Una class action contro un’azienda biotech
Nelle ingenti risorse economiche allocate dalle aziende farmaceutiche nella ricerca biomedica, come è noto, non si celano aneliti filantropici. Lo scopo principale dei manager e dei consulenti di proprietà intellettuale delle industrie biotecnologiche e farmaceutiche è la trasformazione della scoperta in un prodotto industriale brevettabile, questo, ovviamente, al fine di rivendicarne l’esclusiva economica. In genere, nessun problema di ordine etico o morale sorge quando si tratta, ad esempio, della sintesi di nuovi composti farmaceutici oppure la costruzione di moderni dispositivi medicali.
Tuttavia, alla luce delle recenti scoperte riguardanti il genoma umano (cioè la “collezione” di tutti i nostri geni) e delle migliaia di brevetti di geni, la legislazione brevettuale mostra se non un’evidente obsolescenza, un’interpretazione discutibile da parte dei patent attorneys (consulenti brevettuali), soprattutto sulla possibilità di brevettare i geni umani.
Questo articolo vuole richiamare alcuni concetti-chiave sulla brevettabilità in ambito biotecnologico, alla luce di una recente e inedita sentenza della corte distrettuale di New York in un processo che opponeva la American Civil Liberties Union (ACLU), all’ufficio per i brevetti e marchi statunitense (U.S. Patent and Trademark Office), il cui esito è stato il ritiro di sette brevetti della Myriad Genetics, Salt Lake City (Utah, USA). Questi brevetti riguardavano geni umani, scoperti e caratterizzi dalla Myriad Genetics, che, in alcune forme mutate, predispongono le donne a sviluppare tumori al seno o all’ovaia.
DNA, geni e brevetti
Si stima che siano 2.000 i geni coperti da proprietà brevettuale, approssimativamente il 20% del genoma, ma in realtà sono circa 40.000 i brevetti riguardanti geni, poiché diversi brevetti riguardano uno stesso gene. È importante ora richiamare alcuni concetti teorici senza i quali risulterà impossibile la piena comprensione delle motivazione della sentenza del giudice Robert W. Sweet di New York.
È particolarmente importante, secondo me, che il più vasto pubblico possibile divenga competente e quindi conscio di alcune problematiche a cavallo fra biotecnologie e proprietà intellettuale, soprattutto in Italia, in cui l’analfabetismo scientifico raggiunge proporzioni endemiche.
Le cose, in realtà, sono piuttosto semplici: il nostro patrimonio genetico è costituito da DNA che è formato, a sua volta, da una sequenza di quattro sostanze, le basi azotate. La successione delle basi azotate costituisce il codice genetico. I geni non sono elementi platonici o poco definibili, piuttosto strutture ben delimitate nella sequenza del DNA. Considerando una sequenza arbitraria di 100 basi azotate, possiamo dire a titolo di esempio che dalla posizione 1 alla 50 sta il Gene 1 e dalla posizione 60 alla 100 sta il Gene 2. In realtà, soltanto una minima parte (meno del 2%) del nostro DNA contiene geni, il resto è probabilmente deputato al controllo dell’espressione genica.
Ma cosa produce un gene? In prima approssimazione possiamo dire che un gene “produce” una proteina o proteine strettamente simili o correlate tra loro, aventi quindi la stessa o simile funzione. Sarebbe più appropriato dire che le informazioni di un gene, scritte con il linguaggio della successione delle basi azotate, viene convertito o meglio “tradotto” in un altro linguaggio, quelle delle proteine. Queste ultime, a loro volta, svolgono nel nostro corpo ruoli funzionali (ad esempio il controllo di un determinato processo metabolico) o strutturali (costituendo, ad esempio, la struttura dei muscoli).
Ora abbiamo le basi teoriche per comprendere le motivazioni alla base della sentenza del giudice Sweet.
Si può brevettare un gene?
Viste le migliaia di brevetti, la risposta alla domanda sarebbe senza dubbio affermativa, almeno nella consuetudine, ma la recente sentenza del giudice newyorkese potrebbe rappresentare se non una svolta, un importante passo verso la messa in crisi dell’intero sistema brevettuale in ambito biotecnologico. È importante definire ora che non tutto può essere brevettato e che ai fini della “brevettabilità” l’oggetto o il metodo che si intende brevettare deve avere alcune caratteristiche. In primis, non è possibile brevettare prodotti naturali, quali ad esempio l’acqua, o idee astratte, fenomeni naturali ecc. Al contrario, è possibile brevettare processi, macchine, manufatti e composizioni di materiali, che non risultino tuttavia “ovvi”, ovvero banalmente e di poco differenti rispetto ad altri oggetti o metodi già coperti da brevetto. In secondo luogo, il processo di trasformazione di una materia in un’altra deve essere sostanziale e il nuovo materiale prodotto deve essere marcatamente differente dal materiale da cui ha origine, come esso si ritrova nell’ambiente naturale.
La Myriad Gentics detiene i diritti di proprietà dei geni BRCA 1 e 2, le cui forme mutate predispongono alla formazione di un tumore al seno e all’ovaia in circa il 10% delle donne affette. Dato che non si può brevettare una sequenza di DNA naturale (ad esempio una sequenza di DNA presente in una nostra cellula) tutte le aziende biotech, per accaparrarsi la proprietà di una sequenza di DNA agiscono come segue: 1) sequenziano il DNA nell’essere umano, in questo caso il gene BRCA; 2) lo sintetizzano e purificano in vitro con mezzi enzimatici e 3) nel brevetto, onde rivendicarne la natura non naturale, asseriscono che le sequenze in oggetto sono “sostanzialmente separate da altri componenti cellulari, che accompagnano naturalmente una sequenza umana nativa come sequenze genomiche e proteine”. Detto in termini più semplici, la sequenza che viene rivendicata, secondo le aziende, non è naturale perché sintetizzata e purificata, ed è quindi brevettabile.
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“Eccezionalismo” del DNA
La visione del giudice Sweet è piuttosto radicale, tuttavia coerente alla giurisdizione sui brevetti: un gene sintetizzato in vitro è solo banalmente differente da quello naturale, e “una purificazione di un prodotto naturale, e niente più, non lo può trasformare in un oggetto brevettabile”, perché non marcatamente differente dalla fonte naturale. Secondo l’interpretazione maggioritaria dei patent attorneys il DNA è una molecola come un’altra, e come tale può essere brevettata purché sintetizzata e purificata. Ma il DNA, secondo il nostro pensiero e anche secondo quello del giudice Sweet, non è una molecola come un’altra, non è l’aspirina o il paracetamolo, è invece una molecola portatrice di informazioni. Sono le informazioni e non le proprietà chimico-fisiche che rendono prezioso il DNA, e queste informazioni, banalmente tratte dal DNA umano, non possono essere protette da brevetto. Il giudice mette in crisi anche il processo rivendicato dalla Myriad Genetics. Infatti, l’azienda statunitense rivendica l’uso esclusivo delle sequenze di DNA dei geni BRCA con un metodo di confronto tra una sequenza “sana” di DNA di riferimento e la sequenza di DNA del paziente, e se in quest’ultimo saranno presenti alcune mutazioni, allora si potrà dire che il paziente è a rischio di sviluppare un tumore. Il giudice, a ragione, considera che tali processi di confronto non costituiscono un dispositivo né trasformano nulla in qualcos’altro. Piuttosto il mero confronto tra sequenze di DNA è un “processo mentale, e quindi non è brevettabile“ secondo la legge.
Il futuro dei brevetti genetici
La decisione della corte distrettuale di New York non fa giurisdizione e non vincola altre corti statunitensi, e un altro giudice distrettuale potrebbe ribaltare questo giudizio. Le cose saranno più serie, legalmente parlando, quando si avrà il giudizio del circuito federale, che vincolerà tutti i tribunali salvo la Corte Suprema. La Myriad Genetics ha annunciato che si appellerà al giudizio e non si può dubitare che le lobby industriali faranno tutto il possibile affinché questa breccia non divenga infine una ferita mortale inferta ai brevetti genetici. E gli interessi in ballo sono colossali.
Ma anche gli aspetti etici e morali sulla possibilità di brevettare geni umani sono notevoli: uno studio recente della Duke University evidenzia che molti ospedali non possono offrire un servizio diagnostico, spesso vitale come quello di evidenziare una predisposizione o presenza di una patologia, perché altrimenti dovrebbero rispondere alle aziende che detengono i diritti su quei particolari geni. Questo per malattie gravi come la distrofia muscolare, la fibrosi cistica e diversi tipi di tumori. Se si estende quanto detto prima agli organismi geneticamente modificati (OGM), si comprende l’importanza di opporsi alle aziende biotecnologiche che intendono brevettare la natura, ammantando a volte la loro cupidigia delittuosa con ipocrite prese di posizione sull’importanza della ricerca biomedica per la salute dell’uomo.