Rivista Anarchica Online


Argentina

La storia di un libro desaparecido
di Alberto Prunetti

Uscito per la prima volta nel 1968 su una rivista argentina, finora mai tradotto e pubblicato in Italia, “Patagonia ribelle” di Osvaldo Bayer esce ora con Elèuthera a cura di Alberto Prunetti.
Ne pubblichiamo l’introduzione dello stesso Prunetti e due stralci.

 

La Patagonia ribelle di Osvaldo Bayer è un libro perseguitato. Gli esemplari di questo libro hanno conosciuto, nell’Argentina dei sequestri di stato, lo stesso destino toccato in sorte alle persone: qualcuno è venuto a prenderseli e se li è portati via. Scomparsi nel nulla. Ma la tenacia dell’autore alla fine l’ha avuta vinta. Ricomparso da anni in Argentina, finalmente la Patagonia ribelle arriva anche negli scaffali italiani in edizione ridotta.
Quella del libro di Bayer è una storia lunga e tormentata. La storia di uno sciopero insurrezionale che si conclude con 1500 operai rurali fucilati dall’esercito argentino e collocati in fosse comuni non poteva che essere tragica. Una tragedia che si riflette nel titolo dell’articolo in cui Osvaldo Bayer per la prima volta affronta questo argomento, rompendo un tabù nella storiografia argentina: Los vengadores de la Patagonia Trágica, comparso nei numeri 14-15 di Todo es Historia (giugno-luglio 1968). La ricerca storica di Bayer prosegue negli anni successivi e solo nell’agosto del 1972 Bayer dà alle stampe un primo tomo delle sue indagini, con titolo omonimo a quello dell’articolo. Nel novembre dello stesso anno appare il secondo tomo, mentre il terzo esce nel 1974. Intanto il lavoro di Bayer ha preso il titolo definitivo di Patagonia rebelde. Inoltre, tra il gennaio e il febbraio del 1974 il regista argentino Héctor Olivera termina le riprese di una pellicola ispirata all’opera di Bayer. Nell’aprile 1974 il film viene in un primo momento bloccato dalla censura. La pellicola viene proiettata nei cinema su decisione del presidente Perón, ma subito dopo la sua morte, sotto l’infausta presidenza di Isabella Perón, il film di Olivera viene ritirato dalle sale argentine. L’autore e il libro non hanno conosciuto una sorte più felice di quella della pellicola.
Come ricorda lo stesso Bayer – intervistato il 29 aprile 1983 da Osvaldo Soriano per la rivista Humor – nell’ottobre del 1974 l’autore della Patagonia rebelde comincia a ricevere minacce telefoniche e visite di strani personaggi che si qualificano come appartenenti ai servizi informativi della polizia. In seguito il suo nome appare in una lista del gruppo terrorista di estrema destra Triple A, autore di svariati assassinî di personalità di sinistra, che lo condanna a morte. A quel punto la famiglia di Bayer si rifugia in Germania, lui rimane ed entra in clandestinità. Poi ripara lui stesso in Europa, torna in Argentina dopo un anno ma il colpo di stato militare del 1976 lo obbliga a un esilio di 8 anni.
La Patagonia ribelle soffre un destino analogo. Mentre l’editore ripara in Messico (dopo che una bomba è esplosa sotto la sua abitazione) e mentre la persecuzione di stato colpisce tutti i nomi che compaiono nei titoli di coda del film di Olivera, i soldati dell’esercito argentino passano in rassegna le librerie alla ricerca dei titoli sovversivi. Le copie della Patagonia Ribelle finiscono in mucchi che vengono dati alle fiamme sotto lo sguardo di una soldataglia rispettosa di “dio, patria e famiglia”. Intanto dalla Germania Bayer riesce a recuperare, con l’aiuto di una adolescente tedesca, il manoscritto dell’ultimo volume della sua opera, che viene pubblicato in spagnolo nel 1978, in Europa. Dal 1983, caduta la dittatura militare, il libro viene ristampato in versione integrale a Buenos Aires, mentre il suo autore torna a vivere nella casa del quartiere Belgrano di Buenos Aires.

Alberto Prunetti

Un’edizione coraggiosa

La Patagonia rebelde è adesso disponibile in lingua originale in due edizioni: una in quattro volumi, per un numero complessivo di pagine superiore alle 1600, e una in versione ridotta, che comunque consta di ben 430 pagine. Entrambi i due formati erano al di fuori delle possibilità economiche di Elèuthera, che ha avuto il coraggio di pubblicare un libro che non è un instant book e che è stato pubblicato di fatto nel secolo scorso. Autore e editore italiano si sono trovati d’accordo nell’opportunità di pensare a una edizione italiana ridotta che io ho realizzato col consenso di Bayer. Il libro infatti ha avuto una storia controversa e si è allungato e accorciato nel corso del tempo, un po’ come un bandoneon argentino. Alcune parti, rilevanti per il lettore argentino, sono state eliminate senza creare grossi problemi al lettore italiano. Mi riferisco in particolare alle lunghe pagine in cui Bayer demolisce la tesi, avanzata da storici militari, che vorrebbe lo sciopero patagonico del 1921 orchestrato dal Cile per “sovvertire” l’ordine interno dell’Argentina. Altre sezioni non tradotte sono quelle in cui l’autore confuta gli storici conservatori o analizza il ruolo del presidente Yrigoyen e dei vertici dell’Unión Cívica Radical, il partito di governo all’epoca dei fatti. Infine si è scelto di limitare le interviste ai testimoni oculari degli eventi e le citazioni dei quotidiani locali, favorendo la sintesi del testo e condensando gli eventi nel loro sviluppo temporale, riducendo così le lunghe digressioni dell’originale.

Alberto Prunetti


L’angelo sterminatore

Sono le 5,30 del mattino del 27 gennaio 1923 e fa già caldo a Buenos Aires. L’uomo dai capelli rossi prende il tram all’angolo tra Entre Rìos e Constitución, utilizzando un biglietto di seconda classe. Viaggia fino alla stazione Portones di Palermo, a Plaza Italia. Tiene in mano un pacco: forse il fagotto del pranzo, o attrezzi da lavoro. Sembra tranquillo. A pochi isolati dalla destinazione comincia a leggere il Deutsche La Plata Zeitung, che tiene sotto il braccio.
A Plaza Italia scende e si muove verso ovest lungo calle Santa Fe, diretto alla stazione Pacífico. La oltrepassa e arrivato alla calle Fitz Roy si ferma all’angolo, proprio di fronte a una farmacia. Sono le 7,15 e il sole picchia forte. C’è traffico di gente, di carri, di auto e camion. Di fronte ci sono le caserme della I e II divisione di fanteria. Ma l’uomo rosso non guarda da questo lato: i suoi occhi non si separano dalla porta della casa al numero 2461 di Fitz Roy.
Potrebbe essere per oggi? Si direbbe di no. Non esce nessuno da lì. Passano i minuti. Sarà già uscito? Sospettava qualcosa?
No, eccolo. Dalla casa esce un militare. Sono le 7,55. Ma anche stavolta tiene per mano una bambina. Il rosso ha uno scatto impercettibile di contrarietà. Ma ora il militare si ferma a parlare con la piccola. Lei dice di sentirsi male. Il militare la prende in braccio e rientra in casa.
Passano pochi secondi e adesso sì, il militare esce da solo. È in uniforme, con la sciabola in cinta. Si mette in cammino verso calle Santa Fe per lo stesso marciapiede in cui si trova l’uomo rosso. Dal passo energico si deduce il suo carattere fermo. E adesso va incontro alla morte in un bel mattino, forse un po’ troppo caldo.
È il famoso tenente colonnello Varela. Meglio noto come “comandante Varela”. L’uomo più odiato dagli operai. Lo chiamano “il fucilatore della Patagonia”, “il sanguinario”: lo accusano di avere giustiziato nel sud 1500 braccianti indifesi. Gli faceva scavare le tombe, poi li obbligava a spogliarsi e li fucilava. I dirigenti sindacali erano bastonati e feriti con la sciabola, prima che ordinasse di finirli con quattro pallottole.
[...]
Iniziava così la vendetta contro la repressione antioperaia più violenta dei primi 75 anni del 900 argentino. Il primo capitolo di questa storia si era svolto due anni prima molto più a sud, nella Patagonia, tra il freddo e l’eterno vento australe, con lo sciopero rurale più lungo della terra sudamericana.

Osvaldo Bayer

Osvaldo Bayer

Gauchos e bandoleros

In effetti, gli uomini che furono a capo del movimento rurale, in questo primo sciopero, non erano proprio i classici dirigenti sindacali. Mi riferisco al “68” e a “El Toscano”. Il primo era un ex ospite del carcere di Ushuaia, e 68 era il numero che portava cucito sulla camicia da detenuto. Anche il secondo aveva avuto molti problemi con la giustizia ed era un avventuriero incredibile. Erano entrambi italiani. Il “68” si chiamava José Aicardi. Il vero nome di “El Toscano” era Alfredo Fonte, aveva trentatre anni e da quando ne aveva tre viveva in Argentina. Di professione era carrettiere. Entrambi erano cavalieri consumati, e sembravano più gauchos che gringos italiani.
Con loro si muovevano due argentini: Bartolo Díaz, noto come “el paisano Díaz”, e Fiorentino Cuello – “el gaucho Cuello” –, entrambi turbolenti: se c’era una lotta, loro stavano nel mezzo. Ma avevano i loro meriti: erano quelli che avevano iscritto più “chilotes” al sindacato. La tessera annuale costava dodici pesos, e loro consegnavano un pezzo di carta come ricevuta. Erano molto popolari in tutte le estancias e conoscevano il territorio palmo a palmo.
Il gaucho Cuello veniva da Diamante, nella zona di Entre Ríos, dov’era nato nel 1884. Nel 1912 aveva accoltellato uno del suo paese: le lesioni furono gravi e gli costarono cinque anni di carcere a Río Gallegos. Nel 1917 recuperò la libertà e rimase in Patagonia. All’inizio dello sciopero lavorava in una estancia.
Questi quattro caporioni furono i responsabili della maggior parte degli scioperi nelle fattorie di Santa Cruz. Chi comandava era senza dubbio quel personaggio misterioso che è stato il “68”. Assieme a loro c’era un cileno, Lorenzo Cárdenas, uomo coraggioso, deciso e di sangue freddo. Completavano il gruppo dirigente l’anarchico tedesco Franz Lorenz, il paraguaiano Francisco Aguilera, l’anarchico francese Federico Villard Peyré, delegato del personale della fattoria “La Anita” dei Menéndez Behety; gli statunitensi Carlos Hantke (che si faceva chiamare anche Charles Manning), Charles Middleton (facilmente identificabile perché aveva i denti d’oro), John Johnston e Frank Cross; l’anarchico russo Juan Vlasko; gli scozzesi Alex McLeod e Jack Gunn; un negro portoghese che si chiamava Cantrill; il carrettiere Angel Rodríguez, detto “Palomilla”; lo spagnolo José Graña e altri.
Questa sarà la colonna portante che occuperà una fattoria dopo l’altra, prendendo in ostaggio i proprietari, gli amministratori e i capisquadra, e ingrossando le proprie fila con i lavoratori rurali.

Osvaldo Bayer