Rivista Anarchica Online


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di Paolo Becherini

Finché non saranno scacciati i mercanti, il tempio dell’arte non sarà il tempio del cuore, ma solo di mattoni, di velluti, dell’oro. L’arte sarà solo esteriore, ipocrita, morta. In un mondo ristagnante, che imputridisce sempre più nell’ingiustizia, nella coercizione, nel ricatto, nella negazione di qualsiasi libertà, nella manipolazione sorretta dai ciarlatani del palazzo di qualsiasi risma e mestiere che portano le masse alla disperazione della miseria, nell’angoscia della delusione e poi alla rassegnazione, che equivale a una morte lenta, l’arte e l’artista devono assumere un ruolo di resistenza, di opposizione reale e attiva, di proposta alternativa al fine di risollevare la speranza delle anime e delle coscienze per indicare nuovi orizzonti luminosi.

Se l’arte è primariamente solo ed esclusivamente una professione perde la sua qualità più essenziale, la schiettezza, e contribuisce solamente a corrompere il gusto del pubblico che gli da credito, (come affermava Tolstoj ).

Se l’arte e gli artisti assumono nella società solo il ruolo di intrattenitori, di buffoni che sollazzano il pubblico, essa svolge la funzione di solo svago o di sfogo, se un evento artistico diviene simile all’assistere ad una partita di calcio, l’arte sarà pervertita, atrofizzata, sarà al soldo, incatenata e funzionale al regime, al potere di turno e non ci sono poteri che non siano ingiusti, repressivi, disumani e bugiardi.

“Non ci sono poteri buoni”

Ricordiamo che la dignità si perde e non serve andarla a cercare

L’arte senza denuncia, senza critica, senza alternativa, senza sentimenti, senza utopia, senza libertà, senza amore è solo contraffatta, prodotta costantemente da mestieranti per soddisfare la domanda al solo scopo commerciale; attività ridotta a un vuoto passatempo per la gente oziosa nella migliore delle ipotesi, o peggio ancora, per la manipolazione o la narcotizzazione. È evidente il degrado mentale e l’imbecillità prodotta da certi spettacoli televisivi e da certa “ arte di massa” sulla popolazione.

Il vero significato dell’arte non deve essere altresì solo la bellezza e il godimento, ma il mezzo ( anche attraverso un linguaggio simbolico ) per mezzo del quale le persone devono riflettere, confrontarsi, condividere, proporre, crescere, contagiare, socializzare. L’arte autentica è quella che si distingue per la comunicatività da parte dell’artista libero, che sente la necessità di esprimere il suo essere interiore, i suoi sentimenti, il suo pensiero, i suoi sogni, i suoi ideali in modo spontaneo e sincero : frutto della memoria storica e della sua esperienza di vita.

Eliminare la divisione fra vita quotidiana e arte è essenziale per un teatro di vita.

Irradiare, contagiare alla libertà in modo diretto, faccia a faccia, parola a parola, azione ad azione, senza mediazioni, è un passaggio necessario e un diritto, un dovere, per sviluppare l’arte dal basso, in modo autonomo e autogestito, fuori dalle riserve, dai circuiti commerciali e dai controlli per conquistare e stabilire liberi spazi, se non vogliamo essere vittime e carnefici di noi stessi, per sbriciolare progressivamente le catene dell’autocensura, della passività, della retorica, del “buon senso “ e del realismo.

Attaccarsi e accomodarsi sui carrozzoni associativi riconosciuti dell’arte significa subordinarsi ai modelli di potere, alla burocrazia, di queste” associazioni”, alle loro tendenze di pensiero sia religioso che politico ai loro controlli alla logica della delega in ogni campo della vita, dalla cultura che si vende nei centri commerciali, al vuoto assoluto del pensiero liberale, al socialismo che non ha più niente a che fare col socialismo, al comunismo paralizzato e incapace di uscire da una logica di potere dalle mode forcaiole, dai loro intrallazzi e baciamano con i vari istituti governativi, spalleggiati da sindacati verticisti, corporativi e di controllo. Che hanno come funzione primaria quella di ungere le linee politiche che lo stato manifesta su associazioni e organizzazioni, sui loro aderenti, singoli artisti, e varie compagnie e gruppi culturali nell’intento
di plasmare gli aderenti e di scartare e tenere ai margini qualsiasi tendenza veramente alternativa alle loro logiche.
Di reprimere di fatto le nostre proposte, i nostri bisogni, uccidere la nostra creatività la nostra libertà.

Bisogna rifiutare e denunciare, fuoriuscire in massa da tutto questo pantano. Uscire anche dal solo scopo ricreativo e pedagogico che l’arte ha svolto a fine ottocento.

Un teatro, un arte troppo stretta, dove non c’è prospettiva dal laccio del passato, del domani uguale all’oggi e dell’oggi uguale a ieri, l’arte come merce, preoccupa, ma tutto ciò si può scardinare: l’arte può essere una forza propulsiva, dissacrante, dirompente, propositiva… rivoluzionaria.

Anche se alcuni direttori artistici si scostano dalla mentalità e dai metodi di molti loro colleghi, son pur sempre soli. Una spinta collettiva, uno sforzo da parte di ciascun gruppo o artista, è essenziale.


Il Living ha aperto una strada, esperienze come l’agit-prop, pure.

Quando, come in questi ultimi anni, la pochezza, l’inerzia, l’irrisorietà, la finzione, sembra entrare dappertutto nelle menti e nei rapporti della gente. Quando il blaterare dell’apparente informazione o disinformazione, nei salotti televisivi e del palazzo dei predellini da parte dei mezzi di comunicazione e della propaganda assordante dei pennivendoli di turno, dei “dittatori degli stati liberi di bananas”, quando la reazione collettiva sembra assopita dalla cortina fumogena dell’adattamento della sudditanza, quando l’immobilismo o le azioni retoriche fanno da padrone al ricatto del terrore sociale dell’arroganza dei governanti e i loro cani, che mordono e mangiano ogni marginale diritto o conquista passata, allora non bisogna lasciarsi andare, né come artisti, né come uomini. Necessita sviluppare il vigore, la capacità, la volontà di ricominciare. Se saremo forti anche i deboli resteranno con noi: le idee non mancano, si tratta di passare dalle parole ai fatti, dalla delega all’azione diretta, all’autorganizzazione! Nel campo artistico ci sono situazioni di maggior respiro, mercantia (uno dei più importanti festival europei d’arte di strada che si volge ogni anno alla metà di luglio a Certaldo Fi, oggi alla sua 23 edizione) è stato uno spazio importante in principio, fucina di idee: lo attestano le battaglie per la libertà dell’arte di strada, le proposte, la stessa atmosfera contagiosa che si manifesta ad ogni suo evento. Ma non ci accontenteremo di queste marginali situazioni, non ci adattiamo ne accomodiamo delle riserve che di fatto diventano solo gabbie dorate, e a lungo andare un business per alcuni e piano piano soltanto un momento di sfogo per “certi strati giovanili” affinché non si fermi e rimanga soltanto uno spazio esteriore senza speranza, senza reale sostanza, ne metodo, una vacanza estiva, l’ora d’aria. Le varie fotocopie dei vari festival sparsi per tutta itali attestano questo, una “moda” alternativa una parvenza un appagamento esteriore; il lustro per qualche amministrazione pubblica, la soddisfazione dei commercianti nel riempire i loro luoghi di profitto.

Un connubio fra chi ci guadagna in soldoni e chi ci guadagna in consenso e immagine.
Oggi l’arte libera, il pensiero libero e l’azione diretta sono le uniche e vere e possibili opzioni da portare avanti:
La spinta verso un’arte senza il privilegio, le “personalità”, le gerarchie, i lacci, senza il dominio dell’uomo su l’uomo.

Anche se per il momento non si vede all’orizzonte un cambiamento totale e radicale, non manca la prospettiva :
È possibile organizzarsi ai margini dei poteri anche di quello amministrativo, rappresentato da comuni, provincie e regioni. Anche se non possiamo uscire dal mondo possiamo essere refrattari e migliorare nell’immediato la nostra situazione anche soltanto con delle piccole azioni indirizzate alla tutela dell’individuo, a maggiori spazi di libertà mettendo in discussione il sistema e il potere. Per far retrocedere l’amministrazione sugli ultimi provvedimenti restrittivi sull’arte e gli artisti di strada. Le strade le piazze sono del popolo, riappropriamocene e facciamo uscire le rappresentazioni dai teatri borghesi.
Per un teatro azione, di supporto ai conflitti, un teatro che non solo veda ma agisca, un teatro non solo di mestiere ma anche militante.

La voce del popolo e dell’arte deve essere libera e incisiva

È necessario produrre molte di queste azioni e far retrocedere l’onnipresenza dello stato. Smascherare anche lo sbandierato decentramento amministrativo portato avanti come strumento di libertà anche per l’arte:

Altro non è che il maggior controllo periferico dello stato centrale con l’onnipotente e onnipresente burocrazia e i carrozzoni sull’arte.

È altresì importante un’obiezione totale svelando le menzogne ideologiche e la famosa teoria dello stato di diritto “del bonismo” e “della vicinanza” nella quale si gongolano le “democrazie”. È falsa da cima a fondo. Lo stato non rispetta le regole che da a se stesso! Le impone agli altri: anche all’arte di strada. Con i loro autoritari e anticostituzionali decreti interpretativi.
Bisogna capire e diffidare delle parvenze democratiche anche dei presunti doni dello stato e aver bene in mente che “ chi paga, comanda”.
I fondi; gli spazi; devono essere liberi e per tutti. Senza censure, pagelle, bavagli e tessere.
Naturalmente chi condivide tutto questo e tutte le possibili e modeste azioni marginali che rifiutano il potere e il potere sull’arte, non devono dimenticare la necessità di una ben più complessiva diffusione del pensiero e dell’azione libera.
Che bello se il lavoro fosse la continuazione del gioco del ragazzo, senza divisione fra lavoro manuale e intellettuale, così l’arte:
ma oggi siamo sotto il giogo dello sfruttamento e dobbiamo liberarci da questo fardello.
La libertà oggi può avere molto più ascolto di un tempo. Le persone, i giovani soprattutto se ne fregano dei discorsi dei politici, hanno capito che non hanno nulla da sperare in loro, sono esasperati dalla precarietà, dallo sfruttamento simile allo schiavismo che i più vivono in solitudine e disperazione, senza nemmeno immaginare che possa esistere una risposta sociale e collettiva questo il frutto delle politiche di abbattimento delle pratiche di solidarietà e di condivisione, del mutuo appoggio, che lo stato, i partiti, i sindacati hanno portato avanti con la meritocrazia e il dividi e impera. Più il potere dello stato e delle burocrazie aumentano, più la concezione libertaria può apparire come ultima difesa, la sola. Se questa libertà si promuove con coraggio avrà un bell’avvenire davanti a se.

Come artisti, come compagnie, come individui dobbiamo fin da ora riappropriamoci della nostra vita e respingiamo nell’immediato chi sfrutta l’arte e la controlla. Non è difficile come può sembrare per altre categorie di lavoratori, non occorre occupare fabbriche e espropriare ciò che ci appartiene: i mezzi di produzione. Come lavoratori dello spettacolo siamo noi i mezzi di produzione, le nostre idee, la nostra fantasia, le nostre creazioni.

Smettiamola di permettere ai parassiti di sfruttare le nostre potenzialità

Non abbiamo bisogno di loro, come del resto tutti i lavoratori non hanno bisogno dei padroni, dei caporali, per mandare avanti
la produzione sociale, i bisogni collettivi.
Buttiamo fuori dalla nostra opera e dal nostro lavoro le agenzie dello spettacolo, i direttori artistici ecc… la loro censura e i loro filtri e intrallazzi, la loro morale. Autorganizziamoci e proponiamoci da soli, l’uno con l’altro, in prima persona in un organizzazione indipendente e libera veramente per promuovere la nostra arte senza veti, creando situazioni e possibilità di lavoro senza mediazioni, intermediari, sfruttamento e strumentalizzazioni, con la cooperazione, il mutuo appoggio, la solidarietà, creando una ragnatela,
un movimento che si ramifichi su tutto il territorio nazionale e non solo, sviluppando i nostri progetti, creando un insieme di realtà territoriali e d’arte varia, legate con una rete di rapporti alla pari, per portare avanti il disegno di un idea culturale, un modello di vita partecipata e libera, che sia da stimolo e di trasformazione reale delle coscienze, di una pratica, di un arte, di un lavoro, per una società giusta e libera.
Alcuni diranno cose vecchie, dell’altro secolo, ma noi siamo testardi, non ci adattiamo a ciò che ci propina lo stato, di essere dei loro burattini, fare i buffoni gli animali da soma. Non ci basta fare gli assistenti ai dannati della terra, o portare loro un sorriso, anche se doveroso e umano farlo se ne abbiamo i mezzi e le possibilità. Non ci basta non perché non amiamo il prossimo, ma perché se non spingiamo al cambiamento, i poveri li avremo sempre con noi, non possiamo solo fasciare sempre e solo le nostre
ferite, quelle dell’umanità soggiogata dalla crudeltà dall’egoismo del dio denaro e dei loro servitori.

Il sogno che abbiamo nel cuore è troppo grande per adeguarsi all’enunciazioni di pensiero, a questa morte moderna, nessun perdono, nessuna pietà per i crudeli.
Ma chi siete dirà qualcuno? Noi siamo:

• Quelli che odiamo ciò che esiste perché amiamo ciò che è possibile
• Quelli che non vogliono il potere, ma potere.
• Quelli che i sacrifici hanno perso il conto delle volte
• Quelli che non sentono quando la patria chiama e non gli batte il cuore quando risuona l’inno di mameli
• Quelli che il masochismo prende forma di riformismo
• Quelli che in carcere, in manicomio, in fabbrica non ci manderebbero nemmeno lui


Quelli che pensano che non ci siano stranieri

• Quelli che se non vanno al mare non è per andare a votare
• Quelli che sono consapevoli, che non occorre il padrone per lavorare, il politico per gestire la società, il prete per aver fede, e che il burocrate sindacale è solo per farsi tradire
• Quelli che il potere è un abuso continuo
• Quelli che pensano che chi apre una banca è più ladro di chi la rapina
• Quelli che la mafia è un prodotto dello stato
• Quelli che il dio di pietralcina è uno scandalo,uno scandalo che frutta
• Quelli che è meglio l’intelligenza che la furbizia
• Quelli che sui muri scrivano divieto di non affissione
• Quelli che un giorno di ferie è un giorno in meno di fatica e di sfruttamento
• Quelli che se l’economia è malata è meglio che crepi
• Quelli che l’aumento del pil non gli dà mai la felicità
• Quelli che se vi sembran pochi 35 anni di lavoro per la pensione venite voi a lavorare
• Quelli che contro la crisi va eliminato lo sfruttamento
• Quelli che il contratto di lavoro è uno sporco ricatto
• Quelli che aspirano all’ordine naturale delle cose, a una società orizzontale federalista e aiutogestita

Quelli che la rivoluzione deve attuarsi negli uomini prima di realizzarsi nelle cose

• Quelli che sono consapevoli che per vincere occorrono le bandiere rosso nere ma che subito dopo vanno eliminate
• Quelli che la libertà del prossimo estende la mia all’infinito
• Quelli che chi non ha vissuto l’epoca prima della rivoluzione non sa cos’è la dolcezza di vivere
• Quelli che la rivoluzione compiuta è vivere in dolcezza: l’anarchia


Hei! Voi di noi uniamoci insieme…
Solcati ancor dal fulmine per l’avvenir sian noi
Cantiamo la memoria
Ma occupiamo la storia
Dove siamo restiamo
Dove non siamo andremo
Ci andremo per davvero


Addio Lugano bella

Per la compagnia burattistradaarti

Paolo Becherini
via Vald’Orme, 147 – 50053 Empoli (Fi) – Tel. 0571 92 45 27
burattistradaarti@yahoo.it