpina, la bugiarda. Lì le palle di neve diventano sassi, i manifestanti che finiscono all’ospedale sono sempre pericolosi estremisti, una bomba del racket l’hanno piazzata i No Tav. O gli anarchici, uno dei babau preferiti dalla “busiarda” in versione Calabresi. Da maggio, quando il timone “La Stampa” è passato a Mario Calabresi, non solo si è accentuato l’orientamento si tav del quotidiano, ma la disinformazione e la calunnia sono diventati pane quotidiano. Specie contro gli anarchici, nei cui confronti si è scatenata una vera campagna di criminalizzazione. Ossessiva, martellante, maniacale.
Antirazzisti? Delinquenti! Simone è ancora all’ospedale il 23 febbraio. Un martedì, tanto per cambiare. Il giorno che la questura di Torino predilige per sgomberi, trivelle, perquisizioni e arresti.
All’alba 27 case e la sede di radio Blackout vengono perquisite, sei antirazzisti sono arrestati - tre in carcere, tre ai domiciliari - ad uno è imposto il divieto di dimora in provincia di Torino, altri 16 vengono denunciati a piede libero. Simone è uno di loro. I quotidiani cittadini daranno gran rilievo alla notizia che il ragazzo pestato ferocemente della polizia alla trivella di Coldimosso, era finito nel mirino della magistratura. L’accusa è gravissima: associazione a delinquere finalizzata a compiere reati come la violenza privata, l’imbrattamento, il disturbo della quiete. Roba di poco conto sotto il profilo penale, che, grazie al reato associativo, apre le porte del carcere ad alcuni antirazzisti. Manifestazioni, presidi, occupazioni simboliche, striscioni, scritte, azioni di protesta diventano tasselli di un disegno criminoso elaborato “all’interno del movimento anarchico” e, in particolare, “dell’assemblea antirazzista”, individuata come il terreno dove si è venuto delineando il disegno criminoso.
La partita contro i No Tav è una delle poste in gioco – anche se non l’unica – dell’operazione repressiva. Cercare di dividere il movimento No Tav, la cui resistenza continua e mettere in difficoltà il governo della Regione in piena campagna elettorale, è tra gli obiettivi della procura guidata da Giancarlo Caselli. I No Tav resistono da due mesi, giorno e notte in strada, alla lobby politico-affaristica del cemento tanto amata anche da Chiamparino e Bresso, veloci nel solidarizzare con le bestie in divisa che massacrano gente a terra con scarponi e manganelli, bestie che devono essere sguinzagliate a centinaia ogni volta che i signori del Tav devono mettere in vetrina una trivella che “morde e fugge” a gambe levate per intercettare il fiume di denaro dell’Unione europea, per garantire buoni affari ai costruttori amici.
La partita è, tutto sommato, lineare: è la solita gara a “a chi c’è l’ha più duro” tra prefetto e governo PdL da un lato e il trio Chiamparino-Saitta-Bresso dall’altro.
Il prefetto va avanti a testa bassa, non sospende i sondaggi nemmeno in campagna elettorale, giocando la partita sul piano militare, sul controllo, armata mano, del territorio. Intanto la Procura mette sotto accusa un po’ di anarchici. Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco: dividere in buoni e cattivi il movimento No Tav - l’unica opposizione popolare esistente sul territorio - è operazione meno facile del previsto. Alla riunione del coordinamento dei Comitati No Tav del 25 febbraio a Condove è stata con forza espressa la solidarietà a tutti gli anarchici torinesi, anche per l’impegno nella lotta antirazzista, rifiutando ogni divisione nel movimento.
La partita, tra la Mole e il Rocciamelone, è sempre più dura. E lo diventerà, se lor signori non decideranno di fermarsi, ancor più nei prossimi mesi. Quelli al governo hanno dimostrato di essere disposti a tutto. Anche ad ammazzare.
Gli affari sono affari e c’è in ballo una torta miliardaria.
Maria Matteo
Al par dei malfattori
La Questura e la Procura della Repubblica torinesi cercavano da tempo un mezzo per incastrare gli anarchici che, specie negli ultimi due anni, hanno partecipato ad iniziative di lotta al razzismo, che, andando oltre la testimonianza, miravano a contrastare le militarizzazione del territorio, la caccia all’immigrato, i controlli della GTT (l’azienda dei trasporti di Torino), il lavoro sotto ricatto, mettendo i bastoni tra le ruote al sistema feroce di reclutamento dei lavoratori stranieri nel nostro paese.
La formula usata è facile facile: si prendono alcuni episodi di resistenza al razzismo di Stato, li si shakera ben bene in un apposito contenitore, gli si attacca l’etichetta associativa, e, voilà, il gioco è fatto! Protagonista dell’operazione il PM Andrea Padalino. Un nome un programma. Padalino propose di prendere le impronte a tutti gli immigrati, considerati, tout court, delinquenti. Affidare a lui un’inchiesta su anarchici ed antirazzisti, in prima fila nel denunciare le brillanti iniziative del PM subalpino, è una farsa indecente.
La Procura voleva la galera. A tutti i costi. Ma nessuno dei singoli episodi contestati – per esempio 23 manifestazioni lampo davanti al CIE per salutare i reclusi, lanciare messaggi, dare sostegno alle proteste – poteva portare alla custodia cautelare. Ecco dunque pronto un bel reato associativo. Accantonate la banda armata o l’associazione sovversiva, come fecero negli anni ’70, e poi ancora, con esiti sempre negativi in anni più recenti, gli inquisitori locali hanno dovuto ripiegare su una banale “associazione a delinquere”. Delinquenti, dunque. Un tempo li si sarebbe chiamati malfattori. Cambiano le parole ma il brodo è sempre lo stesso. Lo Stato non può tollerare che il meccanismo infernale del razzismo per legge venga contestato e contrastato attivamente.
Il collante dell’accusa è l’esperienza dell’Assemblea Antirazzista Torinese, il punto di riferimento, tra maggio 2008 e maggio 2009, di un’area ampia e trasversale, che ha dato vita a numerose iniziative in città. Nel mirino il “cacerolazo” – 2 giugno 2008 – alla casa del colonnello e medico Baldacci, responsabile del CPT, dove un immigrato era morto senza cure il 23 maggio; l’occupazione simbolica dell’atrio del Museo egizio – 29 giugno 2008 – per ricordare l’operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione – 17 luglio 2008 – dell’assessore all’integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata – 11 luglio 2008 – contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta – 20 marzo 2009 – alla lavanderia “La nuova”, che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l’elenco è molto più lungo. In tutto 80 iniziative messe insieme per cucire addosso ad un po’ di anarchici un reato associativo capace di portarli in galera. E potrebbe non essere finita: l’inchiesta prosegue e gli indagati sono quasi settanta.
M. M.
Cronologia No Tav (febbraio 2010)
Martedì 9 febbraio, Susa.
È trascorso un mese dalla nascita del presidio No Tav/NoTrivelle all’autoporto lungo la A32. Dopo una decina di giorni di tregua, usati per sgomberare tre posti occupati a Torino, le truppe dello Stato iniziano una nuova offensiva. In piena notte viene piazzata una trivella a circa a 500 metri dal presidio.
In serata corteo e blocco dell’autostrada. La polizia distribuisce manganellate, un ragazzo disabile viene buttato giù dalla carrozzella.
Mercoledì 10 febbraio, Torino
L’appuntamento è per le 17 di fronte alla stazione di Porta Nuova, simbolo, con la sua saletta vip per quelli del “Club della FrecciaRossa”, di quello che l’alta velocità rappresenta: una montagna di soldi pubblici per fare treni per pochi mente i pendolari devono fare i conti con treni poco sicuri, sempre in ritardo, sporchi.
I No Tav arrivano in centocinquanta. Qualche centinaio di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa bloccano l’ingresso della stazione e presidiano i binari.
Giovedì 11 e venerdì 12 febbraio, Susa.
Giovedì c’è una bella bufera di neve ma questo non trattiene i No Tav. Alle 21 qualche centinaio di persone, con pentole, coperchi e ciocchi di legno percuotono il guardrail e si dirigono alla trivella. La neve è invitante e le palle di neve fioccano verso i carabinieri e poliziotti di guardia alla trivella. Ad un certo punto anche un pezzo di recinzione va giù.
Venerdì si replica. Di nuovo sull’autostrada con una sarabanda infernale a fare da accompagnamento. Un ubriaco ha la pessima idea di colpire con un sasso il vetro di un’ambulanza. Viene preso di peso ed allontanato dal corteo e anche dalla Val Susa. Una colletta tra i presenti ripaga il vetro alla Croce Bianca.
Lunedì 15 febbraio, Torino.
Alla stazione di Torino Porta Nuova ci sono viaggiatori di serie A e viaggiatori di serie B. Per i primi – quelli che prendono il costosissimo treno ad alta velocità – c’è una biglietteria riservata con tanto di sala d’aspetto con divanetti rossi. Per i secondi le code in piedi nella biglietteria dei tuttiquanti. È il viaggio all’epoca del Tav, un’opera pagata da tutti ma riservata ai pochi che se la possono permettere.
Nel tardo pomeriggio, per quasi tre ore un gruppo di No Tav occupa simbolicamente, incatenandosi, la sala vip della Freccia Rossa, alla stazione Porta Nuova.
Altri distribuiscono volantini e fanno comizi volanti con un piccolo megafono.
L’iniziativa raccoglie forte solidarietà tra i viaggiatori e i lavoratori delle ferrovie.
La protesta termina intorno alle 20. I No Tav provano ad uscire in corteo dall’ingresso principale ma Digos e celere in assetto antisommossa li bloccano.
Molti presenti gridano indignati. Ma c’era poco da fare: il treno crociato li rende furiosi come tori e i poliziotti vogliono caricare. I No Tav si esibiscono in un paio di eleganti veroniche ed escono di lato.
Martedì 16 febbraio, Coldimosso di Susa, intorno alla mezzanotte.
Questa volta per un pelo i No Tav non riescono a precedere la trivella. È quella del sondaggio S72, piazzata sotto il cavalcavia che oltrepassa l’autostrada. I No Tav, in allerta da ore, quasi riescono a precederla. Volano manganellate per disperdere i primi arrivati. Seguono lunghe ore di assedio, con le forze dell’ordine e gli addetti alla trivella bersagliati da palle di neve e gavettoni, mentre il tubo per l’acqua viene più volte riposizionato. La mattina successiva sul sito de “La Stampa on line” la solita sequela di falsità: le palle di neve diventano sassi, l’acqua orina.
Mercoledì 17 febbraio, Torino.
Piove a dirotto. Una cinquantina di No Tav si ritrovano alla stazione di Porta Susa per un presidio informativo. La stazione è blindata.
Mercoledì 17 febbraio, Susa.
Il corteo partito dall’autoporto arriva alla trivella in località Coldimosso. Qualche palla di neve e la polizia carica più volte.
Sul terreno restano due feriti gravi, Simone e Marinella. Per lunghe ore si teme per la vita di Simone a causa di un’emorragia cerebrale.
La risposta del movimento è immediata. Vengono bloccate la ferrovia, l’autostrada, e le due statali, impedendo per lunghe ore alla colonna dei blindati, provenienti da Coldimosso, dove la trivella era stata nel frattempo smontata, di tornare a Torino.
Notte tra il 17 e il 18 febbraio, Torino.
Simone arriva alle Molinette ma nemmeno qui viene lasciato in pace. La digos entra nella sala degenze del pronto soccorso. Compagni ed amici di Simone li cacciano con energia e chiamano l’avvocato. Simone viene finalmente trasferito in reparto.
Alcuni No Tav decidono di bloccare l’uscita dei camion che portano le copie della prima edizione de “La Stampa”, facendo un picchetto all’ingresso, in via Giordano Bruno 84. Un’ora dopo arriva la celere e il presidio si scioglie.
Giovedì 18 febbraio, Torino.
Le condizioni di Simone migliorano: l’ematoma comincia a riassorbirsi, riprende a sentire le gambe. In tarda mattinata il primario dichiara che non è più in pericolo di vita. Il vicequestore Sanna, ben noto per aver guidato l’assalto al presidio di Venaus nella notte del 6 dicembre 2005, va in visita privata da Simone. Gli chiede se poteva far nulla per lui. Simone risponde “non crede di aver già fatto abbastanza?”.
Purtroppo le condizioni di Marinella, l’ambulante di Villarfocchiardo pestata a sangue dalla polizia, appaiono più gravi di qualche ora prima. Pur non rischiando la pelle è in condizioni pietose: le manganellate le hanno fracassato il naso, fatto rientrare l’orbita di un occhio, spezzato lo zigomo. I calci nel basso ventre le hanno sfondato un’ovaia. Verrà operata il giorno successivo alle Molinette a Torino.
Alle 11 davanti alla RAI in via Verdi circa duecento No Tav danno vita ad un presidio di denuncia delle violenze poliziesche e delle deformazioni e falsità dei media.
Venerdì 19 febbraio, Bussoleno
Simone, uno di noi, Marinella, una di noi. Due stendardi con questa scritta hanno aperto la fiaccolata contro la violenza poliziesca che ha attraversato le vie della cittadina. Ci sono oltre cinquemila persone. Di fronte alla sede della Geomont, la ditta che ha fatto alcune delle trivellazioni per il Tav, vengono sparati fuochi d’artificio.
Marinella, in collegamento telefonico con il presidio, pur parlando a fatica, ringrazia per la solidarietà e dichiara che quanto è successo non fa che rendere più forte la sua determinazione a lottare contro il Tav.
Lunedì 23 febbraio, Torino.
Il direttore de “La Stampa” Calabresi era atteso al Sermig, “l’arsenale della pace” di Fredo Olivero, per una conferenza su “padri e figli”.
Lo hanno fatto entrare da un ingresso laterale: ha così evitato di passare dall’ingresso principale dove lo aspettavano una ventina di No Tav armati di volantini, bandiere e striscioni, le armi che più danno fastidio ai sostenitori del TAV. La polizia, che presidiava la zona con ben tre pattuglie sin dalla mattinata, ha schierato due blindati, numerosi uomini in tenuta antisommossa e il consueto drappello di digos.
I No Tav hanno aperto due striscioni, sul primo la scritta gigante “NO TAV” sul secondo “Calabresi busiard! No Tav”.
Purtroppo non ha nevicato e Calabresi si è perso le “bale d’fioca – palle di neve” che gli erano state promesse.
Martedì 24 febbraio, Torino.
Un centinaio di No Tav si ritrova in via Roma, di fronte alla sede de “La Stampa”.
Le saracinesche de “La Stampa” rimangono chiuse per tutto il pomeriggio. A presidiarle il consueto nugolo di poliziotti dell’antisommossa coadiuvati da Digos e carabinieri.
Un No Tav deciso a restituire le palle di carta del quotidiano torinese ha esposto qualche rotolo di carta igienica marchiato “La Stampa”.
Dopo il consueto aperitivo autogestito – niente soldi ognuno porta qualcosa – e qualche canto No Tav, tra cui un corale “Sarà dura” sull’aria di una nota canzone partigiana carrarina, si è svolta una animata assemblea di piazza.
Un po’ di commozione collettiva nel salutare Simone e Marinella.
Forte anche la solidarietà verso gli antirazzisti arrestati il giorno precedente a Torino.
Martedì 2 marzo, Torino.
Nuova trivella in strada della Pronda, pochi metri prima del confine con Grugliasco. La trivella è in un prato, uno dei pochi rimasti, completamente cintato e invaso dal consueto nugolo di polizia e carabinieri.
Parte subito un presidio No Tav. Volantini e comizi volanti in auto informano la gente delle case intorno.
In serata all’assemblea popolare ci sono una cinquantina di persone, compresi una decina di abitanti delle case che timidamente si avvicinano. Da queste parti la lotta per l’opposizione al Tav è ancora tutta in salita.
Martedì 2 marzo, Buttigliera alta
Siamo tra la Val Susa e la Val Sangone. In piena notte piazzano una trivella lungo la provinciale, tra Buttigliera e Rosta. Un piccolo gruppo di No Tav arriva quasi subito ma viene respinto dalla polizia. In mattinata parte un presidio informativo sulla strada. In serata assemblea davanti al comune di Rosta. Circa duecento persone che intercettano il cambio turno della polizia, obbligando i blindati a prendere per i campi. Più tardi alcuni No Tav bloccheranno il TGV alla stazione di Rosta.
Mercoledì 3 marzo, Torino
Il sindaco, fan del Tav, Sergio Chiamparino non perde occasione per distinguersi. All’ultimo minuto viene revocato il permesso per una sala della terza circoscrizione affittata – e pagata – per un’assemblea No Tav. Ma i No Tav non si lasciano tappare la bocca tanto facilmente. La sala viene occupata e l’assemblea si svolge in barba ai divieti.
Oltre a cortei, blocchi, occupazioni, sono continuate, sera dopo sera le assemblee ai presidi di Susa e S. Antonino, le feste popolari, gli incontri informativi, le cene e persino un carnevale. Segno inequivocabile di un movimento che vive nella lotta e nella resistenza non meno che nell’incontro, nella convivialità, nel continuo dibattito su scelte e prospettive di lotta.
M. M. |
|