Rivista Anarchica Online
Sei anarchico dunque terrorista
di Croce nera anarchica
Il 22 marzo inizierà il processo contro i compagni Braschi, Della Savia, Faccioli, Pulsinelli
All'inizio del dicembre 1969 i quotidiani inglesi "Observer" e "Guardian"
pubblicavano un documento segreto
inviato al Ministero degli Esteri di Atene, nel quale si informava il primo ministro Giorgio Papadopulos
sui
risultati della campagna di provocazione che il governo greco stava attuando da tempo in Italia, con la
collaborazione di gruppi fascisti e di alcuni "rappresentanti dell'Esercito e dei Carabinieri". Nel rapporto
si
ipotizza la possibilità di un colpo di stato di destra mediante l'incentivazione di gruppi di azione
già da tempo
operanti. Nel dossier si apprezza l'opera in questo senso svolta da Luigi Turchi (deputato del MSI
e collaboratore elettorale
di Nixon) e di un certo signor P. (Pacciardi, Presidente di Nuova Repubblica, secondo alcuni, Pino Rauti,
giornalista, presidente di Ordine Nuovo, secondo altri). Il documento (3 pagine) sottoposto ad attenti
esami da
parte di elementi competenti del movimento greco in esilio, veniva riconosciuto autentico. Tra le altre
cose vi si
legge: "Le azioni che era stato previsto fossero realizzate prima non è stato possibile
realizzarle che il 25
aprile. La modifica dei nostri piani ci fu imposta dal fatto che era difficile penetrare nel Padiglione Fiat.
Entrambi i fatti hanno prodotto effetti considerevoli". (L'altro fatto era la bomba esplosa all'ufficio
cambi della
Stazione Centrale a Milano). Per gli attentati al padiglione Fiat ed alla Stazione Centrale si trovavano
in quel momento in carcere tre anarchici:
Paolo Braschi, Paolo Faccioli e Tito Pulsinelli, i primi due arrestati immediatamente dopo le bombe, con
una
furiosa campagna diffamatoria, il terzo arrestato nell'agosto successivo. Inoltre un quarto compagno,
Angelo Piero Della Savia, detenuto nelle carceri svizzere, attendeva l'estradizione
chiesta dalla magistratura italiana ed altri due, i coniugi Corradini, erano da poco stati scarcerati, per
assoluta
mancanza di indizi, dopo sette mesi di galera. La situazione dei compagni detenuti era giuridicamente
incredibile.
Dopo 7 mesi di carcere, nessun indizio in possesso dell'autorità giudiziaria era tale da giustificare
l'arresto e la
detenzione dei compagni. Le ripetute istanze di scarcerazione presentate dagli avvocati della difesa al
tristemente
noto giudice Amati, incaricato di istruire il caso, venivano respinte con ordinanze di rigetto, contrarie alla
legge
perché sprovviste della lista degli indizi a carico. Si aspettò un mese per controllare i loro
alibi, cinque mesi prima
di interrogare gli imputati. Ai compagni che con una serie di manifestazioni di piazza e di scioperi
della fame tentavano di richiamare
l'attenzione dell'opinione pubblica, la polizia rispose con la violenza e le denunce. Quando la sezione
istruttoria,
messa alle strette, decide la scarcerazione dei Corradini e di Pulsinelli per mancanza di indizi, Amati
spicca
immediatamente un nuovo mandato di cattura sulla base di "nuovi e decisivi indizi" emersi dalle
confidenze di
una testimone segreta (1). Ma appare evidente che la credibilità della "testimone segreta"
(che peraltro tutti conoscono) non avrebbe retto
un solo minuto in un'aula di Tribunale e Amati si guarda bene dal fornire notizie più precise
riguardo ai "nuovi
elementi", violando una volta ancora la legge che impone di allegare alle ordinanze la lista degli indizi.
La
richiesta degli avvocati di allegare agli atti il "dossier" greco, dopo una perizia ufficiale che ne
documentasse
l'autenticità, viene precipitosamente negata. Oggi, dopo due anni, Braschi, Pulsinelli, Faccioli
e Della Savia, sono ancora in carcere. Il processo avrà inizio il 22 marzo prossimo.
PERCHÉ DUE ANNI DI CARCERE PREVENTIVO?
Rispondere è facile: perché in Italia, quando succede qualcosa, si arrestano uno o
più anarchici senza né prove
né indizi che non vengono in questo caso sollecitati da nessun gruppo di potere. Poi sono
necessari alcuni anni
per tentare di costruire la vicenda, trovare le prove e se proprio non se ne trovano, inventarle, oppure
estorcere
"confessioni" con la violenza. Dopo due anni di vani sforzi, gli indizi raccattati da Amati sono gli
stessi di due anni fa, cioè del tutto insufficienti.
Questo significa, lo ripetiamo, che nell'Italia democratica, prima si arresta e poi si cercano le prove, con
il
beneplacito, trattandosi di anarchici, di partiti, magistratura e Stato. Vogliamo ripetere, e
continueremo a farlo, che quanto succede agli anarchici è esattamente quello che possono
aspettarsi tutti coloro che vorranno conquistare la propria libertà al di fuori delle organizzazioni
di potere e di
partito. I fatti del 25 aprile, analizzati e riconsiderati oggi, alla luce di quanto è successo
dopo, acquistano un significato
molto chiaro. Le bombe del 25 aprile sono il primo anello di una catena di terrorismo e violenza i
cui scopi sono ormai troppo
evidenti. Nella notte tra l'8 e il 9 agosto scoppiano le bombe sui treni, subito inizia la caccia
all'anarchico, ma poi
stranamente tutto si ferma (è evidente che lo zelo di qualche poliziotto "ingenuo" rischiava di
condurre le indagini
sulla pista giusta). Dopo quattro mesi il questore di Milano, Guida, l'ex tenutario di penitenziari fascisti,
cerca
di coinvolgere Pinelli, ma saltano fuori i nomi di due fascisti e il tribunale che oggi conduce il processo
contro
"Lotta Continua" lo esime dal dare spiegazioni sulle sue dichiarazioni. Dopo l'arresto degli anarchici,
gli attentati si susseguono in tutta Italia al ritmo di uno ogni tre giorni! Nel
frattempo si scopre che i fascisti di Palermo, come di altre città italiane, fanno attentati contro
chiese, stazioni di
polizia e di carabinieri, caserme e carceri, tutti obbiettivi "anarchici". Fascisti impazziti? No, fascisti
le cui azioni fanno parte di un piano che mira a suscitare la psicosi dell'attentato
sovversivo per giustificare la repressione e l'involuzione autoritaria e per gettare il discredito sugli
anarchici (e,
per estensione, sulle forze di sinistra). A Legnano, nel settembre 1969, un gruppo di fascisti arrestati
dopo una
serie di attentati, dichiarano nella loro confessione di aver firmato gli attentati con la lettera A e la scritta
"viva
Mao" al fine di dirottare i sospetti e provocare l'incriminazione di anarchici e maoisti. La
provocazione fascista continua. Tocca il culmine con la strage di Piazza Fontana, si arresta un poco per
dar
tempo e spazio ai giornali e agli sbirri di diffamare nuovamente gli anarchici e portare avanti nel
contempo le
denunce di 13.903 (tredicimilanovecentotre) lavoratori, poi riprende. Oggi e in questo ultimo anno,
mentre gli anarchici "dinamitardi" sono "custoditi" in prigione, la polizia uccide,
le bombe dei fascisti scoppiano ovunque e sono mortali, le squadre dei cani di Almirante e Servello
imperversano
sempre più e meglio armate, mentre sindaci e curati guidano tronfie manifestazioni per la
ritrovata "unità
antifascista". Non possiamo fare a meno di chiederci perché costoro anziché sproloquiare
discorsi antifascisti non
smettono di frenare e reprimere le sane intenzioni dei proletari che in mezzo pomeriggio farebbero piazza
pulita
di ogni traccia di fascisti! Ma questo non si vuole, se no dove vanno a finire gli "opposti
estremismi"? Con le bombe del 25 aprile esplodeva la repressione e iniziava la manovra terroristica
di Stato per fermare il
processo critico di cosciente rivolta con cui si preannunciavano le lotte durissime che scoppiavano
improvvise
a tutti i livelli (Avola, Battipaglia non erano lontane, il disarmo della polizia doveva essere discusso pochi
giorni
dopo alla Camera, i C.U.B., ecc.). Allora gli anarchici, colpiti per primi e forse per questo più
coscienti, questi
rappresentanti secondo l'ineffabile Lenin dell'"infantilismo estremista", con un autentico fiuto politico e
capaci
di un giudizio libero da problemi di accaparramento del potere, videro giusto e lanciarono grida di
allarme.
Dimostrazioni in piazza, discorsi, manifesti ed azioni di ogni tipo, rimasero senza risposta e non
toccarono
minimamente i pensatori più o meno marxisti-leninisti troppo impegnati ad affondare il cervello
negli abissi del
libretto rosso per accorgersi delle cose più evidenti. Non sta bene recriminare, ma è
inutile tacere che, come al solito, le forze che allora si autodefinivano
"avanguardie coscienti del proletariato rivoluzionario", con il fine intuito politico dei loro capi, arrivarono
a
comprendere cosa stava succedendo solo quando i manganelli e le denunce si abbatterono direttamente
sulle loro
teste. Ci piace ricordare che, allora, vennero a chiederci solidarietà. Chi invece aveva capito
perfettamente e prima di noi erano i braccianti che ad Avola e a Battipaglia affrontavano
le pallottole della polizia e i proletari che nelle fabbriche avevano costituito i primi comitati di base per
una lotta
autonoma e autogestita.
SU CHE COSA SI BASA L'ACCUSA?
Si basa su ammissioni parziali di alcuni arrestati, riguardanti un paio di attentati dimostrativi molto
precedenti al
25 aprile ed estorte con la violenza ed il ricatto. Sulle modalità degli interrogatori i compagni
Faccioli e Braschi
hanno dichiarato al Giudice Istruttore quanto segue. - Paolo Faccioli: interrogato per tre giorni senza
dormire né mangiare, percosso al buio con schiaffi, pugni e
torcimenti del collo, mentre era minacciato da Calabresi di vent'anni di galera. (La descrizione delle
violenze
subite è stata messa a verbale e firmata dal Faccioli. Vi figurano i nomi degli sbirri che hanno
condotto
l'interrogatorio: Zagari, Panessa, Mucilli). - Paolo Braschi: interrogato mentre era costretto a stare
seduto su uno sgabello vicino alla finestra aperta,
maltrattato, insultato ed invitato a confessare o a buttarsi di sotto. Condotto a Bergamo da quattro
poliziotti agli
ordini di Calabresi senza l'autorizzazione del giudice istruttore e senza l'intervento del difensore, si cerca
di fargli
confessare un supposto furto di materiale esplosivo in una cava. Il secondo elemento di accusa
è la già descritta Zublema alla quale è possibile far dire ogni genere di
sciocchezze. È presumibile però che Amati non avrà il coraggio di servirsi
troppo di costei, dato lo scarso credito nei suoi
confronti di tutti quelli che la conoscono. Comunque la Zublema dichiara essere sempre stata al corrente
di
quello che facevano i compagni e sostenere la loro paternità in moltissimi
attentati. Nessuno mai ha fatto alcuna ammissione sugli attentati del 25
aprile. Giuridicamente non c'è altro. Sembra poco in effetti, ma tanto è bastato per
addossare ai compagni la
responsabilità di un numero incredibile di attentati e per accusarli di "tentata strage" ripetuta. Per
tentata strage
la legge definisce chi "colloca ordigni esplosivi al fine di uccidere". È interessante osservare che
gli attentati del
25 aprile sui quali fu montata l'isterica campagna di stampa diffamatoria contro gli anarchici e che
costituivano
l'accusa principale contro i compagni in carcere, sono stati declassati ad imputazione di minor
importanza, in essi
infatti non si ritiene di ravvisare il "fine di uccidere" in quanto si trattava solo di bombe-carta (l'ombra
del
"dossier" di Atene deve fare una certa paura alla polizia...). Le motivazioni di accusa del giudice
istruttore, tentando di dimostrare l'indimostrabile, tacciono le vere accuse
su cui si basano poliziotti e magistrati: che sono anarchici e quindi colpevoli a priori, che se anche sono
innocenti
sono anarchici e perciò colpevoli lo stesso, che se si considera innocente una anarchico che
rifiuta l'obbedienza
allo Stato si è poi costretti a considerare innocenti le migliaia di sfruttati che lottano per la
libertà e rifiutano di
obbedire a questori e padroni, i coscritti che rifiutano la divisa, i lavoratori che rifiutano lo
sfruttamento. Ma la realtà è molto diversa, è la realtà di uno Stato
che deve coprire le sue nefandezze, le sue violenze e la
miseria politica in cui si dibatte. Deve giustificare le pallottole con cui ammazza i lavoratori, le bombe
e le stragi,
la finestra da cui è stato gettato Pinelli. Il processo contro Valpreda è vicino e la sua
innocenza evidente. Allora occorre creare una visione terribile di
anarchici sanguinari e dinamitardi, dal comportamento cieco e assurdo, di un sottobosco di sovversivi
violenti che
nulla hanno a che fare con le oneste rivendicazioni sindacali, le variopinte manifestazioni "antifasciste".
Un
quadro di orrore, miseria e disperazione che possibilmente sparga il panico nell'opinione
pubblica. Questo, oggi, è il significato politico di questo processo: preparazione al processo
a Valpreda e affermazione del
diritto alla repressione. Speriamo, senza ottimismo, che questa volta la manovra non riuscirà,
ormai troppe volte l'hanno sfruttata. Troppi
italiani hanno aperto gli occhi e si rendono conto che ogni processo politico è un attentato alla
libertà di tutti e
non basterà più condannare degli anarchici per mascherare la realtà politica del
Paese.
Croce nera anarchica
(1) Si tratta delle frasi messe in bocca dalla polizia ad una professoressa amica di
Braschi, Rosemma Zublema,
la cui infermità mentale viene ammessa dalla stessa interessata.
Dal carcere di Treviso, il compagno Tito Pulsinelli ci scrive
"Nella sentenza istruttoria il Giudice Istruttore - tentando di giustificare la mia incriminazione - accenna
a non
meglio precisati "motivi ideologici" che sarebbero all'origine della mia presunta "attività
criminosa". Il G. I. arriva
persino a sfruttare il più consunto dei luoghi comuni, il più infantile schema mentale:
"anarchico terrorista", a
questa miseria si ridurrebbero, alla fine, i "motivi ideologici". Ebbene, il ricorso al terrorismo non
è una prerogativa esclusiva dei libertari, noi non ne abbiamo il monopolio
o il brevetto! Le forze politiche più disparate - e nelle epoche più diverse - hanno
fatto ricorso al terrorismo: gli algerini
dell'F.L.N. e i colonialisti dell'O.A.S., i partigiani italiani dei G.A.P. o delle S.A.P. e i fascisti dell'OVRA,
i
fedayns palestinesi e i militari israeliani, i cattolici di Belfast e i protestanti, i vietcong e gli imperialisti
U.S.A.,
ecc. Il terrorismo è sempre stato un mezzo di lotta - impiegato sia dai rivoluzionari che dai
controrivoluzionari - e non
è mai buono in sé per sé, ovunque e comunque. Ebbene gli attentati di cui
sono stato accusato - oltre a non averli eseguiti - sono oggettivamente provocatori e
reazionari in quanto hanno servito gli interessi contingenti del potere politico e sono stati presi a pretesto
per
sferrare attacchi contro di noi. Non cambia minimamente la questione il fatto che sul luogo degli attentati
dicono
siano stati ritrovati manifestini pseudo-anarchici: chiunque può fare un attentato e "firmarlo"
come gli pare. Un
biglietto non può assolutamente autenticare e far passare per libertaria una azione
fascista! Gli anarchici quando hanno compiuto azioni esemplari ne hanno sempre assunto e
rivendicato la paternità e la
responsabilità in un modo aperto o durante pubblici processi - come nel caso dei compagni
milanesi che nel 1962
rapirono il vice-console spagnolo - e mai, in nessun caso, con dei manifestini. I "motivi ideologici"
- quindi - esistono solo nella testa del giudice. Allo stadio attuale della lotta, i libertari non
prevedono - anzi escludono e condannano - il terrorismo e altre forme di azione individuale; io come
comunista
libertario ho sempre incoraggiato e sostenuto l'unica vera forma di azione corretta: quella collettiva di
base, perché
solo questa incide sensibilmente nel rapporto di forza dominanti-sfruttati, ed ha funzione educativa
perché
favorisce l'unione e la solidarietà degli sfruttati. L'azione individuale oltre che essere sterile
è controproducente: a noi non interessa minimamente il petardo
collocato sul portone di una direzione aziendale, perché non siamo iconoclasti, né ci
interessa indirizzare l'azione
libertaria contro i "simboli" delle istituzioni perché non siamo simbolisti. Noi miriamo
oltre. L'azione libertaria mira ad investire le strutture (e non i suoi simboli), non si ferma al portone
ma giunge
all'interno fino alla catena di montaggio, non si ferma all'epidermide ma punta al cuore, alla
produzione. L'azione libertaria giunge al lavoratore manuale, di cui vuole cambiare radicalmente lo
status, il suo rapporto con
i mezzi di produzione, il suo rapporto con la cultura, con lo Stato, ecc. in una parola mira ad emancipare
per
giungere all'autogoverno delle Comuni, e all'autogestione di ogni istanza della vita sociale. Il grande
obiettivo dell'azione libertaria è l'integrazione del lavoro manuale con quello intellettuale! I
"motivi ideologici" - che a parere del Giudice Istruttore - giustificherebbero il terrorismo "anarchico",
esistono
solo nella sua testa... Ultima nota: a 100 anni dalla Comune di Parigi, quando decine di migliaia di
comunardi venivano fucilati e bollati
come "delinquenti", le cose non sono cambiate, prova ne è che siamo stati rinviati a giudizio
anche per il reato
di "associazione per delinquere". Chi lotta contro i borghesi è un delinquente, che i compagni
se lo ricordino!
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